Mese: <span>Ottobre 2006</span>

Romeo e Giulietta fanno foto sulla fontana di “Madonna Verona”, in pazza delle Erbe. Lei sale sul “piatto” della fontana, con l’acqua che le scorre sotto le scarpe da tennis. Lui le fa “più indietro” con un cenno della testa, lei si prende gli schizzi sulla schiena. Il ragazzo la guarda beato tra gli strilli.

Cento metri più in là, in piazza dei Signori, ho trovato il cartellone del “Toca ti” Festival internazionale dei giochi in strada. 22-23.24 settembre, di cui ci aveva parlato don Vito nel commento n. 2 al post del 25 settembre. Ne approfitto per mandare un saluto a don Vito.

Ho scritto (tre post più sotto) che i laici al convegno di Verona erano sì in maggioranza per numero, ma non per peso. Debbo però riconoscere che c’è stato un momento – io credo più importante d’ogni altro – in cui i laici sono stati egemoni e lo sono stati per decisione dei chierici: quello dei 16 “testimoni” della “Chiesa in Italia”, di cui ho già parlato all’inizio di questo blog (vedi post del 17, 18, 22 maggio). Segnalo ai visitatori il volumetto della San Paolo Sedici profili di testimoni della Chiesa in Italia, a cura del Comitato preparatorio del IV Convegno ecclesiale nazionale (141 pagine, 7 euro), tutto da leggere. Quei testimoni sono stati scelti dai vescovi delle sedici regioni “ecclesiastiche” in cui è divisa l’Italia. Dando la precedenza alle donne, ecco per la Liguria Itala Mela, una mistica del nostro tempo. Per il Lazio e per la Basilicata sono state segnalate Lorena d’Alessandro e Maria Marchetta, che hanno accettato con il sorriso grandi malattie. La Calabria e la Sardegna hanno proposto Concetta Lombardo e Antonia Mesina, che potremmo chiamare “martiri della dignità della donna” in quanto uccise da corteggiatori violenti. La più nota e più recente di queste sorelle forti è Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nel 2003, proposta dall’Emilia Romagna. Tra gli uomini vi sono il politico Giorgio La Pira (Toscana), lo scienziato Enrico Medi (Marche), i pedagogisti Gesualdo Nosengo (Piemonte e Valle d’Aosta) e Giovanni Modugno (Puglie), il filosofo del diritto Giuseppe Capograssi (Abruzzo-Molise), il medico Vittorio Trancanelli (Umbria), l’imprenditore che vende tutto e va a soccorrere i poveri dell’America Latina Marcello Candia (Lombardia), i martiri dell’aiuto agli ebrei Giovanni Palatucci (Campania), della resistenza al nazismo Flavio e Gedeone Corrà (Triveneto), della giustizia Rosario Livatino (Sicilia). Forse nessuno di loro – o perché sconosciuti, o troppo noti, o troppo creativi – sarebbe stato chiamato a fare il delegato a un convegno ultraselezionato come questo. Ma a loro il convegno si è ispirato e io trovo bellissima tale scelta. Era bello passare tra i grandi poster che riproducevano le loro facce, per raggiungere l’auditorium del padiglione numero 4.

Piazza delle Erbe, spuntino al ristorante bar Alla Torre. Un passero svola sul mio tavolo a beccare le briciole. Il cameriere dice che viene sempre a questo ombrellone: “Si fida degli uomini”. Se tu fossi qui.

Sul discorso tenuto oggi dal papa a Verona ho fatto una cronaca e un commento per il Corriere della Sera e dunque qui non dico nulla dei suoi contenuti di più immediata rilevanza. Ma segnalo un passaggio minore e a me più caro, di quelli che aiutano a credere in quanto segnalano convincentemente la bellezza della fede cristiana. Si tratta del terzo paragrafo, intitolato Il Signore risorto e la sua Chiesa. In esso Benedetto riprende quasi alla lettera e poi sviluppa quanto aveva detto la notte di Pasqua nella basilica vaticana a proposito della risurrezione di Cristo (vedi post del 12 giugno: Ratzinger punta sulla forza delle parole): “Essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio alla fine dei tempi”. Tutto il paragrafo – che indica l’amore come “cifra di questo mistero” – è da leggere, ma io qui mi limito a riportare queste parole conclusive, che mi paiono le più belle: “Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la vita proprio lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte (…) La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.

Sono a Verona per il convegno ecclesiale e sono colpito da due fatti, come già a Roma nel 76, a Loreto nell’85 e a Palermo nel 95 (c’ero sempre): che è una bella assemblea e che è fatta per quasi metà di consacrati. I partecipanti a pieno titolo (escludendo gli invitati) sono 2457, dei quali 1262 laici. Gli altri sono cardinali (10), vescovi (213), preti (605), religiosi e religiose (322), diaconi (39), laici consacrati (16). “Una maggioranza di laici” scrivono i giornali. Ma si tratta di una ben misera maggioranza numerica e non affatto reale: cioè maggioranza quanto al peso delle presenze e alla loro rappresentatività. Non che in Italia non vi siano laici significativi, ce ne sono e come ma non sono qui. Qui vi sono i laici cooptati dalla gerarchia. Recriminare per questa prevalenza reale dei consacrati (per dire insieme vescovi, preti, religiosi e laici assimilati) sarebbe un lamentarsi della ricchezza: i consacrati vogliono dire tempo pieno, dedizione, cultura teologica, afflato biblico e spirituale. Vorrei tanto riuscire a dire che in questa Chiesa il laicato non è ancora protagonista in proprio senza farne un lamento. Sono più di trent’anni che provo a dirlo e ancora non ci sono riuscito. Ma insisto a provare. Sarà il tema del mio blog in questi giorni.

Tra i libri che ho letto venendo qui c’è Chiesa padrona di Roberto Beretta (Piemme editore), appena pubblicato e che consiglio ai visitatori: dice quasi la mia idea, seppure con un tono di denuncia che non condivido. Il titolo mi ricorda il Chiesa madre e matrigna di Melloni che pure non mi era piaciuto. Il sottotitolo del volume di Beretta è: Strapotere, monopolio e ingerenza nel cattolicesimo italiano. Ingerenza delle “gerarchie onnipresenti”. Sì, l’argomento è questo, ma Beretta, Melloni e io (tre approssimazioni del laico protagonista in proprio) non abbiamo ancora le parole per dirlo.

“Pensavo di dare il mio piccolo contributo affinchè si parlasse seriamente di due Pontefici e non solo di uno” ha scritto Maria Grazia, una visitatrice del blog che avverte nei media una difficoltà a elaborare il lutto per la perdita di papa Wojtyla. Prima di aprire questo blog, la primavera scorsa, non avvertivo il fenomeno e sono stati i visitatori a farmene consapevole: c’è in giro un lascito affettivo del papa precedente che da molti è avvertito come una remora ad accettare l’attuale. Ringrazio gli interlocutori che me l’hanno segnalato e riferisco tre episodi che possono aiutare a inquadrare il fenomeno. Il primo è di ieri pomeriggio: all’ora in cui 28 anni addietro si era avuta in piazza San Pietro la fumata bianca dell’ottobre del 1978 io ero davanti a quella piazza, in collegamento con la televisione polacca TVN24 e il collega Jacek Palasinski – già entrato in questo blog con un messaggio – mi chiedeva se non fossi anch’io del parere che era bastato un anno e mezzo perché Karol il Grande fosse “dimenticato da tutti: neanche una messa, qui, in questo anniversario”. Rispondevo che non era vero, che c’erano tante pubblicazioni e film e cartoni animati su di lui, ancora coda per vedere la tomba e dibattiti sulla sua figura. Dunque c’è chi trova in giro troppo Wojtyla e chi poco. Secondo episodio: per quello che vale la mia esperienza, in sette mesi (come si può vedere nella pagina “conferenze e dibattiti”, elencata sotto la mia foto) sono stato chiamato in varie parti d’Italia a tenere sette incontri dedicati a Giovanni Paolo o al passaggio dall’uno all’altro dei due papi e sempre si è parlato di tutti e due e mai – dico mai – ho avvertito un qualche disagio per la dimenticanza del primo, o per la sottovalutazione del secondo. Terzo fatto: una sola volta, prima di questa serie di incontri, mi era capitato di dire “lo rimpiangeremo” a proposito del “sine glossa” (cioè senza adattamenti interpretativi) con cui papa Wojtyla voleva fosse predicato il Vangelo. Fu a Latiano (Brindisi), l’aprile scorso. Non intendevo dire nulla a danno del papa attuale, era uno spunto di prospettiva storica: nel medioevo il “sine glossa” era stato motivo di condanna al rogo, e ora un papa, con coraggio insolito, l’aveva fatto suo. Volevo dire che avremmo rimpianto quel coraggio, tutto qui. Ma quella mia espressione provocò un’addolorata protesta di uno dei presenti in nome – a suo parere – del discredito che gettava sul papa attuale. Dopo tutta la discussione che i visitatori del blog hanno promosso su questa questione dei due papi riconosco l’errore di quella mia parola. Oggi penso la stessa cosa, ma la direi in maniera diversa. Direi che per quel coraggio papa Wojtyla “merita una particolare memoria”.

Carissimo Luigi, come vedi ho preso il “vizio del blog”! Una vera Agorà dove si può fare “agorazein” come dicevano gli antichi greci…Dove si parla, ci si incontra si discute…Esattamente come facevo con il programma che,ogni settimana, oltre il TG mi permetteva di parlare con chi si sintonizzava su Telepace.

Di “Agorazein” ne avevo in mente uno per oggi…16 ottobre , anniversario della elezione di Giovanni Paolo II. Nel 1978 ero in Piazza San Pietro, una ragazzina emozionata. Nel 2003 anche. Ma ero una professionista che gestiva un collegamento in diretta. Ad aprile del 2005, ad un anno dalla morte di papa Woytjla ho chiesto al Card Ruini di scrivere un bilgietto da lasciare sulla tomba di Giovanni Paolo II nelle grotte vaticane, come fanno migliaia di fedeli ogni giorno. Lui ha detto tre volte ” grazie”. Per la cura del papa alla sua diocesi, per la attenzione al mondo , per la chiarezza del pensiero.

Io oggi vorrei scrivere un grazie solo. Grazie per aver potuto essere una “giornalista del papa”. Più tardi andrò anche io a lasciare il mio biglietto sulla tomba bianca del papa polacco, e ci scriverò anche una preghiera: spero di poter continuare ad essere una, vaticanista, una “giornalista per il papa”

Un abbraccio, Angela Ambrogetti.

Credo che l’autore del Libro dei proverbi non abbia avuto figli, o non sia arrivato a vederli adolescenti, quando scoppiano di vita e riempiono la casa e se non stai pronto a scansarti ti travolgono a metà del corridoio. Non li ha messi infatti tra le creature di “nobile andatura” che elenca al capitolo 30, versi 29-31:

Tre esseri hanno un portamento maestoso,

anzi quattro sono eleganti nel camminare:

il leone, il più forte degli animali,

che non indietreggia davanti a nessuno;

il gallo pettoruto e il caprone

e un re alla testa del suo popolo.

I bambini gattonano, ti si strusciano addosso, ti saltano al collo a tradimento e guai se non stai preparato. Ma gli adolescenti incedono. Cresciuti di spalle e di voce, assumono un portamento regale ed è bene che il mondo si scansi.

Caro Luigi, trovo che il Tuo blog sia davvero un villaggio animatissimo, con residenti fissi e viandanti occasionali. In questa vigilia di festa consentimi pertanto di intervenire con una cronaca più rilassata, anche se il mio stato d’animo non è propriamente quello, speranzoso, del Sabato del villaggio. Il quadretto, anzi il dettaglio, che voglio descriverTi, quello sì, è proprio da Sabato prefestivo. 

Come sai, Giovedì mattina una delegazione del Sindacato dei Giornalisti, al più alto livello, ha varcato la soglia di  Telepace per incontrare Don Guido Todeschini. C’erano tra gli altri il Vicesegretario Nazionale, Luigi Ronsisvalle, e il Segretario dell’Associazione Stampa Romana, Silvia Garambois. 

Quest’ultima, in particolare, sebbene non credente, ha il merito davanti alla Chiesa di avere promosso la pubblicazione di “un’Enciclica”: quella che è stata subito definita la quindicesima Enciclica di Giovanni Paolo II, cioè la raccolta postuma dei suoi 27 messaggi in occasione di altrettante giornate mondiali delle comunicazioni sociali, dal 1979 al 2005. 

Considerando infatti che i messaggi affrontavano di anno un aspetto specifico (mass-media e famiglia, televisione, radio, internet, etc.), messi in fila uno dopo l’altro appaiono oggi come i capitoli di una vera e propria Enciclica: un’Enciclica sui media. 

Nessuno ci aveva pensato prima. Ed oggi dobbiamo a Lei, ad una donna laica, leader di un Sindacato laico, la pubblicazione di questo volume che si intitola “Giornalisti abbiate coraggio” e che in aprile, nel 1° anniversario della morte di Wojtyla, è  stato inviato in dono a tutti i giornalisti romani (compreso il mio direttore, Mons. Todeschini, iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Roma).

Come curatore del volume, sono testimone del coraggio intellettuale con cui Silvia ha voluto che l’intero Sindacato dei Giornalisti rendesse omaggio al più grande comunicatore di tutti i tempi, maestro di deontologia per tutti noi, credenti e non (a maggior ragione se credenti, e ancora di più se presbiteri).

Oggi però, nel clima prefestivo del “Villaggio Accattoli”, voglio consegnarVi la pasionaria della Stampa Romana in una prova di coraggio assai meno impegnativa, ma decisamente  più amena.

Giovedì mattina infatti, quando Silvia ha fatto il suo ingresso a Telepace, mentre attraversava il corridoio che conduce nella sala riunioni, dove l’aspettava Don Guido, una mano e due dita si sono sollevate al suo passaggio con la prontezza di un passaggio a livello, facendo il gesto scaramantico delle corna,  come ad esorcizzare la presenza del diavolo negli studi della TV del Papa. 

Il gesto era vistoso, fatto per essere notato, ma lì per lì ho avuto l’impressione che Lei non se ne accorgesse, (noi siamo avvezzi a questo genere di saluti, non ci facciamo più caso e, anzi, li consideriamo di buon augurio). 

Dopo un istante infatti è entrata in sala riunioni e ha salutato Don Guido con un sorriso smagliante: “Come sta ?! Grazie di averci ricevuti”. 

Ma al termine della faticosa riunione, usciti da Telepace, appena voltato l’angolo, il diavolo mi ha  preso sottobraccio e mi ha interpellato con angelico candore: “Ho visto male o mi hanno fatto le corna ?”. 

Buona Domenica, Piero Schiavazzi

Carissimo Luigi, carissimi amici che ci siete vicini! Si conclude un altro giorno di vuoto. Per voi e per noi, e per il papa, oserei dire. Ieri ho letto e riletto la catechesi di Benedetto XVI, pensando a quanto fosse importante e quanto poco spazio avesse avuto. Ogni giorno passo in Sala Stampa, seguo una abitudine, leggo i testi del papa, immagino di scrivere i miei  “pezzi” che possano raccontare la quotidianità. Nel pomeriggio ho visitato la mostra sulla Storia della Basilca di San Pietro, a pochi passi dal sagrato, dove é esposto quel frammento minusolo ed immenso che porta la scritta “Petros eni”, Pietro è qui. Ed io non potevo farvelo vedere, non potevo condividere quella emozione. Certo ne parleranno tutti in un modo o in  altro… Ma io avrei potuto fare vedere ogni dettaglio, accompagnare gli amici nella Necropoli Vaticana, raccontare secoli di vita all’ombra di Pietro… Cose così, che si fanno a Roma  e che il nostro direttore reputa “superate”…..
Oggi abbiamo iniziato un tentativo di confronto con Don Guido. Ho sentito il freddo nella schiena. Capivo di essere nella condizione di chi è condannato e non sa perchè. Ho rivisto 16 anni di notiziario, programmi, interviste, scorrere davanti agli occhi e nel mio cuore, ma non ho visto la minima emozione nel viso di Don Guido. Per lui non serviamo più e basta.
Ho sentito anche il gelo dei colleghi di Verona, Lodi, Trento …. Hanno letto un comunicato nel loro notiziario… una lama nella nostra schiena. Neanche una parola di solidarietà. Mi viene da pensare che non aspettassero altro! nonostante tutto spero ancora, per voi carissmi amici, e per me.
E intanto un altro giorno è passato. Vuoto, ingrato e pieno di speranza.
Un abbraccio a tutti, Angela Ambrogetti