Mese: <span>Maggio 2009</span>

Sono a Torino per la Fiera del libro, dove partecipavo – oggi pomeriggio – alla presentazione del volume di Luigi Bizzarri “Il Papa del sorriso. Giovanni Paolo, il primo” (sarà in libreria a settembre, lo pubblica Rai.Eri). Mi sono collegato solo stasera, avendo la giornata occupatissima: Roma-Torino sono 7 ore e 30 minuti di treno! E ho scoperto che il blog era impallato. E così – caso unico nei tre anni di esistenza del pianerottolo – non vi sono stati commenti per tutta questa giornata. Chiedo scusa a chi ha provato a collegarsi e magari avrebbe voluto comunicare un’idea o un’invettiva. Alla tavola rotonda era presente anche Pia Luciani, nipote del papa, che avevo già incontrato il 22 novembre a Ghedi, Brescia (vedi la segnalazione dell’appuntamento nella pagina CONFERENZE E DIBATTITI elencata sotto la mia foto). Ogni volta è un acquisto, conversare con lei. L’affettuoso ricordo dello zio, la mite e fine difesa che viene conducendo della sua memoria contro i luoghi comuni: c’è tanto da imparare ad ascoltarla e a farle domande. La tenerezza con cui diceva: “A me dispiaceva che era morto lo zio, non il papa!” Grazie a lei e grazie a tutti!

Giuseppe si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e fuggì verso l’Egitto. Ma giunti alla frontiera furono respinti dalle guardie perché non avevano il lasciapassare con il sigillo del re di Giudea. Per ubbidire al comando dell’angelo, che era stato “fuggi in Egitto”, i tre ripassarono il confine di notte, in una zona disabitata e raggiunsero il villaggio egiziano più vicino ma furono riconosciuti come stranieri e denunciati dall’albergatore. Secondo gli accordi tra il re dell’Egitto e il re di Giudea, un drappello di guardie egiziane li riportò oltre il confine e li consegnò a una guarnigione giudaica che uccise il bambino come prescriveva l’editto che aveva condannato a morte i maschi dai due anni in giù, secondo il tempo che Erode aveva appreso dai Magi.

Così è scritto al capo secondo dello Pseudo Matteo.

“Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro. In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!
E’ un passaggio del discorso che il papa ha tenuto ieri pomeriggio nel campo dei profughi palestinesi di Aida, costruito a ridosso del “muro” che recinge i Territori. In 989 battute, spazi inclusi, Benedetto ha affermato l’intera verità sul “muro”: che divide, che è un anacronismo nell’epoca della globalizzazione, che è un segno di arretramento e che è necessario abbatterlo, ma che c’è qualcosa da realizzare perchè la giusta idea del suo superamento possa risultare vincente: eliminare l’inimicizia che l’ha eretto. Scagli una pietra chi saprebbe dire meglio.

Così ha parlato stamane il papa a Betlemme, pronunciando le parole umanamente più urgenti tra quante ne ha donate ai suoi ospiti fino a oggi in questo viaggio: “I Palestinesi, così come ogni altro popolo, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria”. E invece no, questi impresentabili tra i poveri del mondo non hanno nessun diritto e le circostanze sono tali e i loro politici così ciechi che nessuno – si direbbe – può più sposare la loro causa nel mondo. Pare che solo il papa possa andare laggiù e parlare a loro nome: “Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio lei e tutto il suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza”. (Segue nel primo commento)

Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
dimora spirituale per ebrei, cristiani e musulmani,
porto davanti a Te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le angosce, le sofferenze e le pene di tutto il Tuo popolo sparso nel mondo.
Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, degli impauriti, dei disperati,
manda la Tua pace su questa Terra Santa, sul Medio Oriente,
sull’intera famiglia umana;
risveglia il cuore di tutti coloro che chiamano il Tuo nome
affinché vogliano camminare umilmente sul cammino della giustizia e della pietà.
“Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l`anima che lo cerca”. (Lam 3, 25)

Questa è la preghiera scritta sul biglietto che Benedetto ha inserito stamane in una fenditura del Muro del Pianto. Ringrazio il papa, felice delle parole che ha scelto per la sua invocazione. Così come sono entusiasta del Salmo 122 (121) – “Sia pace su Gerusalemme” – che il papa e il rabbino hanno pregato, seguendo quanto avvenne nell’analoga cerimonia dell’anno 2000. Il richiamo a “tutti i tempi” – “all the ages” – tiene unito ciò che fu detto agli antichi padri e ciò che è stato aggiunto nella pienezza del tempo. “Tutto il Tuo popolo sparso nel mondo” raggiunge l’intera umanità, evocata poco più avanti. In essa il posto d’onore è “degli afflitti, degli impauriti, dei disperati”. A una tale ribalta dei tribolati non avevo fatto spazio nel foglietto che tenevo in tasca da quattro giorni in vista di questo appuntamento (vedi post del 7 maggio).

“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Is 56,5). Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”; shem – “nome”. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.
Così ha parlato Papa Benedetto a Yad Vashem oggi pomeriggio: è gran cosa che esista un cristiano che possa parlare a nome di tutti. Domani pregherà davanti al Muro Occidentale e nessuno di noi mancherà. Dopodomani visiteremo con lui un campo di profughi palestinesi. E come era bello essere con lui sabato sul Monte Nebo, quando ci ha invitati a invocare il Padre “perchè affretti la venuta del suo Regno”: davvero un’invocazione che conviene a tutti.

A pagina nove ci sono i nomi delle “379 vittime del terrorismo” che vanno da Agostini Natalia in Gallon a Zizzi Francesco. Dalla prima pagina parte la “Lettera dei figli di Tobagi”, Luca e Benedetta, che ha queste parole: “Una democrazia libera e matura […] deve essere capace di riaccogliere e reintegrare, a tempo debito e in modo opportuno e misurato, senza eccessi, coloro che hanno percorso una strada sbagliata e ne hanno preso coscienza”. A pagina otto c’è il preannuncio dell’abbraccio che oggi si sono date al Quirinale Licia Rognini Pinelli e Gemma Capra Calabresi. A pagina 23 c’è la foto di Dolores Fasolini, la baby sitter che è morta per salvare da un trattore Angelica, la bimba che stava riportando ai genitori: “L’amore della sua tata è stato più forte del destino” dice il padre di Angelica. Quante parabole in un quotidiano.

Devo qualcosa a don Gianni Baget Bozzo che se ne è appena andato: il mio è un debito di parole, che è forse il più forte che si possa avere verso una persona dopo quello dell’amore. Ti frequentavo da trentatré anni. Poco di persona, ma ogni giorno sui giornali. Ero alla Repubblica quando mandasti il primo articolo, che apparve con il titolo “Il ruolo dei cattolici nella società radicale” (12.5.1976). Scalfari mi chiamò: “Chi è Baget Bozzo?” Risposi corto, come si fa nei giornali, e dalle mie parole Eugenio tirò il “distico” con cui ti presentò: “Volentieri pubblichiamo questo intervento di Gianni Baget Bozzo, esponente della Democrazia cristiana negli anni cinquanta, ora sacerdote e storico del partito cattolico“. Non mi ha mai toccato la questione della tua coerenza nel tempo, che tanto animava i tuoi critici. Tu eri subito entusiasta dell’elezione del card. Wojtyla, ma appena tre mesi dopo definivi una “sciagura spirituale” (Repubblica, 30.1.1979) il discorso di Puebla. Più tardi – e con argomenti rovesciati – hai considerato Giovanni Paolo II un salvatore della tradizione cattolica e di nuovo lo deplorasti quando chiese perdono per le “colpe storiche” dei cristiani e quando entrò in una moschea. Una volta accusasti Pio XII di aver messo la Chiesa al rischio di ridursi a “edificio vuoto” e a “sacra gerarchia” (Vocazione, Rizzoli, Milano 1982, 55 e 93-94: il tuo libro più bello, che contiene la storia della tua chiamata a farti parola) e più tardi di nuovo lo considerasti l’ultimo vero papa. Hai avversato e poi amato il cardinale Ratzinger e ultimamente eri fiero di Papa Benedetto. (Continua nel primo commento)

Tra poche ore papa Benedetto parte per la Terra Santa e martedì 12 in mattinata andrà a pregare con un Salmo davanti al Muro del Pianto, come già papa Wojtyla il 26 marzo dell’anno 2000. Come il predecessore, si farà ebreo con gli ebrei lasciando in una fessura del Muro una sua invocazione al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che è anche il Dio di Gesù Cristo. Nel foglietto del papa polacco era scritta la preghiera penitenziale che egli stesso aveva pronunciato in San Pietro, due domeniche prima, con riferimento al millenario maltrattamento degli ebrei da parte dei cristiani. Non sappiamo che cosa conterrà il foglietto di papa Raztinger. In attesa di conoscere la sua intenzione io mi porto idealmente davanti a quel muro – come già ebbi a fare in due circostanze, anch’io deponendo un foglietto – e metto lì la mia domanda perchè tutti i figli di Abramo, compreso il ramo di Ismaele, trovino la forza di riconoscersi fratelli.

Semper ad maiora. Casualmente stronzi“: lo puoi leggere a Roma su un muro di Piazza San Francesco di Paola, se guardi sulla destra mentre stai facendo la Salita dei Borgia. Il graffito è di due autori ma chi ha aggiunto il secondo elemento ha inteso completare il primo: lo intuisci dalla campitura delle parole. Mia parafrasi interpretativa dell’ossimoro murario: “Tendiamo sempre alle cose alte anche se i casi della vita brutalmente ci tirano in basso”. Mi ricorda il detto romanesco: “Roma è santa ma i romani so’ fiji de mignotta”.