Mese: <span>Ottobre 2007</span>

Il giornalista a volte soffre per non poter narrare il più importante: mi capita oggi per quanto ha detto il monaco buddista birmano U Uttara al Teatro San Carlo di Napoli ad apertura del meeting interreligioso “Per un mondo senza violenza” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Riporto qui alcune delle sue giuste parole, che a motivo della fitta giornata rischiano di non entrare nelle cronache: “I monaci buddisti del mio paese, tormentato da povertà, repressione e corruzione, sono usciti per via allo scopo di chiedere al regime di mettere fine a questi mali. Hanno fatto la loro richiesta pacificamente, esprimendo gentilezza e amore per ogni creatura. La repressione armata li ha colpiti in maniera terribile insieme agli studenti e ai cittadini che protestavano con loro. Tanti di noi sono stati imprigionati e non sappiamo dove siano stati portati. Abbiamo avuto dei morti, sappiamo che tanti di noi sono stati torturati. Aiutateci pregando con noi per la fine della repressione e il ritorno al rispetto dei diritti umani nel nostro paese. Grazie. Anche noi preghiamo per la pace di ogni creatura”. Al monaco saggio e mite che ha parlato così, avvolto nel suo vestito rosso, il mio più forte abbraccio.

“Il papa a Napoli 15 – 32 – 72”: così un cartello allo sportello del lotto, in una tabaccheria di via Chiaia. Chiedo come si calamitano i tre numeri e il tabacchino me lo dice con il sussiego suggerito dall’insolita circostanza: “15 il papa, 32 Napoli, 72 la piazza. Li volete giocare? Il papa porta fortuna”. Non gioco ma mi auguro – con lui – che Benedetto porti fortuna a Napoli (vedi post del 7 novembre 2006). Al tassista che mi porta all’albergo chiedo se il presidente Prodi – che sarà qui domani a ricevere il papa – corra il rischio d’essere fischiato dalla folla. “No – mi risponde con molte ‘o’ – gli battono le mani per l’indulto, per tutti i figli che erano carcerati e sono tornati a casa e noi ce li abbiamo tra i piedi”. Chissà se al papa diranno che la sua visita i napoletani se la sono giocata al lotto e se Prodi saprà mai la ragione della buona accoglienza – se buona sarà.

Tra i graffiti del Ponte Milvio (vedi post del 3 ottobre) ho trovato questo, dedicato a uno o a una che non c’è più: “Mai mi scorderò di te. X sempre tu sarai la stella che da lassù da guida mi farà…”. Mi incanta l’idea che qualcuno, immagino giovane, affidi la memoria dell’amato all’affollato muro degli innamorati. Mi abbaglia di tenerezza.

Incompetente in cineprese pongo un quesito a chi ne sa di più: come si interpretano le riprese del video con Stenico e il ragazzo che l’ha filmato, stante il fatto che in quelle immagini il ragazzo è visibile per intero e a più riprese (vedi post del 13 e 15 ottobre)? Come è stato realizzato il video pirata? Le immagini della piazza, dell’automobile, dell’ascensore e dell’ingresso nello studio sono rispondenti a quanto detto dai responsabili del programma “Exit” de “La 7”: il ragazzo ha filmato Stenico e altri due preti con una microcamera nascosta nello zainetto. Ma quando il ragazzo è sul divano ed è mostrato in campo lungo, mentre il prete appare di scorcio in primo piano? In quel momento da dove e a opera di chi avviene la ripresa? Forse il ragazzo ha posato lo zainetto su un tavolo, o una mensola, o una libreria avendo l’inimmaginabile agio di poter posizionare correttamente la telecamera che va avanti da sola ed è semovente, se l’inquadratura un momento va sul televisore, un momento sull’angolo del divano e un terzo momento sull’intero divano? Ma se anche così fosse, come si spiegano le immagini finali nelle quali si vede il prete seduto che “tocca” e complimenta il ragazzo in piedi davanti a lui, subito dopo che lo si è visto con lo zaino in spalla, che si prepara a uscire? In quella coda del video la telecamera da dove occhieggia? Se era fuori dallo zaino, posta su un qualunque sostegno, come ha fatto poi il ragazzo a recuperarla senza che il prete se ne avvedesse? Sono domande a chi ne sa di più, compreso il ragazzo che non vorrà farsi vivo, “La 7” che si è presa la responsabilità di distruggere persone a essa sconosciute e Tommaso Stenico, che potrebbe avere un interesse difensivo a chiarire ciò che al riguardante appare incomprensibile.

Sento dire che per affrontare bene la vecchiaia uno dovrebbe avere due pensioni o una figlia femmina. Io di pensioni ne avrò una ma di figlie ne ho tre, vado dunque avanti fiducioso. E immagino che almeno qualche passaggio in macchina me lo daranno i due figli maschi. Sono felice di osservare le due ragazze più giovani giocare con i bimbi della più grande. E’ bello guardarle dalla finestra quando escono di casa la mattina baruffando tra loro e una prende a sinistra per andare al liceo, l’altra a destra per raggiungere la Metro B che la porta all’università La Sapienza. – “Dopo aver generato Set, Adamo visse ancora 800 anni e generò figli e figlie”: Genesi 5, 4.

Molti si meravigliano del fatto che io abbia difeso l’indifendibile Tommaso Stenico (vedi post precedente). Dal modo in cui viene espressa quella meraviglia comprendo di non essere stato abbastanza chiaro. Affermo dunque che trovo tre elementi di credibilità nella versione dei fatti fornita dal monsignore: essa mi appare sorprendente ma non posso tacere quei tre elementi e poco importa che io ci faccia la figura dell’ingenuo. L’elemento più importante l’avevo accennato nel post precedente: se voleva un rapporto omosessuale non c’era motivo che si qualificasse – fin dal contatto internet – come prete. Quella qualifica era invece essenziale nell’ipotesi dell’indagine sulle insidie tese ai preti. Ma ci sono altri due aspetti della vicenda che la rendono meglio compatibile con la versione difensiva. La prima riguarda il fatto che abbia portato il ragazzo in ufficio: comprensibile nel caso dell’indagine, costituisce invece un’incongruenza se il contatto era in vista di un rapporto sessuale. Se voleva portare a letto quel ragazzo, l’ufficio non era adatto! E l’abitazione di Stenico è appena fuori le mura vaticane, dunque non c’è neanche una ragione logistica che possa spiegare quella scelta incongrua. Il terzo elemento lo trovo nel modo in cui il monsignore tronca l’incontro e accompagna il ragazzo all’ascensore. Nel caso dell’inchiesta quella modalità è logica: l’interlocutore non aveva intenzione di passare ai fatti e dunque non c’era spazio all’indagine. Nel caso invece del convegno sessuale non si comprende come il monsignore che ha “finalmente” quel ragazzo a portata di mano non ne approfitti per un vero contatto – non lo abbracci, non tenti di baciarlo – e si limiti a delle provocazioni. – Quando tutti danno addosso a una persona io mi metto dalla sua parte.

“Provo, come italiano, vergogna e preoccupazione per la campagna di odio che si sta scatenando contro «gli zingari» o «i romeni», frutto dell’indignazione per isolati fatti di cronaca, ma anche di parole incaute e pericolose, di sapore razzista, che vengono pronunciate nei loro confronti e che ottengono un’immeritata pubblicità”: Arrigo Levi così scriveva lunedì sul quotidiano La Stampa sotto il titolo: Io sto con i romeni. Ho una grande simpatia per Arrigo e ho letto con piacere quelle sue parole e anch’io ho detto tra me: “Grazie romeni”. Un romeno mi ha imbiancato l’appartamento e ha fatto un buon lavoro. Una romena poverissima che ha scelto di tenere il figlio – nonostante fosse stata abbandonata dal padre del bambino – è una delle persone di mia conoscenza che più ammiro. Ma eccomi alle prese con la tribolazione della cronaca quotidiana. La notte scorsa, non riuscendo a prendere sonno, ho letto anche le notizie minori che fanno star male. Corriere della Sera, pagina 25: “Lo stupratore è un romeno di 36 anni”. Cronaca di Roma dello stesso giornale, p. 11: “Rosa, 93 anni, mette in fuga le ladre” e si tratta di “due rumene” specializzate nel “truffare vecchiette”. Stessa pagina: “Romana muore investita nel centro di Padova” e alla guida dell’auto investitrice “una ragazza romena di 18 anni neopatentata”. – Sento intorno a me crescere l’animosità contro i romeni e vedo le due scorciatoie: stare con loro censurando i fatti che provocano quell’animosità, o calvalcare lo sdegno magari a scopo elettorale. Mi appare chiara la difficilissima terza via che nella notte ho deciso di battere: stare con i romeni non lasciando passare inosservato – per quanto mi riguarda – nessuno dei fatti che possono metterli in cattiva luce. Per aiutarci a capire, per aiutarli a vincere lo scoraggiamento che viene loro – voglio dire alla maggioranza tra loro – dal peso di quei fatti.

Per cinque volte ho avuto figli di tre anni, per quattro volte ne ho avuti di 17 e 18 anni e dunque il fattaccio di Bormio mi attanaglia a tutte le età. Tre anni li aveva Renzo, il cucciolo d’uomo travolto e ucciso mentre sgambettava sulla bici. “Qui possiamo stare tranquilli” aveva detto la mamma. E lui altro che tranquillo, era felice della bici e di farsi vedere dalla sorella più grande e sbandava per superarla. Quattro dei miei figli sono passati per i 17 e i 18 anni, una ci deve ancora arrivare. Ma già avverto la piena dei sentimenti quando potrà dire a un’amica più grande: “Sali che ti porto a casa”. Non sapendo ancora che la vita è piena di trabocchetti, bella sì, bellissima ma storta e fragile. Magari l’altra osserverà: “Ti senti sicura?” E lei magari risponderà: “Prendiamo la pista ciclabile e lì possiamo stare tranquilli”. Era cattiva la notizia della morte di Renzo ma è più cattiva per me quest’altra notizia dei due adolescenti che credevano di fare una cosa quasi innocente e hanno travolto il bimbo e la sua felicità senza neanche vederli. E’ come se di colpo e insieme io abbia 3 anni, 17 e 18 e viva a Bormio e mi trovi a un tempo su quella bici e su quella moto.

I ragazzi in cura all’Istituto dei tumori di Milano sono in piazza San Pietro all’udienza del papa che li saluta – “cari piccoli amici” – e quelli saltano e gridano, gioiosi per un momento. Mi si confonde il cuore. Gioisco con loro.

Domenica andrò a votare per Rosy Bindi e su questo non dico di più: una parola è troppo e due sono poche. Ma vedi post del 10 febbraio, 4 aprile, 20 maggio.