Mese: <span>Aprile 2007</span>

“Vai a scuola e impara dalla strada”: scritto sulla parete di sinistra della stazione di Tagliacozzo, per chi la guarda dal treno.

Stamane alle 09,30 ho avuto in Sala Stampa Vaticana una copia del libro “Gesù di Nazaret” (Rizzoli editore) a firma “Joseph Ratzinger – Benedetto XVI”. Lo sto leggendo in treno, mentre vado a Morrovalle (Macerata) per una conferenza presso l’Istituto comprensivo “Via Piave” e mi sento fortunato: un libro su Gesù, l’argomento che amo di più, scritto dalla persona che ho più interesse a conoscere in ogni piega dell’animo e del pensiero, cioè il papa di Roma. Penso che tornerò con calma sull’argomento, ma da subito butto là un’idea per i visitatori che hanno qualche contenzioso con il papa teologo: approfittino di questo libro per amarlo. Il papa che parla di Gesù non è ciò che tutti attendiamo? Egli ci dà ora questo volume e ce ne promette un altro. Se non ci va granchè il papa che batte sulle “radici cristiane dell’Europa” o sui “principi non negoziabili”, non potremmo sintonizzarci con lui ora che affronta l’argomento degli argomenti? A risentirci.  

“Ho una bomboletta in mano – la strada è deserta – e penso a te”: scritto a grandi lettere sul selciato in via Borgo Pio, a Roma.

Dopo le domande sul cardinale Martini che mi furono rivolte al termine di una conferenza (vedi ai post 22, 24, 26, 28, 30 marzo), altre ne ebbi da parte di un collega che preparava un servizio sull’argomento e una in particolare che diceva: che pensa il papa di Martini? Risposi che avevamo una buona informazione sul bel rapporto che avevano costruito da cardinali e che si poteva presumere continuasse anche dopo l’elezione dell’uno a papa. Avendo la stessa età e avendo accompagnato da ruoli di primo piano e per gran parte della sua durata il pontificato di Giovanni Paolo, i due si conoscevano perfettamente, avevano avuto una lunga e viva collaborazione per un decennio alla Congregazione per la dottrina della Fede (Ratzinger prefetto, Martini tra i più autorevoli cardinali membri), sapevano di non essere d’accordo su tanti argomenti ma conoscevano la reciproca lealtà e dunque la comune indiscutibile partecipazione alla stessa impresa. L’apprezzamento di Martini per Ratzinger e per la sua elezione l’ho già documentato nel post del 24 marzo. Qui documento l’apprezzamento di Ratzinger per Martini, come fu espresso con un breve contributo all’opera miscellanea Carlo Maria Martini da 15 anni sulla cattedra di Ambrogio (Editore San Paolo 1996, pp. 101-103). Il testo è intitolato Un instancabile maestro della “lectio divina” e solo leggendolo per intero si coglie tutto l’animo dello scrivente. Lo riporto – essendo quel volume oggi indisponibile – come primo commento a questo post. Segnalo due passi chiave. Dove dice “ho ritenuto indispensabile che Martini divenisse membro di questo dicastero” e poco più avanti: “Le (nostre ndr) due posizioni non si escludono affatto; al contrario, esse si integrano e completano a vicenda. Ecco perchè ho sempre considerato un arricchimento e un aiuto i voti del cardinale Martini, anche laddove io non potevo condividerli senza riserve: posizioni e accenti differenti sono necessari per permetterci, a partire da aspetti diversi, di avvicinarci al compito complesso della Chiesa in questo tempo e di tentare, più o meno, di svolgerlo”. I “voti”, cioè i pareri esposti da Martini nelle sedute della Congregazione: dunque Ratzinger a volte non li condivideva ma li considerava comunque “necessari”. Io penso che oggi guardi con lo stesso atteggiamento ad alcune delle “uscite” di Martini dal suo silenzio. E su questo basta. 

Buona Pasqua ai visitatori. Due volte buona Pasqua a chi vive un dolore, un tradimento, a chi sente che gli sfuggono le forze o la memoria. A ognuno che pena nella vita, a chi ha paura della morte e dunque – io penso – a tutti. A chi ha smarrito il Vangelo, a chi non ha chi l’ami. Cristo che torna alla vita porti vita nuova alla famiglia umana. Torni a manifestarsi alla nostra incredulità. Rifaccia credibile l’avventura cristiana sulla terra, come lo fu quel mattino di Pasqua.

“Buongiorno spettacolo! Ti ho già detto che ti amo”: scritto su una saracinesca in via S. Severo a Roma. Immagino l’abbia scritto lei di mattina presto per un lui titubante che lavora dietro quella saracinesca.

Da un fioraio di via del Gambero, a due passi da Montecitorio, ho incontrato ieri sera il ministro Rosy Bindi e le ho rinnovato il mio abbraccio di solidarietà. In un post del 10 febbraio intitolato Difendo Rosy Bindi avevo scritto che – tuttavia – “non difendo” i Dico e mi è stato chiesto perché e ora provo a dirlo, dopo quasi due mesi di riflessione. Mi era piaciuta l’idea formulata nel programma dell’Unione di riconoscere i diritti dei conviventi senza creare l’istituto delle convivenze. Ma poi si è andati a un disegno di legge del Governo che forse di fatto quelle convivenze le riconosce: era necessario questo passo? Magari un parlamentare dell’Ulivo dirà che era “politicamente” necessario e io rispetto questa opinione, in forza della responsabilità propria del politico che si esercita nella mediazione. Ma io non sono un politico e da giornalista che pure ha votato per l’Unione dico che in tale delicatissima materia sarebbe stato preferibile – direi anzi obbligante – che si cercasse una più larga convergenza. Prodi oggi afferma che in materia di legge elettorale una maggioranza non può fare e disfare senza tener conto dell’opposizione e allora io dico: il destino della famiglia e dei conviventi non è altrettanto importante? Magari poteva risultare che anche andando a una larga intesa si arrivasse a formulare una legge che “comunque” un vescovo – come ogni cittadino timoroso dell’indebolimento della famiglia – avrebbe giudicato “inaccettabile e pericolosa”, ma almeno in qual caso sarebbe risultato lampante lo stato di necessità politica in cui quella soluzione era stata adottata. Ora invece si può dire che ogni tentativo per trovare un’alternativa sia stato fatto? Io credo di no, non essendo stata esperita la via dell’intesa con l’opposizione. Una via che a mio parere si può e si deve ancora tentare nella Commissione Giustizia del Senato, dove si stanno discutendo le dieci proposte giacenti e in ogni sede.

“Ma io riderò di voi perchè siete tutti uguali”: letto sulla parete esterna di un vagone della Metro B, a Roma.

Ho trovato questa lettera d’amore di un uomo alla sua donna – scritta nel decimo anniversario della morte di lei – sul quotidiano La Stampa di martedì 6 marzo 2007. Non tutto si capisce a una prima lettura e forse neanche a una seconda, ma si coglie l’oro di un amore intatto negli anni, anzi cresciuto – si direbbe – con i due figli Gigia e Mimì che stanno per compiere, forse, undici anni. Cristina ci viene presentata come donna credente e solidale, provvida anche verso tante “bestioline” di cui si prendeva cura. Lo sposo innamorato e di “poca fede”, come di sé dice due volte, le parla in un lessico familiare a noi oscuro ma pieno d’affetto. “Folle nella speranza” accenna anche all’attesa di un giorno “tutto nostro” che li riunirà. La lettera è preceduta dalle date del decennale “1997-2007” e da una lunga citazione – che ometto – di un testo di Edgar Lee Masters, preso da In memoria di Edith ConantAntologia di Spoon River. Segue un titolo a modo di iscrizione su lastra di marmo: Cristina Domina – in Di Felice – 6.3.97
 
Ciao Cristina, Cristina mia dolce, auguri tanti e belli che dieci fanno oggi quegli anni da quando, reduce da quelle procelle che “Generosa” la Sorte non risparmiò al tuo vivere, approdasti alla spiaggia di quei giorni di cui parlavi e dicevi, anche alla mia poca fede. Una volta tanto, un vento dolce e un mare tranquillo vennero in aiuto a te, che nata ad un mondo non facile, per reggerti scegliesti il bastone della solidarietà. E’ così amore mio che la sera, anzi la notte, nell’attesa di quella pace che non trovo, mi acquieta, mi consola, mi piace pensarti appisolata sul cuscino del male non fatto e del bene mai negato, quel cuscino che mai abbandonasti e, sono sicuro, ti sarai portata dietro. Sono anche sicuro, Cristina mia, che la sera quando il sonno ti accarezza la fronte tu mi pensi, e come sempre dirai “Notte Papi”; sono io invece che, da dieci anni orfano di un tuo segno, non posso che rivolgermi ai ricordi, e dire loro come facevo con te, “Notte Mami”.
Che brutta cosa amore mio ripeterti sempre le stesse cose, ma come forse saprai, come forse vedrai, anch’io ho il mio mare, un mare di amarezza, ed una spiaggia, dove quando mi volto indietro vedo solo le mie orme, perché mancano le tue, quelle che una volta reggevano i miei passi. Accade così che, ogni tanto, folle nelle intenzioni e nella speranza, raccolga una conchiglia, l’accosti all’orecchio, e cauto nel respiro ascolti e attenda, perché forse chissà…che dal vento, dalle onde, dai cieli, dal tuo amore, non mi giunga quel sussurro di te che mi doni forza e certezza, in attesa di quel giorno tutto nostro che finalmente ci riunirà. Queste cose Cristina ti ho detto, perché anche l’eco del vuoto e dell’assenza parlano, e a me non rimane che il balsamo non facile ma soccorrevole della mia voluta lontananza dalle cose di questo mondo, che onestamente non sento più mio. Recentemente un sacerdote della cultura ha scritto “…Il Destino C’E’:…  (E nei suoi morbosi Alfabeti, coppie o solitudini, tutto è già scritto)”. Purtroppo penso che sia proprio così, ora che a farmi compagnia sono i tuoi ultimi giorni, quei giorni in cui i tuoi occhi erano un abbraccio d’amore, d’amore per me, i tuoi silenzi parole d’amore, d’amore per me, e i tuoi ultimi respiri li avresti voluti padri e madri dei miei, genitori novelli e messaggeri augurali di una mia lunga vita. Dì la verità amore mio, come tuo ultimo desiderio, se ti fosse stato concesso, non avresti voluto diventare il mio secondo angelo custode, tu che credevi nel Primo? Ciao bella, anche se sono tante le cose che avrei e vorrei dirti ancora, ora devo lasciarti. Per questa prioritaria mi è andata bene, per il futuro non so cosa dirti. Baci, abbracci, coccole e fusa. Claudio, Gigia, Mimì all’alba del 3652° giorno. Torino, 6 marzo 2007
P.S. Amore, tra dieci giorni dieci, Gigia e Mimì fanno gli anni. Quel giorno, insieme a loro, in braccio a me e alla mia poca fede, ci sarà anche una tua foto, che baceremo undici volte undici, anche a nome di tutte quelle bestioline che da te furono salvate, curate, confortate e assistite fino alla fine dei loro giorni. Per loro, quel giorno, provvederò anche a “fargli la pappa bella”, perché così mi dicesti; così mi ricordasti, così mi raccomandasti a futura consegna, con la naturalezza dell’amore, ma anche con l’apprensione di una madre che vede orfani i suoi figli. Come già allora, come già oggi, come già quel giorno sarà, ad unirci, anzi a tenerci tutti stretti, sarà un nodo alla gola, un nodo che solo una tua carezza potrebbe…sciogliere, ma tu, amore nostro, potrai? Al momento riposa e sogna, sogna e riposa Cristina nostra, mamma CICCIA, nostra MAMI.

Due ragazzi si baciano allacciati all’ingresso della Metro, fermi nel fiume della gente che li sfiora. Mi fermo un attimo, felice del loro incantamento.