Mese: <span>Novembre 2007</span>

L’intervista dell’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, segretario della Congregazione per il Culto, pubblicata venerdì da Fides preannuncia nuovi interventi correttivi del papa in materia liturgica: «Molte cose ancora devono essere messe in ordine». Affronto la prima delle “cose” segnalate: comunione nella mano, abolizione delle balaustre e degli inginocchiatoi, introduzione di danze, strumenti musicali e canti “che ben poco hanno di liturgico”, usi impropri delle chiese, omelie politico-sociali. Cito: “La riforma post conciliare non è del tutto negativa; anzi ci sono molti aspetti positivi in ciò che fu realizzato. Ma ci sono anche dei cambiamenti introdotti abusivamente che continuano a essere portati avanti nonostante i loro effetti nocivi sulla fede e sulla vita liturgica della Chiesa. Parlo qui per esempio d’un cambiamento effettuato nella riforma, il quale non fu proposto né dai Padri Conciliari né dalla Sacrosanctum Concilium, cioè la comunione ricevuta sulla mano. Ciò ha contribuito in qualche modo ad un certo calo di fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia”. Davvero la comunione nella mano è stata introdotta abusivamente? Paolo VI prima di autorizzare a tale innovazione le conferenze episcopali consultò l’intero episcopato della Chiesa latina dandone conto nell’istruzione Memoriali Domini (1969) e subordinò la decisione alla maggioranza qualificata dei due terzi e alla conferma da parte della Santa Sede. E’ sulla base di quella procedura che la novità è stata introdotta in quasi tutto il mondo, incontrando il gradimento dei praticanti. I vescovi italiani l’approvarono nell’assemblea del 1989 – dopo averci pensato su dieci anni – e il decreto attuativo è firmato dal cardinale Ugo Poletti presidente e dall’arcivescovo Camillo Ruini segretario. Un cambiamento autorizzato da un papa, deciso dai vescovi, confermato da un altro papa e serenamente recepito dai cristiani comuni – che a maggioranza tendono le mani, mentre alcuni si avvicinano con la bocca – può essere definito “abusivo”? E’ una domanda di giornalista, intesa a conoscere e non a polemizzare, che rivolgo all’arcivescovo Patabendige Don al quale va tutta la simpatia che merita un uomo dello Sri Lanka che vive e opera dentro le mura leonine.

“Teniamoci stretti per mano amore mio – in due non si può avere paura”: messaggio di lui a lei nel sito dei lucchetti che abbiamo visitato nei post del 5 e dell’11 novembre. Vedo in quelle poche parole un documento dell’epoca, quando uomini e donne sembrano cercarsi per vincere la percezione di una solitudine insostenibile. 

Può capitare che la morte di un uomo racchiuda più di una verità: oggi il modo di morire di papa Wojtyla è stato citato da Benedetto XVI come esempio di rifiuto dell’eutanasia e dall’arcivescovo Ravasi — ministro vaticano della Cultura — come rifiuto dell’accanimento terapeutico. E’ ancora negli occhi di tutti la tenacia del papa polacco che scelse di continuare la sua «missione» benchè ormai incapace di camminare e di parlare. E sappiamo che quando arrivò la crisi finale rifiutò il ricovero chiedendo: «Se mi portate al Gemelli avete modo di guarirmi?» (vedi post del 18, 24, 25, 27 settembre). Quelli i fatti. Ed ecco le parole con cui sono stati richiamati dal papa e dal suo ministro. «In più occasioni — ha detto Benedetto XVI — il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, che specialmente durante la malattia ha offerto un’esemplare testimonianza di fede e di coraggio, ha esortato gli scienziati e i medici a impegnarsi nella ricerca per prevenire e curare le malattie legate all’invecchiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia». Ed ecco il richiamo alla morte del papa polacco fatto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi in un’intervista pubblicata ieri dal «Corriere della Sera»: «Quando un malato si sta avviando alla fine della vita vanno evitati gli esami eccessivi e le cure troppo invasive. Ricordiamoci della scelta fatta da Giovanni Paolo II».

Conosco un ragazzo di 14 anni che all’occasione comanda ai genitori separati e mette pace tra loro. In conflitto da quando egli è nato, spesso si incontrano a causa sua ma facilmente vengono a parole e si fanno dispetti. Il ragazzo modera, dà la parola, dice “mamma hai torto tu”, oppure “papà lasciala dire”. I genitori hanno imparato a obbedirgli. Egli li ama alla pari e non tollera che l’uno sparli dell’altro se è assente. Fa da arbitro se discutono in sua presenza, ha una buona autorità su ambedue. Non ho mai conosciuto un migliore costruttore di pace nella vita privata.

“Non lo sapete ma il buio pesto della mia anima si è trasformato nel buio delle nostre pazze notti. Cat”: letto nel sottopassaggio della stazione di Sestri Levante, uscita verso la città, lato sinistro. Immagino questa Caterina (o questo Catervo) felice della comitiva in cui si è inserita e consapevole della propria vocazione di farfalla notturna, nella buona e nella cattiva sorte.

Ho aggiornato l’agenda telefonica e ho evidenziato – seguendo l’alfabeto – Giuseppe Alberigo, Oreste Benzi, Rosalio Josè Castillo Lara, Orazio Petrosillo, Giorgio Rumi, Luigi Sartori, Pietro Scoppola. Lo faccio una volta all’anno, nell’ottavario dei morti. Ho disegnato un fiore accanto ai nomi che da decenni ero abituato a chiamare al telefono e con i quali ormai parlerò faccia a faccia.

Sai l’ultima sul papa e la politica italiana? “Appena vede Prodi gli dà subito la comunione sperando che giovi” (con riferimento al fatto che il presidente del Consiglio ha ricevuto la comunione dalle mani del papa il 17 giugno ad Assisi e il 21 ottobre a Napoli).

Nuova visita del Pontefice a Vigevano (dov’è stato il 21 aprile) per un convegno sui documenti del Concilio Vaticano II, che viene così segnalato dalla Sala Stampa della Santa Sede: “I DOCUMENTI DEL CONCILIO – VIGEVANO” (più che vaticana questa malalingua è ecclesiastica e mi è stata segnalata da Luca Grasselli)

“Perché questa guerra intorno ai due Marini?” E’ la domanda che mi viene posta da un visitatore che vive a Genova. Dice che in questo e in altri blog ha letto valanghe di critiche all’ex Maestro Piero Marini. Mi chiede se il suo operato fosse apprezzato da Giovanni Paolo e se sia vero che egli è contrario al vecchio rito mentre Marini junior ne sarebbe un sostenitore. Rispondo in breve e rimando all’intervento che ho tenuto venerdì nell’Aula del Sinodo, per la presentazione di tre volumi dell’Ufficio delle celebrazioni (è l’ultimo tra i testi della pagina Conferenze e dibattiti, elencata sotto la mia foto). Sarà l’anima larga del giornalista, ma non riesco a prendere sul serio i musi lunghi di tanti sul Motu proprio a favore della messa tridentina e la smodata esultanza di altri per quello stesso atto papale. Lasciamo stare le polemiche marginali tra chi vuole il sacerdote di faccia e chi di spalle e guardiamo a ciò che conta: che donne e uomini di innocente sentire possano lodare Dio nella lingua e con i gesti in cui meglio si ritrovano. E guardiamo al grande cuore di un papa che permette questo ampliamento. Agli amici spaventati dal Motu proprio, monaci di Camaldoli, vescovi vari, curiali sconvolti: che vantaggio abbiamo a interpretare un ampliamento per una restrizione? Agli altri amici che non finiscono di esultare per il Motu proprio: non dimenticate che il Vaticano II ha riconosciuto la necessità di rivedere i riti, ampliare le letture bibliche, ristabilire la preghiera dei fedeli e la concelebrazione, offrire un’ampia scelta di orazioni. Se avete in odio tutto ciò, vuol dire che il vostro attaccamento alla tradizione ha qualcosa di inceppato. Se invece apprezzate quelle novità e solo volete mantenervi fedeli a ciò che fu di tutti, allora sono con voi. Non cercherò la vecchia messa, ma se mi troverò ad assistervi l’amerò quanto l’altra – con in più l’emozione di ritrovare quanto mi fu un tempo familiare. 

(Continua nel primo commento a questo post)

Si firma “Eternamentepiccola” e manda al sito dei lucchetti che abbiamo già visitato nel post del 5 novembre questo trepido messaggio: “Sei molto dolce con me e so che ti piaccio da morire, ma non conosco i tuoi sentimenti e non ti dico cosa provo io per paura di vederti fuggire”. 

Ieri pomeriggio nell’Aula del Sinodo, presentazione dei volumi Magnum Jubilaeum, Sede Apostolica Vacante, Inizio del ministero petrino – tutti e tre a cura dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche, pubblicati dalla Libreria Editrice vaticana. Io tra i relatori, gli altri due erano il liturgista Corrado Maggioni e lo storico Roberto Rusconi. Soprassalto per me dei sentimenti, essendo stato le cento volte in quell’aula come giornalista ad ascoltare i santi padri e trovandomi ora lì, al tavolo dei cardinali e del papa! C’ero per invito dell’arcivescovo Piero Marini, Maestro uscente ed era presente anche Guido Marini, Mestro entrante. Per non intrecciarmi avevo un testo scritto e avevo anche fatto le prove di lettura al fine di restare nella mezz’ora prescritta. Nel mio testo c’era questo passaggio sull’ampliamento dell’Ufficio realizzato da Marini senior con il coinvolgimento di consultori (che prima non c’erano) di varia provenienza: “Mai in precedenza quell’Ufficio aveva avuto una conduzione altrettanto allargata e collegiale. I frutti che ho elencato sono stati possibili grazie a quella larga confluenza di ingegni e di energie. Un’esperienza che ora è affidata al nuovo Maestro Guido Marini che molto eredita e dunque molto avrà da vagliare e valorizzare”. Qui al testo scritto ho aggiunto: “Vedo in quest’aula il nuovo Maestro al quale rivolgo un saluto a nome dei colleghi, benchè nessuno a ciò mi abbia incaricato. Perchè noi giornalisti siamo grati al Marini uscente ma vorremmo anche gettare dei buoni ponti verso il Marini entrante”. C’è stato un appluso e un poco si è sciolta la tensione che fin dall’inizio teneva in silenzio l’assemblea, mentre i due Marini accennavano l’uno all’altro come commossi e divertiti.