Mese: <span>Giugno 2007</span>

Ad Assisi di notte, fuori porta San Giacomo. Escono dalle mura due camerieri di un ristorante trascinando sacchi di spazzatura. “Che sono questi” fa lui indicando con la testa una fila di cabine sotto gli alberi. “Gabinetti per la folla di domani” dice lei. “Gabinetti? Tu scherzi”. E la ragazza: “Alì aggiornate, sono gabinetti chimici. In Marocco non li avete, vero?”

Vigilia trafelata della venuta del papa ad Assisi per gli 800 anni dalla conversione di Francesco. Domani Benedetto XVI avrà una giornata intensa: dieci appuntamenti, più di quanti gliene abbiamo mai visti accumulare in una giornata fino a oggi: parte dall’eliporto vaticano alle 07,30 e rientra alle 19,50. Si direbbe che ci abbia preso gusto a fare il papa. – In vista di tanto movimento i poveri giornalisti si “posizionano” fin dalla sera prima, perché “domattina sarà tutto bloccato”. Percorso avventuroso per portare la Croma al parcheggio stampa “Selva di San Francesco”, alle spalle del Sacro Convento. Bella veduta al tramonto dei suoi contrafforti, delle rampe e delle muraglie in pietra rosata del Subasio. Mai ti capita di arrivare a ridosso di tanta meraviglia e vedendola da lontano – poniamo dall’agriturismo Carfagna che è subito sotto, dove si mangia un ottimo “scottadito d’agnello” – uno dice “beati i frati che ci abitano”. Dedico ai miei visitatori la vista di un’edicola con papa in trono, che aggetta dall’alto dell’ultimo sperone a scivolo sulla valle. Poveretto, se solo soffriva di vertigine!

Nella notte è morto Giuseppe Alberigo, la testa migliore del nostro cattolicesimo critico, quello che si ispira a Dossetti e fa lavoro culturale alto. Non era un uomo amabile. Combattivo forse più del necessario, faceva soggezione. Ma era un credente e io l’ho amato per una o due frasi che ho preso da lui in un periodo in cui un poco lo frequentavo, quasi quarant’anni addietro: “resistere alla tentazione di abbandonare la fede” e “prestare attenzione a chi ci aiuta a credere”. La sua intelligenza aiutava a credere. – Un abbraccio alla cara Angelina, ai figli e ai nipoti.

“Maestra, hai visto il film dei preti cattivi? Io l’ho visto e la mia mamma ha detto che non mi manda più al catechismo”: dialogo di fine anno in una scuola romana (vedi post del 1° giugno).

E’ nato Pietro figlio di Agnese, figlia di Luigi che sarei io. E’ il secondo nipote e l’accogliamo con la festa assommata con cui abbiamo accolto i figli e il primo nipote. Benvenuto piccino bello nella grande giostra della vita! Tu sei per noi il segno che Dio non si è pentito della sua alleanza con l’umanità. Un grande abbraccio a te, a mamma Agnese e a papà Paolo dai nonni Isa e Luigi.

Nel mio commento al libro del papa su Gesù oggi mi fermo su una sola frase, che tratta del “falso legalismo contro cui combatte Paolo e che, nell’intero corso della storia, purtroppo, è stato posto sotto l’infelice nome di giudaismo” (p. 150). Una frase importante, che riassume efficacemente la riflessione del cardinale e teologo Ratzinger sulla relazione tra la Chiesa e Israele e sulla “consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza dei cristiani dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945”, come si era espresso nel volume  La Chiesa, Israele e le religioni del mondo (San Paolo 2000, p. 5). Per una piena interpretazione di quelle poche parole sono utili, nel volume su Gesù, i braci citati al post precedente a esso dedicato e alcune  righe che si leggono a p. 133: “Va da sè che questa concezione (del giudaismo del tempo di Gesù come un “legalismo fossilizzato, che nel più profondo significherebbe ipocrisia”, ndr) non poteva generare un’immagine amichevole del giudaismo. La critica moderna – a partire dalla Riforma – ha visto però l’elemento ‘giudaico’ così concepito ripresentarsi nel cattolicesimo”.  Per la summa della posizione di Ratzinger sull’ebraismo al volume citato sopra va aggiunto l’articolo apparso sull’Osservatore romano del 29 dicembre 2000, intitolato L’eredità di Abramo dono di Natale.

“Grazie per aver letto”: scritto su un foglio che trovo a terra in via dell’Arancio a Roma, Un equivalente gentile del villano “fesso chi legge” che furoreggiava sui muri d’antan. Potrebbe essere il motto di chi tiene un blog.

Nel capitolo sul Discorso della montagna – quarto del volume su Gesù – papa Ratzinger conduce un lungo dialogo con “il grande erudito ebreo Jabob Neusner” autore di un volume intitolato Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù (Piemme 1996), facendone – si direbbe – l’interlocutore privilegiato dell’intera opera. Quel dialogo gli è occasione per esprime una comprensione fraterna dell’ebraismo di oggi e delle interpellanze che esso rivolge ai cristiani. Ecco qualche brano che meglio segnala questo atteggiamento:

Questa disputa (di Neusner con Gesù, ndr) mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Così, in un paragrafo, desidero entrare anch’io da cristiano nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù (93);

Cerchiamo di riprendere l’essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei (130);

Alla cristianità farebbe bene guardare con rispetto a questa obbedienza di Israele (alla Torah, ndr) e così cogliere meglio i grandi imperativi del Decalogo, che essa deve tradurre nell’ambito della famiglia universale di Dio (150).

La ricerca di un atteggiamento fraterno con gli ebrei di oggi risuona anche in altre parti del volume. Ecco per esempio nel capitolo sul Padre nostro come viene commentata la norma ebraica che “non si pronunciasse” l’audodefinizione di Dio – “Io sono colui che sono” – “percepita nella parola YHWH”: “E pertanto non è corretto che nelle nuove traduzioni della Bibbia si scriva come un qualsiasi nome questo nome per Israele sempre misterioso e impronunciabile, riducendo così il mistero di Dio, del quale non esistono nè immagini nè nomi pronunciabili, all’ordinarietà di una comune storia delle religioni” (173).

Con piacere ho letto sull’Avvenire del 1° giugno che il rabbino Jacob Neusner ha dato un giudizio entusiasta del volume del papa: “Col suo Gesù di Nazaret le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era“.

Ad Asti per una conferenza intitolata “Io non mi vergogno del Vangelo” sono stato interrogato sulla politica e ho sostenuto la libertà di scelta, aggiungendo che ogni opzione risulterà inadeguata e ne verrà il dovere di impegnarsi a diffondere nella compagnia che si è scelta i sentimenti cristiani che in essa sono meno accolti. Se hai votato a sinistra ti adoperai perchè l’ambiente di sinistra sia più ricettivo nei confronti della vita, della famiglia e della libertà educativa. Se il voto ti ha portato a destra, promuoverai le sorti dello straniero, della pace e degli ultimi. Ho pure detto che in questo modo ci si fa portatori del Vangelo in politica, mentre quando ci appelliamo al cristianesimo per polemizzare con i cristiani che stanno dall’altra parte usiamo la fede a scopo politico. Un ragazzo presente all’incontro mi scrive per chiedermi un parere sull’opportunità che i cristiani tornino a raggrupparsi in un unico partito. Riporto la lettera come primo dei commenti e sviluppo poi la mia risposta che è favorevole alla trasversalità della presenza cristiana e anche alla sua mobilità, compreso il voto disgiunto, ma che è contraria all’unità politica dei cattolici. Perchè una tale unità – quando non è necessaria, come nell’Italia di oggi – mortificherebbe l’importanza delle scelte politiche subordinandole a un’idea generale e ridurrebbe la funzione di lievito della nostra presenza – il lievito dev’essere ovunque – risultando, in definitiva, meno efficace nella promozione dei sentimenti e valori cristiani. 

“Miao Micia! FC”: scritta su un muro, leggibile dalla ferrovia sul tratto La Spezia-Lerici. Immagino che i gatti siano così numerosi, in quel tratto, da indurre il nostro a mettere le proprie iniziali in modo che il messaggio risultasse inequivoco, quanto al mittente.