Mese: <span>Dicembre 2006</span>

Partecipo all’incredibile avventura di Piergiorgio Welby come fosse uno della mia famiglia. Alla disputa non so prendere parte e mi tengo stretto alle parole di Mina, la piccola grande sposa che l’assiste da sempre: “Per me è una sofferenza infinita sia vederlo soffrire, sia vederlo morire”.

“Quando stavo male ed ero depressa, mia madre mi portava a comprare vestitini per la bimba. Da quando ho cominciato a sentirla muoversi, mi davo forza soprattutto per lei. Non dovevo più guarire solo per me, ma avevo un altro scopo da raggiungere”: da Avvenire del 9 dicembre, p. 6, prendo queste parole forti che fanno parte della storia di Elena “incinta a 19 anni e con tante difficoltà”, riportata a corredo del servizio su “Cure possibili per i tumori in gravidanza”. Quelle parole le dedico alle mamme che visitano il blog, in confezione regalo con altri due post dello stesso segno: Jennifer così sicura di essere madre del 9 maggio e Il bimbo ha cercato di nascere dell’8 agosto. 

–         Che porti, un regalo?
–         Ho comprato il muschio per il presepio: una cassetta 15 euro.
–         Costoso!
–         Beh, costa quanto un mazzo di fiori.
–         Ma il muschio cresce spontaneo…
–         Però bisogna raccoglierlo. A me il muschio piace più dei fiorie e dura anche di più.
–         Perché non vai a raccoglierlo nel bosco, al Soratte o al Terminillo?
–         Faccio il presepe in casa da sempre, prima lo raccoglievo nei campi, con un’uscita il fine settimana, ma adesso non ho tempo e lo compro.
–         Non ti sa di falso a comprarlo?
–         No, anzi dal fioraio lo trovo migliore di quello che saprei cercare io.

“Sarò felice solo quando morirò e potrò ritrovare mio figlio”: così Salvatore Piscitello, graziato il 5 dicembre dal presidente Napolitano. Uccise con un colpo di pistola nel 2003 il figlio Sergio autistico, sordomuto, violento, che aveva assistito per 39 anni.

“Buongiorno principessa… se solo mi aprissi il tuo cuore ti darei il mondo…”: scritto sul marciapiede davanti a un portone di via Carlo Alberto a Roma.

– Quello stesso giorno siamo andati dal notaio per aprire il testamento della bisnonna americana.
– Che cosa avete ereditato? 
– Niente! E non solo non ci abbiamo guadagnato, ma abbiamo pure scoperto che siamo ebrei!
– Non lo sapevate proprio?
– Non se ne sapeva nulla. Non proprio ebrei ebrei, ma ebrei per un sesto, vai a capire. Il notaio ha detto che vale solo per le donne.
– Forse ha detto che è attraverso le donne che si trasmette l’appartenenza alla comunità ebraica…
– Sì, ha detto così, ma io capivo poco perchè parlava lento lento e veloce veloce.
– Sei contenta di essere per un sesto ebrea?
– Ci devo pensare. E’ a tutta la storia che devo ancora pensare. Non capisco come faceva la nonna a essere ebrea e a non saperlo.
– La mamma che dice?
– Non l’ha presa bene. La prendevamo sempre in giro dicendole che era una “mamma ebrea”, da quando avevamo visto Moni Ovadia in televisione e a lei non importava. Ma ora che sa di essere ebrea quella battuta non le piace per niente.
(Conversazione ascoltata in treno tra una ragazzina di terza media e un accompagnatore)

Dicevo al post precedente della malia di Istanbul e che ero contento di averla vista. Aggiungo oggi l’emozione delle moschee costruite sul modulo di Santa Sofia e l’altra forte impressione di quella parte del mondo musulmano chiamata Turchia che ha cercato di avvicinarsi – come ha potuto – all’Occidente. Penso a questi vasti mondi e mi chiedo se abbia senso un’Unione europea senza Costantinopoli. Da Costantinopoli vengono Bucarest e Belgrado, Sofia e Kiev: ci saranno un giorno – in Europa – queste figlie e non la madre? E se non ci saranno nè le figlie nè la madre, avremo un’Europa a una sola dimensione, quella latino-germanica? Essa – come diceva papa Wojtyla – non dovrebbe tornare a respirare con ambedue i polmoni? – Forse Istanbul è più di quanto vorremmo, ma di Costantinopoli non possiamo fare a meno e Costantinopoli è dentro Istanbul! Questo è un dilemma – io credo – che il cardinale Ratzinger e papa Benedetto hanno discusso fittamente tra loro, tra l’estate del 2004 e l’autunno del 2006.

Non ero mai stato a Istanbul, ma l’avevo sempre sognata. Avevo letto anni addietro un bel saggio su Costantinopoli “capitale cristiana” e poi, in più stagioni, storici bizantini e cronache arabe e crociate, racconti di assedi e saccheggi. In preparazione all’incontro con la città che congiunge Europa e Asia mi ero deliziato con il volume Istanbul del premio Nobel Orhan Pamuk, che è due volte bello perchè pieno di foto. Avevo dunque molte immagini della metropoli, ma non la sua veduta. Ci ho dormito due notti e non ho avuto il tempo di visitare granchè ma sono andato avanti e indietro, di giorno e di notte, per le grandi vie che la percorrono lungo le due rive del Bosforo. Me la sono vista intorno e sentita addosso, l’interminabile città che si alza sui colli e si avvalla, chiude e apre orizzonti su se stessa, dispendiosa e maliosa squaderna spettacoli del tutto nuovi a ogni svolta della strada o della riva. La stessa sorpresa agli occhi e all’anima mi era venuta dal primo contatto con Gerusalemme e con Rio de Janeiro, città delle quali pure avevo tante vedute, mitiche e fotografiche e cinematografiche, ma non la veduta che le tiene unite. Per Gerusalemme l’ebbi – quell’immagine viva – salendo sul Monte degli Olivi, per Rio e Istanbul attraversandole. Sono contento di quanto ho visto.

Ero giovedì tra gli ospiti dello speciale di Porta a porta da Istanbul, trasmesso dalla cabina di comando di una nave traghetto ancorata alla riva del Bosforo, in vicinanza del ponte Galata. La scelta era dovuta al desiderio di ambientare la conversazione nel gorgo di luci di quell’incredibile città posta a cavallo di due continenti e capitale di imperi, per più secoli rispetto a ogni altra. L’ultima mia partecipazione a una puntata di Porta a Porta risaliva al 10 marzo del 2000, una serata da Gerusalemme, in occasione del pellegrinaggio giubilare di papa Wojtyla. Allora le riprese avvenivano dal terrazzo di un albergo che dava sulle mura di Solimano. Ta gli ospiti di ieri sera c’era il cardinale Bertone, che era stato accompagnato all’appuntamento da due uomini della vigilanza vaticana e dal padre Lombardi. Sono restato colpito dalla valutazione entusiasta che i due davano delle giornate passate da papa Benedetto in Turchia. Trovavano buona la copertura televisiva, incoraggianti i commenti degli editorialisti, utili i contatti che avevano avuto con le autorità: “Meglio di così non poteva andare”. Il cardinale aveva promesso a Bruno Vespa di restare “solo per dieci minuti” e invece si è trattenuto per l’intera trasmissione. Devono aver avuto davvero un grande timore in Vaticano, se così grande è il loro gradimento per l’accaduto.

Sono ancora a Istanbul – ripartiamo per Roma alle 13 – scrivo con una tastiera che non controllo per dire che papa Benedetto ieri ha onorato l Islam che prega; come farebbe ognuno di noi che venga a trovarsi con un musulmano che durante la visita a una moschea si metta in preghiera – cosi’ ha mostrato ai veri musulmani che non e’ un crociato e non disprezza la loro fede. Non mi aspettavo che visitasse una moschea e non mi aspettavo quel minuto di raccoglimento ma sono contento che vi siano stati. Sono mutamenti che capitano a chi gira il mondo e ovviamente per primi agli apostoli – chiamati a farsi giudei con i giude. pagani con i pagani, ismaeliti con i figli di Ismaele.