Anno: <span>2007</span>

Improvvisa giunge al segno la freccia dell’anno tra fuochi e spari. Tra spari e fuochi riparte inaspettata la nuova freccia. Calmo trasale a questo vento di mutazione chi non bada a fuochi e spari.

Oggi piango su Benazir. La sento sorella per il nome sognante che sempre mi piace pronunciare e per la pietà con cui ha rivendicato la memoria del padre mandato a morte quando lei aveva 26 anni, ma soprattutto per la fiducia nel proprio destino di donna che si sentiva chiamata a soccorrere la patria. Per me il Pakistan, come la gran parte del mondo musulmano,  è un luogo di oscure sofferenze (vedi post del 19 dicembre) alle quali non so come guardare, ma in quell’oscurità c’era la luce del nome e degli occhi di Benazir a guidare il mio sentimento. Quando non so scegliere io sto con una donna che ha il coraggio di indicare una soluzione e questo stava facendo Benazir. Specie se mamma, una donna ha quella cognizione del dolore che considero essenziale per chi si deve occupare dei destini di un popolo. E considero un guaio che noi – a differenza del Pakistan – non abbiamo mai avuto una donna al comando. Lei era stata due volte primo ministro e tre volte madre. Sapeva di essere un bersaglio eppure ha continuato bella e intrepida per la sua strada, a volto scoperto. La vedo come una martire della dignità della donna nell’islam.

Buon Natale, miei bloggers! Ieri alla messa in parrocchia c’era un barbone ridente che quando passavano i chierichetti per la raccolta delle offerte faceva anche lui il giro tendendo la mano. L’abbiamo poi rivisto percorrere le navate allo scambio della pace, dando a tutti la sua mano nerastra. Nessuno la rifiutava. Mi è parso un buon segno e con esso dico buon Natale ai naviganti, buon Natale a tutti quanti! Luigi

Un prete ambrosiano suona a una porta per la benedizione delle case – che a Milano si fa durante l’Avvento – e viene accolto da una donna in tenuta da prostituta che si scusa, si getta addosso una veste da camera e lo segue per le stanze mentre sparge acqua e parole benedette. Alla fine ringrazia e si scusa ancora. “I malati e non i sani hanno bisogno del medico” dice a se stesso il prete in ascensore.

Non bisogna illudersi, i problemi che pone il secolarismo del nostro tempo e la pressione delle presunzioni ideologiche alle quali tende la coscienza secolaristica con la sua pretesa esclusiva alla razionalitá definitiva, non sono piccoli. Noi lo sappiamo e conosciamo la fatica della lotta che in questo tempo ci è imposta. Ma sappiamo anche che il Signore mantiene la sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”: così Benedetto ha parlato alla Curia romana venerdì e mi pare leghi a meraviglia i due sentimenti del cristiano nell’imminenza del Natale, l’uno che viene dal bambino che sarà sempre con noi, l’altro dal dileggio di chi ci vede inteneriti da quel mistero. Aggiungo solo che quella tenerezza riscatta il dileggio.

“Un bambino amato non sarà mai abusato”: scelgo questa frase di don Fortunato di Noto per segnalare il libro che ha scritto in collaborazione con Antonino D’Anna, giornalista del quotidiano online Affaritaliani.it e visitatore – con il nome Tonizzo – di questo blog: Corpi… da gioco  – Il prete delle calzette sui marciapiedi dei bimbi dimenticati – La lotta contro pedofilia e pedopornografia.  Rispondendo alle domande del giornalista, il sacerdote siciliano racconta la sua battaglia, ricorda la sua adolescenza da promessa del basket, il seminario, l’esperienza di parroco e il salvataggio di una bambina, la scelta di occuparsi dei più piccoli schiavizzati dai pedofili e la lotta per loro. Don Fortunato interpreta l’oscuro mondo degli orchi e chiarisce come la loro attività non sia solo immorale ma anche criminale e “culturale”, volta cioè ad affermare l’idea che esista una pedofilia “buona” da riconoscere nelle sue ragioni. Oltre a gettare luce sul business miliardario della pedopornografia, rievoca il piano di un gruppo pedofilo che voleva colpirlo e il processo vinto contro due appartenenti a quel gruppo da cui ricevette anche minacce di morte. Il libro è pubblicato dalla EdiArgo (www.ediargo.it ) di Ragusa. Sul sito dell’editrice è possibile ordinare il libro online.

“Venerdì scorso abbiamo chiuso la scuola alle 12 mentre infuriavano gli attacchi aerei e il fuoco incrociato fra talebani e forze governative. Eravamo molto preoccupate per la sicurezza dei nostri 150 bambini che piangevano. Li abbiamo nutriti con pane e marmellata e una tazza di tè”: così suor Costantine della Congregazione del Carmelo Apostolico scrive all’Osservatore Romano da Lahore (Pakistan). Lo riporto per dire come è fatto il nuovo OR e per fornire un esempio di quei “cuori” che si pongono “al servizio dei piccoli e dei poveri” e nei quali Dio “dimora”, secondo quanto ha detto domenica papa Benedetto (vedi post del 17 dicembre). In quella stessa corrispondenza quell’impagabile sorella scrive: “Ora dobbiamo aspettare per vedere cosa ci riserverà il futuro. È tutto nelle mani di Dio. Attendiamo che ci dica qualcosa”. E noi attendiamo che suor Costantine ce lo comunichi, via Osservatore.

L’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede Antonio Zanardi Landi offre una simpatica colazione a vaticanisti e assimilati, in larga tavolata. Ci sono Franca Giansoldati e Marina Buttiglione per nominare due donne. Sandro Magister, Marco Tosatti, Andrea Tornielli, Paolo Rodari per citare alcuni che hanno un blog. E tanti altri naturalmente, siamo più di venti. Capito tra Francesco Margotta Broglio e il consulente ecclesiastico dell’ambasciata don Marco Ceccarelli. Prima e dopo il pranzo sportivamente strologhiamo che la sostituzione del cardinale Ruini al Vicariato dovrebbe arrivare a fine primavera, ma qualcuno butta là che c’è stata un’accelerazione e sarebbe da attendere per febbraio-marzo. Io resto favorevole alla primavera avanzata. Complimento il caro Di Cicco – da due mesi vice-direttore dell’Osservatore romano (vedi post del 30 settembre) – per l’occasione che ha avuto – l’8 dicembre – di essere invitato con il direttore Vian alla tavola del papa. L’ambasciatore – che conosco da quando fu il numero due dell’Ambasciata, una quindicina di anni addietro – nel saluto iniziale mi nomina come il decano della compagnia. Ringrazio e preciso che in verità, quando iniziai questo lavoro, 32 anni fa (ero nella redazione della Repubblica impegnata nei “numeri zero” – cioè le prove di stampa che non andavano ancora in edicola), erano già in questo lavoro – per citare solo i presenti alla colazione – Carlo Di Cicco (allora all’Asca), Sandro Magister (allora e oggi all’Espresso), Marco Politi (allora al Messaggero oggi alla Repubblica). “Ma perché lei viene sempre indicato come il decano?” chiede l’ambasciatore. Rispondo che è una questione di immagine alla quale contribuiscono la barba bianca, l’ordine alfabetico e la testata di appartenenza. Non lo dico ma in effetti mi piace passare per il decano senza averne diritto.

Come domenica 9 (vedi post in questa data: Se somiglieremo al bambino) anche ieri Benedetto ha detto il cuore del cristianesimo con le parole più semplici: “La gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l’anima è nella gioia“. Già domenica 21 novembre aveva pronunciato parole splendenti sullo stesso tema, quello del Dio amore che si fa vicino a noi in Cristo e che noi incontriamo nel prossimo di cui ci prendiamo cura: “In ogni piccolo ma genuino atto di amore c’è tutto il senso dell’universo“. Vedi anche il post in tale data, sulla forza di parola del papa, che si impenna quando tocca il cuore del cuore del messaggio cristiano. Ormai sono sicuro che ogni domenica mi porta dell’oro all’angelus.

Stamane sono stato a messa a Santa Pudenziana, una delle due chiese romane date in uso alla comunità filippina. Un pieno di donne, ma anche famigliole e – a occhio – un quarto di uomini. Tanti canti e fiori, addobbi di Natale più vivi e colorati rispetto ai nostri. Una celebrazione impeccabile nei gesti, ma calorosa nelle voci e negli sguardi. Abito a due passi dalla bellissima chiesa e sempre vedo la domenica la vivace comunità che – davanti alla chiesa e per un buon tratto di via Urbana – mangia, gioca e si diverte pacificamente per gran parte della giornata. Più volte avevo visto questa comunità sfilare per le vie del quartiere festante e danzante con tamburi e statue coperte di fiori (vedi post del 14 gennaio: Cristiani autoctoni e forestieri). Mai ero stato a messa con loro. Ero l’unico non filippino, felice d’essermi mescolato a loro. Abituati a temere la crescita degli stranieri tra noi, rischiamo di non vedere le presenze che incoraggiano a sperare.