Anno: <span>2008</span>

Il pianerottolo si è fatto più che mai incandescente. A me non dispiace, amo la varietà e la vivacità. Anche il genere letterario dell’aggressione verbale mi diverte. Ma le persone coinvolte ne restano ferite e questo non vorrei che avvenisse in casa mia. Primo consiglio: quando avete voglia di menare le mani, prendetevela con me. Non sono permaloso e magari neanche vi rispondo, così potete concludere che mi avete messo a tacere. Secondo: se volete prendervela con qualcuno nominalmente, indirizzate sempre a me le contumelie – autorizzo ad alzare il tiro oltre il  verosimile – incolpandomi di ospitare ”uno come Caius Pupus”. Ma attenzione, l’arte della triangolazione esige che diciate tutto contro di me e nulla contro il rivale: “La sua imbecillità e la sua perversione devono essere totali, se arriva a tollerare i commenti di Caius”. Vedrete che io tollererò anche i vostri. Terzo: quando pensate che qualcuno vi abbia offeso potete certo reagire, ma potreste anche fingere di non aver capito, rispondere ironicamente o anche non rispondere. Per il coatto dei blog l’offesa che non arriva toglie il sonno: “Magari quello non mi ha neanche letto!” Vedo infine che a gridare più alto sono i visitatori coperti da pseudonimo, mentre chi si firma è più prudente. Non ne deduco che tutti si debbano firmare: la libertà è l’unica regola di questo blog. Ma invito gli pseudonimi a ricordarsi della loro condizione quando polemizzano con le firme. Tranne nel mio caso, si capisce: con me tutto è lecito. Ultimo consiglio: quando siete davvero scocciati prendetevi una pausa ma non abbandonate il blog. Io tutti apprezzo e a tutti voglio bene. Ora tornate a infuriare.  

1.         Pieno rispetto nel linguaggio e negli atteggiamenti per le persone con orientamento omosessuale – una pienezza di accoglienza che vuol dire anche comprensione delle loro scelte di vita – quantomeno quella comprensione che è possibile per scelte che non si approvano.

2.         Tendenza a rendere attivo e diffusivo tale rispetto oltre la cerchia dei rapporti personali – collaborando al superamento di ogni forma di dileggio, discriminazione e condanna nei loro confronti.

3.         Maturare in me stesso e promuovere intorno una valutazione positiva del fatto che due persone dello stesso sesso si amino: per il conforto e l’aiuto reciproco, per lo stimolo a comportamenti positivi che ne può venire nella convivenza sociale.

4.         Con lo stesso impegno e la stessa chiarezza affermare – anche qui attivamente – la propria indisponibilità all’introduzione nel nostro ordinamento del matrimonio omosessuale e del diritto di adozione per coppie omosessuali.

5.         Nel colloquio con le singole persone a orientamento omosessuale presentare e discutere con ogni rispetto e schiettezza la disapprovazione che di tale orientamento è presente nella Bibbia e nella tradizione cristiana che mi sono più care della vita.

Barbone con cagnetto in carrozzina va questuando per tutto l’Esquilino, a Roma, allargando le braccia e indicando con una mano la bestiola come a dire: “Fatelo per lui”. Eccolo a colloquio per via Panisperna con una ragazza ucraina che è sempre là e ora gioca con il cagnetto carezzandolo sopra e sotto il muso e quello la mordicchia beato. Il barbone allunga un braccio verso la gonna di lei ma si prende una botta sulla mano e risponde con un’altra botta veloce come avessero fatto le prove poco prima. Ora strillano tutti e due e si separano lasciando il cagnetto deluso, che volta il muso di qua e di là. “Se vuole toccare mi deve pagare” dice lei con tono sostenuto. “E allora pagami il cane” replica quello tassativo.

In mezzo mondo l’omosessualità è condannata dalle leggi e punita in vario modo, fino alla pena di morte: sono perciò favorevole all’iniziativa francese per una “depenalizzazione universale” e appoggio il governo italiano che la sostiene. Sono contrario all’introduzione nel nostro ordinamento del matrimonio omosessuale e mi adopererò, nell’ambiente in cui vivo, perchè non vi sia equivoco tra le due questioni: chi fu contrario alla lapidazione per gli adulteri non intendeva favorire la diffusione dell’adulterio.   

Ci sono in giro quattro vaticanisti che hanno compiuto o stanno per compiere 65 anni, tutti attivissimi e tra loro amici: Angelo Bertani che dirige Adista, Carlo Di Cicco vicedirettore dell’Osservatore romano, Sandro Magister dell’Espresso e io. Mi è venuta l’idea di confrontarne le parabole – nel senso di traiettorie professionali – pensando a Bertani, a me il più caro, che ha preso la direzione dell’agenzia Adista in ottobre. Paragonando le posizioni dei quattro a inizio carriera e quelle di oggi, c’è da muovere gli occhi in tutte le direzioni! Per dirla grossolanamente, Angelo Bertani era quello più a destra (è stato ad Avvenire e poi a Famiglia cristiana) e ora è il più a sinistra. Sandro Magister ha fatto lo spostamento opposto, non con passaggio di testata (dal 1974 è all’Espresso, prima era a Settegiorni) ma voltando il capo come fa il girasole. Il mutamento più vistoso – non in orizzontale ma dal seminterrato al piano nobile – è quello di Di Cicco, che era stato per una vita all’agenzia Asca e da un anno e due mesi è il vice di Vian all’Osservatore. Egli era il più anticonformista tra i quattro, scamiciato nato e obiettore di coscienza. Di me non dico perché ogni parola potrebbe rivoltarmisi contro. Né tiro conclusioni: ammiro il movimento dei quattro e l’ampiezza del campo che coprono prendendosi per mano.

“Non so vivere senza la mia vita”: scritto a grandi lettere rosse sul selciato di via dell’Arancio a Roma, in prossimità di via del Leoncino. Apprezzo chi ha tracciato la scritta per essere riuscito – o riuscita – a dire “tu sei la mia vita” senza scrivere le famigerate parole. Per la cui ricorrenza universale segnalo: il sottomaglia del calciatore brasiliano della Juve Amauri con le parole dedicate alla moglie “minha vida” che ci ha mostrato ultimamente sollevando la maglia davanti alle telecamere; il canto liturgico “Sei la mia vita – altro io non ho” e le parole “lui era la mia vita” scritte dalla poetessa tedesca Ingeborg Bachmann in memoria del poeta Paul Celan poco dopo che lui si era gettato nella Senna.

“Francesco avrebbe pregato per il suo sputatore” scrive il padre Rosario Pierri dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme raccontando di aver ricevuto uno sputo in faccia e di averlo restituito con prontezza, avvedendosi che lo sputatore – giovane ebreo osservante – stava “caricando” un secondo sputo. Il buon padre annota  che l’interlocutore aveva una mira “precisa” e fa una descrizione impagabile dei manifestanti che – arrivati all’altezza del convento della Flagellazione, nel quartiere arabo – procedono al “caricamento dello sputo”. Distingue tra sputo con molta saliva e quello con molto muco. Ci offre infine il neologismo “sputacchierìa” – inteso come azione dello sputare in gruppo e ripetutamente – che da solo vale la lettura dell’intera lettera pubblicata poco fa da Terrasanta.net. Si potrebbe evocare una qualche continuità biblica e gerosolimitana facendo perno su Isaia 50: “Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi; e su Luca 18: “Sarà coperto di sputi”. Ma conviene prenderla alla leggera e ammirare questi abitatori della Città Santa dotati di gran fede e buona salivazione. Nel primo commento il testo integrale della lettera.

“Nun me tenete in conto!”: scritto con spray nero su un palazzo di viale Somalia, a Roma, poco dopo largo Somalia per chi vada verso via Magliano Sabina. Per una scritta simile, ma che la buttava in politica, vedi post del 21 aprile 2007: “Non comando nè sarò comandato”.   

La fede cristiana – ha detto il papa stamane durante l’udienza generale – “non è un pensiero, un’opinione, un’idea”: “Questa fede è comunione con Cristo, che il Signore ci dona e perciò diventa vita, diventa conformità con Lui. O, con altre parole, la fede, se è vera, se è reale, diventa amore, diventa carità, si esprime nella carità. Una fede senza carità, senza questo frutto non sarebbe vera fede. Sarebbe fede morta”. Il papa commentava le parole di Paolo ai Galati (5,6) sulla fede “che si rende operosa per mezzo della carità”. Ha detto ancora – proponendo una sintesi creativa della predicazione cattolica e luterana che un tempo si ponevano in contraddizione reciproca: “Giustificati per il dono della fede in Cristo, siamo chiamati a vivere nell’amore di Cristo per il prossimo, perché è su questo criterio che saremo, alla fine della nostra esistenza, giudicati”. Ha fatto questo esempio audace che già aveva proposto in tempi recenti (vedi post del 1° ottobre 2008): “A che cosa si ridurrebbe una liturgia rivolta soltanto al Signore, senza diventare, nello stesso tempo, servizio per i fratelli, una fede che non si esprimesse nella carità?” Ha concluso con parole slanciate: “Lasciamoci quindi raggiungere dall’amore ‘folle’ di Dio per noi: nulla e nessuno potranno mai separarci dal suo amore”. – Una catechesi chiara e calda, a superamento del contrasto sulla “sola fede” e la “sola carità” (vedi post del 20 novembre 2008), a sviluppo della predicazione sull’amore come parola chiave della lingua cristiana.

Il dibattito che qui si è sviluppato negli ultimi giorni mi provoca a dire una parola di amico su Hans Küng (vedi post del 21 novembre). Un poco infatti gli sono amico – avendolo incontrato più volte a Roma e a Tubinga – e debbo qualcosa alla fatica che ha sempre svolto per rendere credibile all’uomo d’oggi la fede cristiana. Una dichiarazione della Congregazione per la dottrina che ha la data del dicembre 1979, autorizzata da Giovanni Paolo II ma preparata sotto Paolo VI, l’ha privato del mandato canonico per insegnare nella facoltà di “teologia cattolica” di Tubinga, perché sostenitore di opinioni che si oppongono “in diverso grado” alla dottrina della Chiesa. Chi legge Küng è bene che lo sappia. Come è bene sappia che non vi è stato mai nei suoi confronti un giudizio di eresia e che egli è un sacerdote che celebra regolarmente l’Eucarestia, in comunione con il suo vescovo. Questa collocazione ecclesiale – come anche il colloquio “amichevole” che ebbe con lui Benedetto XVI nel settembre del 2005 – sta a dire che gli viene riconosciuto, di fatto, un ruolo nella vita della Chiesa cattolica e più ampiamente in quella dell’ecumene cristiana. Un ruolo che non è più quello del teologo con mandato canonico, incaricato della formazione intellettuale dei futuri sacerdoti, ma quello del teologo che opera in campo aperto, nel libero dibattito accademico ed ecumenico, impegnato ad aiutare l’umanità del nostro tempo a comprendere e ad amare la figura di Gesù. Io di questo gli sono grato.