Mese: <span>Giugno 2006</span>

Ogni giorno la felicità ci tocca per vie inaspettate, proprio come il dolore: oggi mi arriva con la notizia che il padre Enrico di Rovasenda, domenicano, pioniere del riesame del “caso Galileo”, compie cent’anni in buona salute, nel convento di Genova dove si è ritirato. Paolo VI nel 1974 lo nominò cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e in tale veste trattò con Giovanni Paolo II l’avvio di quel “riesame”, che fu all’origine dell’intera predicazione del papa polacco sulla “purficazione della memoria”. Il mio interesse  all’argomento – che mi ha portato alla pubblicazione del volume Quando il papa chiede perdono. Tutti i mea culpa di Giovanni Paolo II (Mondadori 1997) – parte dalle conversazioni avute con il caro padre Enrico nei primi anni ’80.

C’è dibattito sulla “lobby cattolica” che si sta costituendo tra deputati e senatori di ogni schieramento, cioè sull’Intergruppo parlamentare “Persona e bene comune” che dovrebbe tenere oggi la prima riunione. Spero che l’iniziativa abbia successo, che sia capace di parlare ai non cattolici e che vada avanti nonostante gli scontri interni. Non sempre riuscirà a prendere una posizione condivisa, ma sarà comunque utile che ci provi ogni volta che ne vale la pena.

Il vescovo Rino Fisichella, da me intervistato sul Corsera di oggi, afferma che il Comitato Amato è caduto in contraddizione fin dal primo pronunciamento e ritiene che esso non risponda ad alcuna necessità. Io invece immagino che un’utilità la possa avere e mi ostino ad attenderne la manifestazione, oltre il modesto compromesso della prima uscita, in forza della stima che ho per Amato: un laico che si pone le domande dei credenti. Mi sarebbe piaciuto fosse stato eletto alla presidenza della Repubblica, ma oso immaginare che la sua opera possa essere più feconda in questa scommessa di coordinare i poveri ministri del governo Prodi alle prese con lo tsunami della bioetica

“Dio non è solitudine infinita, ma comunione di luce e di amore, vita donata e ricevuta in un eterno dialogo tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo: Amante, Amato e Amore”: così ha parlato il papa teologo ieri all’Angelus. Una parola calda, inventiva. Non è la prima volta che Benedetto XVI scommette sulla forza della sua parola e credo che un giorno tutti se n’avvedranno. Prometto ai visitatori del blog di segnalare le manifestazioni di quella forza. Qui richiamo i cinque casi che più mi avevano colpito fino a domenica. “Il deserto dell’oscurità di Dio”, disse il 24 aprile 2005, durante la celebrazione di avvio del pontificato, elencando i tanti deserti in cui si smarrisce, come la pecora evangelica, l’umanità di oggi. ” Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo. Vento e fuoco dello Spirito Santo devono senza sosta aprire quelle frontiere che noi uomini continuiamo a innalzare fra di noi”: 15 maggio 2005, Pentecoste. A Colonia, il 21 agosto scorso, propose un’audace similitudine tra il mistero eucaristico e la fissione nucleare: “È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo”. Con analoga intuizione, la notte di Pasqua in San Pietro parlò di “grande mutazione” a proposito della risurrezione: “La risurrezione di Cristo (…) è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia”. A Czestochowa, il 26 maggio, ha detto che nella fede possiamo “toccare” Dio: “Mediante la fede possiamo aprirci un varco attraverso i concetti, perfino quelli teologici, e possiamo ‘toccare’ Dio vivente. E Dio, una volta toccato, ci trasmette immediatamente la sua forza”. Per dire il mistero, Benedetto forza la lingua. Il fatto di non essere italiano gli dà una maggiore libertà, almeno per quanto riguarda la traduzione dei suoi testi nella nostra lingua. Ne sentiremo di straordinarie. La forza delle parole si addice a Ratzinger, come Wojtyla si avvaleva di quella dei gesti.

“Io, musulmano, al pellegrinaggio di Loreto”: leggo sul Corsera di oggi l’appello di Magdi Allam ai musulmani d’Italia perchè prendano parte al pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto e tifo perchè l’appello abbia successo. Considero una bella festa quel pellegrinaggio e ne ho seguito da giornalista una delle edizioni di partenza. Vi partecipano regolarmente alcuni miei parenti, che sono di Recanati. Che Maria sia “la figura unificante del cristianesimo e dell’islam” mi è apparso chiaro ogni volta che ho detto a un musulmano che ho una figlia che si chiama Miriam: “Ma è un nome nostro!” C’è infine un altro motivo, che mi fa bella l’idea del collega Magdi: Miriam è anche – e inizialmente – un nome ebraico e quando sono al mare, a Santa Marinella, in uno stabilimento frequentato da ebrei romani, se chiamo “Miriam” qualcuno si avvicina e si informa se per caso siamo ebrei. In Miriam e nella figura del Messia e in salmi che sono passati dall’ebraismo al cristianesimo e all’islam le tre fedi possono trovare una felice occasione di incontro. Ne sono certo.

Vedo in metro uno zingarello di cinque anni con la pianola a tracolla, che tende la mano. Gli do una moneta, fa lo stesso una donna accanto a me. Lo scugnizzo mette subito in tasca la prima moneta e poi l’altra, serio e soltanto quando le ha riposte ci ringrazia tutti e due con un sorriso. “E’ solo” dico io. “Solo!” fa lei con un brivido da madre. Mistero degli zingari. Mi viene in mente il padre Livio di Radio Maria che un giorno leggeva una notizia di giornale su due zingare che pareva avessero tentato di “rubare” un bambino e commentava: “Non dobbiamo essere prevenuti e pensare magari che gli zingari siano tutti uguali. Proprio ieri ho trovato una zingara che elemosinava davanti al supermercato e nessuno gli dava niente, allora gli ho dato io una moneta per combattere il pregiudizio”. Con padre Livio – che nominavo anche ieri – una volta sono d’accordo e un’altra no, ma apprezzo il suo spirito libero.

“La data di oggi è 06.06.06: seicentosessantasei – aguzzate l’ingegno amici miei”: così il padre Livio, a Radio Maria, nel Caffè mattutino, che è l’angolo creativo della sua rassegna stampa. Allude ovviamente ad Apocalisse 13, 18, dov’è indicato cone 666 “il numero della Bestia”. Mi chiedo che cosa abbia voluto dire il simpatico padre Livio e che cosa abbiano capito gli ascoltatori, che credo siano alcuni milioni. Egli sempre allude al Maligno che affila il forcone. Io credo come lui che l’affili, ma non ho alcun sentore che l’affilamento sia per risultare maturo oggi, grazie a una sequenza numerica che dipende soltanto dal nostro modo di organizzare la numerazione dei giorni. E se la Bestia seguisse il calendario giuliano, invece di quello gregoriano?

Papa Ratzinger torna sulla gioia di amare, di cui aveva parlato nell’enciclica Deus caritas est (Dio è amore) e scongiura i giovani a liberarsi dal “pregiudizio” che i Comandamenti biblici siano di ostacolo all’amore umano. Qui davvero i cristiani si giocano il rapporto con la nuova generazione, a partire dai loro figli, che continueranno ad allontanarsi da ogni Chiesa fino a che non resteranno convinti che quell’ostacolo è caduto. Perchè fino a ieri l’ostacolo c’è stato, non per responsabilità dei Comandamenti ma della loro interpretazione tradotta in precetti. Ora l’ostacolo non c’è più, ma resta la sua ombra lunga, come per ogni convincimento durato secoli e fatto valere anche con gli strumenti dell’autorità. Più che opera di un papa, o di altri portavoce delle Chiese, il superamento di quel pregiudizio può essere favorito dalle parole scambiate tra genitori e figli. I portavoce ecclesiali possono aiutarlo parlando meno di sesso e delle questioni a esso legate, di cui troppo si è parlato in passato e troppo ancora si parla.

Un prete di Padova, Marco Pozza, invita Andreotti in parrocchia a parlare di “ricerca di Dio” e tanti si scandalizzano. Ma don Marco tiene fede all’impegno: “C’è chi fatica ad andare oltre lo stereotipo di Andreotti mafioso, ma a parlare di fede potrei portare anche Provenzano”. Approvo. A proposito di Provenzano vedi sopra alle date 14 e 15 aprile. Quando si tratta della ricerca di Dio ognuno che sia disposto a parlarne va ascoltato, perchè non sappiamo chi potrebbe aiutarci. Il Vangelo mostra che i più vicini a incontrarlo sono le prostitute e i pubblicani.

“Senza vergogna. Un terrorista segretario della Camera”: così Libero apre l’edizione di sabato 3 giugno, menando scandalo per il fatto che Sergio D’Elia, eletto deputato nella lista della Rosa nel pugno, è segretario d’Aula a Montecitorio. Condannato a 25 anni per concorso in omicidio, ne sconta 12 e gli altri gli vengono abbonati a seguito di una fattiva dissociazione dal terrorismo. E’ fondatore di Nessuno tocchi Caino, che da dodici anni si batte contro la pena di morte. Mando la mia solidarietà a Sergio: non c’è vergogna nel riscatto dal crimine. Tra le accuse che portano Gesù alla morte c’è quella di aver chiamato a suoi discepoli esattori delle imposte e peccatrici.