Mese: <span>Marzo 2009</span>

“Devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti, incominciando dal Segretario di Stato fino alla Congregazione di Propaganda Fide, eccetera; vedo poi tutti i Capi Dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo Vescovi in visita ad Limina – ultimamente tutti i Vescovi, uno dopo l’altro, della Nigeria, poi i Vescovi dell’Argentina … Abbiamo avuto due Plenarie in questi giorni, una della Congregazione per il Culto Divino e l’altra della Congregazione per il Clero, e poi colloqui amichevoli; una rete di amicizia, anche i miei compagni di Messa dalla Germania sono venuti recentemente per un giorno, per chiacchierare con me… Allora, dunque, la solitudine non è un problema, sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con Vescovi, con collaboratori, con laici e sono grato per questo”: così il papa ieri in aereo, volando verso il Camerun. Per quello che mi riguarda, ricordo di averlo chiamato “solista” e non “solo” o “solitario”. Vedi post del 3 marzo: “L’audacia di un papa solista”.

Una scritta grossa e con grafia sicura: “La vita è bella”. E sotto un controcanto con caratteri più piccoli e grafia incerta: “Ma doveva esserlo per tutti e non solo per voi”. La disputa è su un muro di via Marcantonio Colonna, a Roma, nei pressi della stazione Lepanto della metropolitana, poco oltre un’edicola che è sulla sinistra per chi vada verso piazza Cavour.

Benedetto XVI è partito per l’Africa e uno si chiede che cosa vada mai a cercare questo profeta disarmato nella valle di lacrime che è oggi il continente nero. Ci va perché laggiù c’è una comunità cattolica in impetuosa crescita, che sta mandando missionari verso di noi e che va esplorando – quasi a tentoni – la propria identità. Ma ci va anche in segno di vicinanza con quei popoli sofferenti per la fame, la guerra e la pandemia dell’Aids. “A peste, fame et bello libera nos Domine” potrebbe essere il motto di questo viaggio al quale probabilmente il mondo – compreso il mondo dei media – resterà indifferente. Merita invece che se ne parli, di questa missione compiuta per affermare la speranza a dispetto di ogni disperazione. Aiuterebbe a guardare al mondo e alla storia oltre gli schemi imposti dagli interessi dei popoli ricchi. Per me è stato così tutte le sedici volte che sono andato in Africa con Giovanni Paolo. Per chi è interessato alla riflessione di un veterano dei viaggi papali che stavolta seguirà da Roma l’impresa di papa Benedetto, segnalo questo articolo che ho scritto per Liberal: http://www.liberal.it/primapagina/accattoli_2009-03-17.aspx#

Sono stato a messa dai lefebvriani in segno di vicinanza, come avevo promesso nei giorni scorsi in questo blog. Ho ascoltato una buona omelia e ho fatto la comunione. E’ stata una bella esperienza, in tutto simile alle occasioni in cui ero andato alla Trinità dei Pellegrini, la parrocchia “personale” dedicata alla forma straordinaria del rito romano (vedi post del 15 e 17 giugno e del 27 luglio 2008). Una cinquantina di persone affollavano la piccola chiesa di Santa Caterina in via Urbana 85, dipendente dal Priorato di Albano, dove si tiene l’unica celebrazione domenicale in Roma della Fraternità San Pio X. Quattro suore giovani e linde cantavano leggere il gregoriano a una sola voce. Mediamente giovane l’assemblea, con molti bimbi e ragazzi, in buona maggioranza composta da non italiani. Giovane anche il celebrante, pure egli straniero, sotto i trenta, con chierichetto ricciuto quindicenne. Tutto in latino stretto tranne il Vangelo: dopo averlo letto in latino rivolto all’altare, il celebrante si è girato al popolo e l’ha riletto in italiano. Ascoltando la colletta – ad defensionem nostram dexteram tuae maiestatis extende – l’epistola di Paolo “ad Ephesios” – Estote imitatores Dei sicut filii carissimi – e Luca che al capo 11 narra di Gesù “eiciens daemonium” mi andavo dicendo che mia moglie alla stessa ora, in parrocchia, stava ascoltando altre pagine della Scrittura. Ma il salmo graduale cantato meravigliosamente dalle quattro sorelle – Exsurge Domine non praevaleat homo – mi ha allontanato ogni tristezza. Ho molto apprezzato che il giovane prete nell’omelia non abbia fatto alcun riferimento ai fatti recenti che toccano la Fraternità. Questo mi piace: che nella liturgia ci si stacchi un momento dai fatti correnti. (Segue nel primo commento)

“Il poeta sei tu che leggi”: lo trovo scritto sul parapetto del Lungotevere Vaticano, tra ponte Sant’Angelo e ponte Vittorio e lo riporto per chiedere ai visitatori se sanno di chi sia questo bel motto. Vedo in Internet che sta dappertutto, ma chi l’ha scritto per primo e dove, in quale libro o su quale muro? Detti somiglianti già ne conoscevo. A partire dall’assioma di Gregorio Magno “Scriptura crescit cun legente” (La Scrittura cresce con colui che la legge): e bisognava sentirlo dire da Benedetto Calati, con quale aspirazione di tutto il fiato. Da quell’altezza al terra terra di un foglietto da me trovato per via con su le parole “Grazie per aver letto” (vedi post del 10 giugno 2007). Ma che il poeta è colui che legge, chi l’ha detto?

Condivido parola per parola l’appello di Benedetto alla “pace nella Chiesa” e lo leggo come un evento nella vicenda del pontificato, paragonabile alla pubblicazione del volume Gesù di Nazaret o alla lectio di Regensburg con ciò che ne seguì. Tre iniziative che hanno comportato forti novità nel modo di fare il papa, tutte in direzione di un recupero di vicinanza con il popolo dei battezzati. Con il volume su Gesù Benedetto si azzardò a parlare come Joseph Ratzinger, avvertendo che ognuno poteva “contraddirlo”. Con la lectio di Regensburg parlò da professore della sua vecchia università e accettò fattivamente di portarne le conseguenze nei mesi che seguirono e che videro una decisa evoluzione del suo approccio all’Islam. Stavolta scrive in prima persona ai vescovi, spiega che cosa intendeva fare, prende atto degli sconquassi che ne sono seguiti, riconosce che ci sono stati “sbagli” nella gestione dell’iniziativa, enuncia una decisione di rilievo sulla conduzione del rapporto con la Fraternità (il ruolo guida della Congregazione per la dottrina, che comporta il coinvolgimento della Curia e degli episcopati). Ma non solo: si sfoga per l’intolleranza di chi l’ha attaccato, ringrazia gli ebrei per averlo capito meglio di una parte dei cattolici, rimprovera la “saccenteria” dei lefebvriani e quella di alcuni che si pongono a “grandi” difensori del Concilio. Il papa che scende dal trono e parla da uomo a uomo, ammette insiste e si raccomanda: tutto ciò mi piace, ci vedo un passo concreto verso quel nuovo esercizio del primato che Giovanni Paolo pose all’ordine del giorno dell’ecumene cristiana con l’enciclica Ut unum sint (1955) e che ha lasciato come compito primario ai propri successori. (Segue nel primo commento)

Un bel saluto ai visitatori con l’annuncio che i miei tecnici hanno aggiornato il sistema di funzionamento del blog rimediando a tutte le disfunzioni che si erano manifestate a partire da giovedì. Non era stato mai aggiornato ed era ora di farlo, a quasi tre anni dal debutto. Ringrazio quanti si sono premurati di segnalare per e-mail gli inconvenienti di cui facevano esperienza e quanti hanno continuato a visitarmi nella confusione che si era prodotta. Mi scuso con chi avrebbe voluto partecipare alla discussione sulla lettera del papa pubblicata ieri e non ha potuto. Inserirò tra poco un nuovo post dedicato a Benedetto e così – volendo – potranno dire la loro.

Il cardinale Ratzinger 1991: “Un ecclesiastico di sempre sorridente e squisita gentilezza”, che “sorride e condanna”. Il vescovo Lefebvre 1988: “Ha gli occhi azzurri appena venati di sangue, la voce mansueta, il sorriso candido”. Il cardinale Casaroli 1988: “Col suo sorriso gentile e furbesco”. Giovanni Paolo I 28.9.1978: “Il papa che sorride, il papa che ride, ride di se stesso, il papa Arlecchino”. Paolo VI 28.8.1978: “Un Montini che faceva persino fatica a sorridere”. Regalo ai visitatori queste cinque istantanee del collega vaticanista Domenico del Rio, che ho riletto in lungo e in largo questi giorni per aiutare un ricercatore polacco, Wlodzimierz Pietka, che lo sta studiando. Del Rio – che è morto a 75 anni, nel 2003 – era uno scrittore geniale ed eravamo amici. Chi è curioso del suo valore e di che segno fosse la nostra amicizia legga qui: http://www.luigiaccattoli.it/blog/?page_id=835 cliccando su “Prefazione”.

Che mi dice dell’infedeltà nel matrimonio? Quante volte la si deve perdonare? E come cercare la riconciliazione?” Dura domanda che mi viene fatta al termine di una conferenza sull’arte di amare: vedi post precedente. Rispondo che non ho – per mia fortuna – l’esperienza del “tradimento” e dunque trovo difficile parlarne, temendo di toccare le ferite degli altri. Ma dico che ho sempre considerato le persone che hanno quel dolore come portatrici di una vocazione nella comunità: a loro molto è chiesto e dunque da loro dipende molto. Perdonando possono togliere la colpa al traditore e in parte all’umanità traditrice. Forse non c’è prova più grande del tradimento dopo quella del martirio. Chi perdona l’infedeltà aiuta a vincerla nella comunità e davanti a Dio più di quanto possa fare qualsiasi altra impresa. E aiuta a mantenere il mondo nella sua rotazione.

Sorpresa  / dopo tanto  / d’un amore // Credevo di averlo sparpagliato / per il mondo “: sono partito da questa poesia di Ungaretti (“Casa mia”, nella raccolta “L’allegria”) per introdurre la conferenza di oggi pomeriggio a Zelarino, al “convegno di primavera” dell’Azione cattolica del Patriarcato di Venezia. Il convegno aveva per tema: “Buona notizia: amori in corso”. Ho applicato le parole di Ungaretti all’umanità di oggi dove la “sorpresa” dell’amore torna a farsi viva e con forza intatta – come fosse la prima volta al mondo che ciò avviene – ogni volta che due si amano.  Tremanti guardiamo all’amore “sparpagliato” e intanto esso rinasce incessantemente tra noi a ricordarci che Dio non si è pentito d’aver creato l’uomo: “S’aperse in nuovi amor l’eterno amore” (Dante, Paradiso XXIX).