Mese: <span>Settembre 2007</span>

“Principessa Gloria… m’innamorerò sempre di te! Tuo Fabio”: letto sulla parete di sinistra della galleria romana Principe Amedeo Savoia-Aosta per chi la percorra andando verso il Tevere (vedi post del 16 luglio). Mi sembra più forte della promessa abituale “ti amerò sempre”, perchè mette insieme la fedeltà e l’avventura dell’innamoramento.

Sul sito di MicroMega e sulla Repubblica sono chiamato in causa per l’articolo sulle ultime settimane di papa Wojtyla che ho pubblicato sabato sul Corrriere della Sera con il titolo “Quel sondino che nutriva Wojtyla. Ma l’annuncio arrivò molto dopo”. Con quell’articolo rspondevo a una delle questioni sollevate dal medico anestesista Lina Pavanelli con un saggio pubblicato sull’ultimo numero di MicroMega intitolato “La dolce morte di papa Wojtyla”: come mai i medici curanti del papa gli abbiano impiantato il sondino nasogastrico solo il 30 marzo, come risulta dal bollettino medico di quel giorno e non l’abbiano fatto prima, stante l’insieme delle sue patologie che certamente gli impedivano un’alimentazione adeguata per bocca. La mia risposta era che del sondino fu dato annuncio quel giorno ma esso era impiegato già da tempo: veniva impiantato per far fronte al “deficit nutrizionale” e poi veniva tolto quando il papa doveva affacciarsi alla finestra. Lo portava stabilmente dal 21 marzo ma già a più riprese gli era stato impiantato e tolto durante l’ultimo ricovero al Gemelli che va dal 24 febbraio al 13 marzo. Lina Pavanelli in una “risposta” sul sito di MicroMega osserva che se anche le mie informazioni fossero vere, quell’uso con interruzioni del sondino sarebbe risultato di un’efficacia “molto ridotta”. Sia lei, sia Paolo Flores d’Arcais (direttore di MicroMega) oggi su Repubblica sotengono che dev’esserci stata una “decisione” di rifiuto del sondino da parte di Giovanni Paolo, della cui possibilità e necessità i medici dovrebbero certamente averlo informarlo. Il papa dunque avrebbe optato per un deperimento progressivo e una fine meno tragica di quella a cui sarebbe andato incontro con il protrarsi dell’alimentazione artificiale, che comunque l’avrebbe potuto tenere in vita anche a lungo. Avrebbe cioè scelto per sè quello che nei documenti del pontificato aveva escluso in linea di principio: che si possa cioè lecitamente rifiutare una terapia salvavita. Non sono medico e neanche cultore di bioetica. Mi limito a precisare un dato di fatto e un convincimento da cronista che ha seguito l’intero pontificato di Giovanni Paolo II. Il dato di fatto è che la mia ricostruzione dell’uso già in febbraio del sondino non è il frutto di una macchinazione vaticana dell’ultimo momento, tendente ad accreditare “una nuova versione ad hoc delle ultime settimane del papa” come scrive Flores d’Arcais: quella ricostruzione io l’avevo pubblicata su questo blog in data 14 aprile 2006 come ognuno può controllare. Aggiungo – come appendice a questo dato di fatto – che il sondino tolto solo quando il papa si doveva affacciare non può essere considerato poco efficace, in quanto gli affacci del papa sono stati pochi e la loro durata sempre breve. Il convincimento poi è questo: che la questione del deficit nutrizionale – affrontata con flebo e sondino impiantato e tolto – vada inquadrata nell’insieme delle circostanze in cui è maturata la morte del papa: 85 anni, un parkinson che andava avanti da oltre 15, un indebolimento generale e progressivo evidente da più mesi. Farne una questione a sè mi appare come un’operazione ideologica.

Raccolgo e porto al cestino i giornali abbandonati sul marciapiede della stazione Cavour della Metro B – a Roma – e una signora indignatissima dice: “Stavo per farlo io”. Un’altra: “Che maleducati”. Una terza: “Con questi giornali nuovi non se ne può più”. Vengono infatti lasciati dappertutto. Il fatto che te li danno gratis ti autorizza a gettarli gratis. Metro, Leggo, City e non so quanti altri. Nella panchina accanto due uomini passano a considerazioni socio-politiche. “Con tutta questa carta per terra ci puoi scivolare sopra come niente. E non ti dico quand’è bagnata!” fa uno. L’altro con tono grave: “Mi chiedo se qualcuno del governo se ne sta occupando”.

Nel decidere “un’accurata riforma generale della liturgia” la Sacrosanctum Concilium (1963) decise tra l’altro che si “restaurasse” nelle celebrazioni una lettura della Sacra Scrittura “più abbondante, più varia e meglio scelta”. Nella messa di oggi ne abbiamo visto uno dei frutti più sapidi: le tre parabole lucane della misericordia proposte nella loro integrità (Luca 15, 1-32). Una meraviglia.

Il mondo antico ha vissuto l’irruzione della fede cristiana come liberazione dalla paura dei demoni, una paura che nonostante lo scetticismo e l’illuminismo dominava tutto; e lo stesso accade anche oggi ovunque il cristianesimo prende il posto delle antiche religioni tribali e, trasformando i loro elementi positivi, li assume in sè. Si sente tutto l’impeto di quest’irruzione nelle parole di Paolo, quando dice: “Nessuno è Dio se non uno solo…” (1 Corinti 8, 4ss). In queste parole c’è un potere liberatorio – il grande esorcismo che purifica il mondo. Per quanti dei possano fluttuare nel mondo – Dio è uno solo e uno solo è il Signore. Se apparteniamo a lui, tutto il mondo non ha più potere, perde lo splendore della divinità“. Riprendo la lettura del volume di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI su Gesù (vedi post del 1° agosto) segnalando questo brano di p. 208 che commenta l’invio dei discepoli ad “annunciare e scacciare i demoni” (Marco 3, 1,14ss). Forse la difficoltà principale per la fede cristiana nel tempo della ragione secolare è la quasi impossibilità mentale ed emotiva a percepire la realtà – il cosmo e la storia – come “dominato dalle potenze del male”, per usare un’altra espressione di Ratzinger-Benedetto (p. 207). Sembrerebbe a prima vista che il mondo secolare non abbia fatto altro che portare a termine il “grande esorciso” cristiano, eliminando anche il Dio di Gesù Cristo. Ma questa è apparenza, ci avverte il nostro autore: “Dove la fede nell’unico Dio scompare, il mondo diventa solo apparentemente più razionale. In realtà devono allora essere riconosciuti i poteri del caso” (p. 209). Sono pienamente d’accordo con il papa: nella disputa con i non credenti – vivo e lavoro con loro – mi è sempre apparso centrale questo problema di comprensione. Non si coglie l’apporto storico del cristianesimo e la sua necessità per ognuno oggi se non si vede il male che apposta l’umanità, che avvelena la relazione tra le persone, che insidia la stessa natura. Presentare la fede cristiana all’uomo d’oggi – ai nostri figli – vuol dire mettere in luce quel dramma e quella lotta: la lotta contro le potenze del male. Tornerò su questo nodo con un’altra riflessione e un’altra citazione da Ratzinger-Benedetto. 

La differenza tra un liturgista e un terrorista? “Con il terrorista alle volte puoi aprire una trattativa”.

“C’è stata una maggiore attenzione alla donna quando la Chiesa cominciò a promuovere il culto della Vergine Maria” dice oggi Jacques Le Goff in un’intervista alla Repubblica. Sono stato alla scuola di Franco Rodano e mi torna all’orecchio uno dei suoi aforismi più frequenti: “La donna ha avuto un maggiore rispetto nei paesi cattolici che in quelli protestanti a motivo del culto mariano”.  

Federico ed Emanuela si amano come nessuno mai è riuscito fino a oggi” leggo sul parapetto del Ponte Milvio a Roma, verso la metà di quello di destra per chi viene dal centro della città e va verso il Foro italico. La pretesa dei due è così ingenua che altri due la cavalcano goliardicamente, scrivendo accanto: “Io e Simo di più. Ah ah!!” 

. “Ho battezzato la sua bambina Alice. Durante gli week-end che trascorrevamo insieme, rimanevamo svegli per intere nottate, fino alle 4 del mattino, a discutere di tutto, in particolare di temi religiosi, che a Luciano stavano a cuore. Ripercorrevamo la storia della Chiesa, che lui conosceva bene, nei momenti salienti del passato; discorrevamo del libero arbitrio, del dogma della verginità della Madonna, degli angeli. Luciano era un credente in seria ricerca”: così don Antonio Tarzia, paolino, direttore del settimanale per ragazzi Il Giornalino, ricorda l’amico in un’intervista che sarà pubblicata da Famiglia cristiana di questa settimana. “Ogni volta che ci vedevamo mi diceva: ‘Dai don, andiamo dal tuo amico Papa?’. Negli ultimi mesi si stava dedicando a un lavoro discografico per Famiglia Cristiana: una raccolta di musiche sacre, scritte per lui da Marco Frisina, che avrebbe dovuto eseguire inserendo duetti con Mina, nell’ambito di un progetto sulla storia del canto gregoriano. Negli ultimi tempi, quando andavo a trovarlo, mi chiedeva: ‘Don, mi dai la benedizione?’. Era un uomo saggio, sereno, ottimista. Della morte, la sua o degli altri, non aveva timore. Aveva dubbi, non paure. Il suo è sempre stato un canto alla vita”. – Che Pavarotti e Mina si preparassero a duettare su temi cristiani e che Lucio Dalla abbia ultimamente intitolato INRI (Jesus nazarenus rex Judeorum) una canzone mi paiono segni.

«La domenica è nella Chiesa anche la festa settimanale della creazione – la festa della gratitudine e della gioia per la creazione di Dio In un’epoca in cui – a causa dei nostri interventi umani – la creazione sembra esposta a molteplici pericoli, dovremmo accogliere coscientemente proprio anche questa dimensione della domenica»: così ha poarlato poco fa papa Benedetto nella cattedrale di Santo Stefano, a Vienna, durante l’ultima celebrazione di questa visita in Austria. Dedico quello spunto ai visitatori domenicali del blog, aggiungendo il brano con cui il papa l’ha introdotto: “Molto presto la Chiesa ha preso coscienza anche del fatto che il primo giorno della settimana è il giorno del mattino della creazione, il giorno in cui Dio disse: Sia la luce”.