Mese: <span>Agosto 2007</span>

Sono per la diciottesima volta in Sicilia. L’anno scorso (vedi post del 13 agosto 2006 e seguenti) ho fatto il periplo dell’isola, quest’anno punto verso l’interno ed eccomi a Piazza Armerina dove arrivo giusto in tempo per vedere il 14 agosto la conclusione del Palio dei Normanni e il 15 la festa di Santa Maria delle Vittorie. Il riferimento è al Conte Ruggero che libera la città dalla dominazione araba. Il corteo esibisce cinquecento figuranti con i notabili della città che consegnano le chiavi di Piazza al conte, tamburini e gonfalonieri, arcieri e cavalieri, dame e damigelle che sfilano senza fare confusione, compresa un’intera famiglia di falconieri con un maestoso gufo reale a capo scoperto e i suoi piccoli incappucciati retti sul pugno dai bambini. Ma la ricchezza della manifestazione sono i cavalli: una cinquantina, sommando i 24 gareggianti e gli altri di accompagno, trattati con disinvoltura e proprietà. Il migliore tra i cavalieri in gara, deciso e fulvo, ricorda l’Aragorn del Signore degli Anelli. In tante città d’Italia si vedono giostre, pali e quintane anche di maggiore tradizione rispetto a questo di Piazza Armerina che però attesta una cultura viva del cavallo ormai rara dappertutto. – Sono stato ospite del vescovo Michele Pennisi, che i visitatori del blog già conoscono (vedi post del 21 settembre) e che ho lasciato in partenza per il Perù dove domani a Cuzco inaugurerà una “Città dei ragazzi” che ospiterà 250 ragazzi poveri. Un’opera realizzata dai “Servi dei Poveri del Terzo Mondo” fondati da padre Giovanni Salerno originario di Gela e incardinato nella diocesi di Piazza Armerina. Buon viaggio al vescovo Pennisi e buona missione al padre Salerno.

Dodicesima scena. Entra nella tenda, in pieno giorno, il capo dei sequestratori e dice:

“Il riscatto è stato pagato, sei libero. L’Onnipotente, il Misericordioso ha ascoltato la nostra preghiera. O mio Dio nel giorno del giudizio poni il libro delle mie azioni nella mia destra, non nella mia sinistra ed esamina con favore il mio conto e quello dei miei compagni che hanno rischiato la vita per obbedire al tuo comando”.
Il missionario raccoglie la sua bisaccia, vi mette dentro il breviario e le sigarette, che erano poggiati su un masso in primo piano ed esce di spalle, dal fondo della tenda, dicendo ad alta voce:

“Grazie Signore per aver guardato alla miseria del tuo servo e per aver ascoltato il suo lamento. Fai in modo che il denaro che è stato pagato per la mia liberazione non serva per uccidere. Sono distrutto dalla compassione per quei quindici e quei tre che sono morti a causa mia. Tocca il cuore di questi giovani che mi hanno tenuto prigioniero. Sono stati gentili con me e soprattutto – mi vergogno a dirlo – mi hanno ricordato l’importanza della preghiera. Che missionario ti sei andato a cercare Signore, che missionario!” 
                                                   – FINE –

Undicesima scena. Si fa giorno ed entra il capo dei sequestratori, di nuovo con un giornale in mano. Mentre lo legge si ode la sua voce fuori campo che dice:

“C’è stato un altro combattimento e stavolta sono morti tre guerriglieri. Dio che fai uscire il vivo dal morto e il morto dal vivo perdona ai nostri vivi e ai nostri morti i passi che hanno compiuto credendo di allontanarsi da te per compiere opere di maledizione e benedici quelli che a te si sono avvicinati per compiere opere di benedizione”.
Quando ha finito passa il giornale al missionario, che lo legge a sua volta mentre fuori campo si ode la sua voce che dice:

“Quindici persone sono morte per me e tre contro di me. A quei quindici hanno tagliato la testa come a Giovanni il Battista. Questi tre li hanno riempiti di piombo dopo che probabilmente li avevano torturati. Qui è scritto che erano stati fatti prigionieri qualche ora prima della morte stabilita dall’autopsia. C’è un’inchiesta. E c’è la mia foto perché tutto ciò avviene a mio carico. Quelle teste i guerriglieri le hanno tagliate in nome del loro Dio. Questi altri la polizia li ha uccisi in nome dell’autorità dello stato che viene da Dio, come sta scritto nei libri. Il loro Dio, il nostro Dio! Non ne posso più, non so più chi prego. Dio Dio Dio…Hai dunque troppi figli che li lasci morire così? Giuro – Signore – che se mi tieni qui ancora un giorno divento ateo”.

Decima scena. Viene il buio. Il capo dei sequestratori accende una lanterna e mentre svolge questa operazione si ode la sua voce fuori campo che dice:

“O Dio, tu sai che cosa ne sarà di questo prigioniero che cerchiamo di trattare con gentilezza, perché egli in questo momento è un oppresso e ben sappiamo che tra te e la supplica dell’oppresso non si interpone nessun ostacolo”.
Il missionario prepara il suo giaciglio e si sdraia sulle foglie. Quando è sdraiato il capo dei sequestratori gli lega mani e piedi. Durante questi atti si ode la sua voce fuori campo:

“Signore non ho più nulla da dirti. Il mio cuore è arido. Il breviario non mi aiuta. Non sono degno neanche di pronunciare il tuo nome. L’unico sentimento che mi riempie il cuore è quello della pietà per i quindici che sono morti e per me e anche per questi poveri disgraziati che mi hanno sequestrato. Forse sono più indegno di parlarti rispetto a loro, nonostante i quattro mitra che imbracciano. Ma di’ soltanto una parola e io sarò salvo”.

Nona scena. Torna la luce nella tenda, il capo dei sequestratori si prostra e si sente come sempre la sua voce fuori campo che dice:

“O Dio, prego per ottenere la capacità di agire attraverso la tua potenza. Tu sai e io non so, tu puoi e io no. Se tu vedi che quanto stiamo facendo è buono allora fa che la nostra azione abbia successo. Se è male allontanala da noi”.
Poi tocca al missionario che seduto sui talloni, mani e piedi legati, così parla con voce fuori campo:

“Questo combattimento delle preghiere a cui mi hai chiamato – Signore – mi distrugge. Come si fa a pregare nella lotta? Un povero cristiano non ha diritto di pregare in pace i suoi salmi? Ma davvero tu – Signore – ascolti tutte le creature che si rivolgono a te? Non distingui tra chi ha il mitra e chi è disarmato?”

Ora tutti sono seduti sulle pietre. Il capo dei sequestratori si alza, va verso il missionario e gli dice: “Ti tengo prigioniero ma mi sei simpatico. Tu certo mi odi, eppure mi piacerebbe incontrarti quando sarai libero e parlare un poco”.

Il missionario si alza in piedi e gli risponde così, faccia contro faccia: “Non ti odio, ti ho già perdonato e sono allenato a non serbare rancore. Ma fuori di qui è meglio che non ci incontriamo, altrimenti ti denuncio perché rapire le persone è contro ogni legge umana e divina”.
Il capo dei sequestratori replica con lo stesso tono: “Lascia stare le leggi divine. Dio non vuole che tutta la ricchezza sia da una parte. E’ per quello che noi facciamo i sequestri”.

Ottava scena. Si fa buio, tutti dormono, il capo dei sequestratori prega:

“Dio è grande. Questo infedele già dorme e non sa che le preghiere sono migliori del sonno. Pace sia sopra di noi e sopra i giusti servitori di Dio”.
Il missionario da coricato, con voce fuori campo, dice così:

“Ma quanto pregano questi sequestratori! Io gli tengo dietro a fatica e sono un prete, pensa un po’ tu. Pregano per la guerra! E allora io devo pregare più di loro perché la guerra non va bene, questo è sicuro. Tu hai detto: ‘Rimetti la spada nel fodero’. Qui ci sono dei mitra, Signore”.
 

Si risente la voce del capo dei sequestratori – sempre prostrato – che dice: “Dio è grande. Abbiamo visto la tua potenza con la morte dei quindici che venivano contro di noi. Nulla ti può resistere”.
 

Di nuovo la voce del missionario – sempre coricato – come un lamento:“Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in  mio aiuto. Io sono un uomo da niente ma ho capito che questa nella quale mi hai posto è una storia seria quando ho sentito che sono morti in quindici per me. Non era più semplice che morissi io? Signore credo di non capire un accidente di quello che mi vuoi dire”.

Settima scena. Entra il capo dei sequestratori con un giornale in mano e legge: “C’è stato un combattimento tra un reparto dell’esercito e i guerriglieri che hanno rapito il missionario italiano. Quindici militari sono stati fatti prigionieri e sono stati sgozzati dai guerriglieri”. Si siede e si rivolge al missionario: “Che dici di questo fatto? Il missionario resta seduto sul sasso, si prende la testa tra le mani e tace a lungo scuotendola, come piangendo. “Perché non rispondi?” insiste il capo dei sequestratori. E’ la compassione per quei morti che mi impedisce di parlare” risponde il missionario. Poi – senza togliere le mani dagli occhi – dice: “Se i militari fossero arrivati fino a questa tenda che avreste fatto?”
“Ti avremmo ucciso e poi avremmo combattuto fino a morire”.
“Bello! E come mi avreste ucciso?” domanda il missionario continuando a tenere le mani sugli occhi.
“Tagliandoti la testa”
“L’avete già fatto?” chiede il missionario allargando le mani e mantenendole accanto agli occhi.
“Tutti l’abbiamo fatto almeno una volta, è una condizione per fare i sequestri”.
“Magnifico! Che schifo… Non ci posso neanche pensare” quasi grida il missionario muovendosi qua e là per la tenda.
“Tu hai paura della morte? Noi che abbiamo scelto di fare  la guerra non abbiamo paura di morire”.
“Ho paura di morire, non mi vergogno a dirlo. Ma se vuoi saperlo credo che sono anche capace di morire… no no, devo dire meglio, non capace di morire, ma di chiedere a Dio la forza per affrontare la morte se fosse necessaria per fare il bene”.
“Che bene facevi ai tuoi convertiti?”
“Gli insegnavo il Vangelo. Non c’è nulla di più importante da insegnare al mondo”.
“Che dice di utile il tuo Vangelo?
“Che Dio è amore, ci ama e vuole che ci amiamo tra noi come figli suoi”.
“Erano parole o davi anche qualche dimostrazione di questo comandamento?”
“Insegnavo loro ad aiutarsi nella coltivazione dei campi e nella costruzione delle case. Facevo i loro stessi lavori e insegnavo qualcosa del modo di lavorare che si usa al mio paese e che ho imparato da ragazzo, essendo anche io figlio di contadini. E poi li aiutavo a fondare scuole e cooperative di lavoro”.
“Per quel Vangelo e per questi contadini saresti disposto a morire?”
“Sì, spero di sì”.
“Allora siamo pari, perché hai anche tu una guerra per la quale morire”.
“No! Non siamo pari perché voi con la vostra lotta uccidete, io invece con la mia aiuto a vivere”.
“Solo Dio sa chi davvero aiuta a vivere”.

Sesta scena. E’ l’alba. Quando la prima luce entra dalle fessure della tenda il capo dei sequestratori si alza da terra mentre gli altri tre e il missionario continuano a dormire, versa acqua in una bacinella e compie le abluzioni rituali, mentre si ode la sua voce fuori campo:

“O Dio, preparandomi a iniziare la mia preghiera ecco io mi lavo la faccia e le mani fino al gomito, mi pulisco la testa e i piedi fino alla caviglia. Puro dev’essere colui che invoca l’Onnipotente”.
Quando il capo dei sequestratori ha terminato la sua preghiera, si vede il missionario che si scuote e si inginocchia sul fango come sempre e dice, con voce fuori campo:

“Signore tu vedi questa corda che mi lega le gambe e le mani. Questi tuoi ‘servi’ mi hanno sistemato così per la notte. Anche tu fosti legato mani e piedi. Non ti dico altro stamane. Anzi se non ci fossero qui intorno questi devoti non ti direi neanche questo. Perché stanotte ho sognato il Milan che perdeva sette a uno con il Manchester come la Roma – sette a uno, ragazzi! – e mi sono preso un dispiacere tale che ancora mi fa male. Signore, perché hai disposto che fossi io a essere rapito? Non vedi che non sono adatto per le grandi imprese? Mi hanno rapito in ciabatte e ora ho la diarrea e sogno il Milan! Eppure se hai scelto me ci sarà bene un motivo. Ma quale? Aprimi gli occhi Signore finchè c’è tempo”.

Quinta scena. Dopo la quinta preghiera il missionario offre la sigaretta a ognuno dei sequestratori, che la rifiutano. Mentre fuma si sente fuori campo questo suo monologo:

“Hanno pregato cinque volte loro e cinque volte io. Ho letto il Mattutino, le Lodi, l’Ora media, il Vespro e la Compieta. Pregano quasi come noi. Ma io aspetto che abbiano terminato tutti e quattro prima di dire la mia ora perché non voglio confondere le preghiere. Che dici Signore delle loro invocazioni? Non le ascolti, vero? Non posso neanche immaginare che tu le prenda per buone. Pregano più di me. Senza loro qui davanti che mi davano l’esempio non so se sarei riuscito a leggere tutto il breviario giorno per giorno in una condizione come questa. Pregano ma hanno il mitra. Accusano di peccato la mia povera sigaretta e intanto loro fanno la guerra. Signore io divento matto se mi tieni ancora in questa sfida della preghiera con i miei rapitori”.

Quarta scena. Si vede il capo dei rapitori chinato sulla stuoia e si sente la sua voce fuori campo che dice: “Noi non siamo – O Dio – come questo infedele che ha già dimenticato le sue preghiere e le deve leggere nel libro. Che fuma e sogna di mangiare il maiale e di bere la birra. Ascolta la nostra preghiera e non la sua. Sono quasi idolatri, tengono sottomesso il mondo e pretendono che tu accolga le loro suppliche”.
 

Dopo una pausa di silenzio è il missionario che si inginocchia. Legge nel libro e intanto si sente la sua voce fuori campo che dice: “Perché Signore mi hai mandato dei rapitori che pregano? Come vedi, nella preghiera sono più bravi di me, ma tu ascolta la mia preghiera e non la loro. Vogliono soldi per la guerra: ti sembra questa una preghiera degna? Io invece ti chiedo di farmi tornare dai miei poveri e dai miei bambini. Chissà come saranno spaventati per il mio rapimento. Non vedo l’ora di riabbracciarli”.