Mese: <span>Luglio 2009</span>

Anche in passato gli Hobbit erano estremamente timidi; ora, poi, evitano addirittura con costernazione ‘la Gente Alta’, come ci chiamano, ed è diventato difficilissimo trovarli”: è scritto nel prologo del Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien [precisamente a pagina 25 dell’edizione Tascabili Bompiani del 2000] che già mi diede un’estate felice nel 2003 e che ho scelto come lettura lunga per questi mesi di luglio e agosto. Sarà anche la miniera da cui caverò materiali per i prossimi post, numerandoli per farne una sequenza e incentrandoli sull’idea tolkieniana della risorsa che gli Hobbit rappresentano per la salvezza del mondo. Chi scoprisse in sè qualche complicità con la mia intenzione veda il testo CHE COSA CI INSEGNANO GLI HOBBIT, leggibile nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto. Ma attenzione: io sono del parere che la salvezza venga dagli Hobbit e da altra Gente Piccola come loro ma non condivido il convincimento di Tolkien che oggi sia diventato “difficilissimo trovarli”. Io ne ho incontrati in discreta quantità nella crociera paolina di cui ho parlato tra il 28 giugno e il 5 luglio e ne vedo ogni giorno nella spiaggia di Santa Marinella, sessanta chilometri a Nord di Roma, dove ora sono in vacanza. Nel prossimo post indicherò una prima caratteristica attraverso la quale mi ingegno a individuarli.

Una mamma no global con due bimbi in macchina incontra al semaforo una zingara che ha con sé due bimbe dell’età dei suoi. “Che bei figli che hai! Dammi qualcosa per queste creature” dice la zingara. “Non ho soldi con me” risponde la mamma no global che ama vestire alla zingaresca “ma qualcosa ti do”. Accosta al marciapiede, apre il bagagliaio e ne cava il borsone del mare da cui prende tre paia di mutandine dei suoi bambini e le dà alla zingara che ringrazia. “Mettegliele però” dice seria la no global alla zingara. “Io gliele metto ma loro se le tolgono perché vogliono sentire il fresco”, fa la zingara tornando verso il semaforo. – Battute colte domenica 12 a Roma, all’angolo tra la circonvallazione Cornelia e la via Aurelia, verso le 14.

– Papà perché nel G8 c’è l’Italia e non c’è il Brasile? Chiede a tavola uno dei figli che è appena rientrato da un viaggio di lavoro a Rio de Janeiro. E la Turchia? Dice un’altra che ha fatto una vacanza a Istanbul. Non ci sono neanche la Cina e l’India! Fa la moglie che è maestra.
– Perché il mondo ha i riflessi lenti. Noi una volta forse eravamo tra gli “otto grandi”, oggi di certo no ma quell’elenco non è stato aggiornato. Gli otto sono ancora i protagonisti della seconda guerra mondiale: quelli che l’hanno vinta (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Canada) e quelli che l’hanno persa (Germania, Giappone, Italia). La Cina e l’India sono venute dopo la guerra e ancora non entrano nel club di quelli che contavano di più nel 1939. L’orologio della grandezza – che si aggiorna con le guerre – è fermo da più di sessant’anni.

“La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione”: così Benedetto al paragrafo 42 della “Caritas in veritate”. C’è dunque una dimensione teologica della globalizzazione, che poi il papa svolge nel capitolo quinto dell’enciclica intitolato “La collaborazione della famiglia umana”, che ruota intorno a questo perno: “Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di una sola famiglia, che collabora in vera comunione ed è costituita da soggetti che non vivono semplicemente l’uno accanto all’altro” (paragrafo 53). E ancora: “Oggi l’umanità appare molto più interattiva di ieri: questa maggiore vicinanza si deve trasformare in vera comunione” (ivi). Insomma, non è un caso che il mondo si vada unificando e rimescolando. E’ come se Dio voglia che i suoi figli si conoscano e si avvicinino sempre di più per imparare ad amarsi.

“L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”: è al numero 78 della “Caritas in veritate”. Lo condivido, anche se lo direi con altre parole. Per esempio: “L’umanesimo che esclude Dio contraddice se stesso”. Per una lettura d’insieme dell’enciclica, vedi il mio articolo su Liberal di oggi, “Un’autorità politica mondiale per governare la globalizzazione”.

Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano“: è un’affermazione dell’enciclica Caritas in Veritate che dedico ai miei visitatori per invitarli a leggere. La trovate al paragrafo 75. Domai darò altri spunti su questo testo importante la cui pubblicazione ha velocizzato imprevedutamente la mia calda giornata quasi arroventandola tra articoli, interviste e dichiarazioni.

La crociera paolina della Duomo Viaggi è culminata oggi in una tappa romana alle Tre Fontane, dov’è il memoriale del martirio di Paolo, con una celebrazione presieduta dall’arcivescovo e biblista milanese Gianfranco Ravasi. L’ultima trasferta, da Creta a Civitavecchia, non ha avuto soste sui luoghi di Paolo ma essi sono stati ricordati nelle “conversazioni” e qualcosa se ne è visto di passaggio dalla nave. Luca negli Atti ci dà questo resoconto coinvolgente per ogni viaggiatore nelle terre di Sicilia, Calabria, Campania e Lazio: “Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l’indomani giungemmo a Pozzuoli”. La Navigator è passata con sussiego tra Scilla e Cariddi e poco dopo abbiamo visto lo Stromboli a un tiro di sasso. Ringrazio Franco Trevisi e Silvano Mezzenzana della Duomo Viaggi che mi hanno dato la possibilità di questo tour paolino e sono grato a Giovanni Giavini per le lectio di ogni giorno dalle quali molto ho imparato.

Stamane abbiamo visto Creta e le rovine di Cnosso a cinque chilometri dalla citta’ di Heraklion, che ai tempi del dominio veneziano si chiamava Candia. Il profilo altero delle donne, la bellezza degli atleti in lotta con i tori, dei gigli e dei delfini in quegli antichi affreschi. L’immagine anche oggi conturbante del Minotauro, umo con la testa di toro,  che ti calamita da uno di quelli. Nessuna lectio su Paolo a Creta, perche’ vi mise piede solo per il maltempo, nel viaggio verso Roma. Ma poi scrisse a Tito, suo discepolo, che aveva avuto da lui l’incarico di fare su quest’isola il lavoro d’apostolo che egli non aveva potuto svolgere: “Per questo ti ho lasciato a Creta perche’ regolassi cio’ che rimane da fare e perche’ stabilissi presbiteri in ogni citta’, secondo le istruzioni che ti ho dato”. A Tito e’ dedicata la splendida chiesa costruita dai veneziani nel XVI secolo, poi divenuta moschea e oggi cattedrale ortodossa di Heraklion. Mi sono seduto sulla soglia di una casa e ho guardato per mezz’ora le sue finestre che sono convincentemente moresche e rinascimentali: meticciato di civilta’!

Oggi siamo stati a Efeso: alla zona archeologica che e’ la piu’ grande del Mediterraneo, alla Basilica di San Giovanni e alla Casa di Maria. Collegarmi a internet e’ una scommessa e anche un costo. Non ci riesco per intere giornate. Non controllo la posta e quasi non leggo i vostri commenti. Stupito dalla grandezza e dallo splendore della Efeso romana, vi faccio dono di una frase del nostro biblista Giavini: “Gesu’ andava per i villaggi, Paolo invece cercava le grandi citta’”. Quel teatro smagliante sotto il sole del mezzogiorno di oggi e cio’ che in esso grido’ un giorno la folla contro l’apostolo secondo il vivo racconto di Luca: “Gli efesini si precipitarono in massa nel teatro” – Atti 19. E Gesu’ che dice a Paolo, una notte, in Corinto: “Parla e non temere perche’ io ho un popolo numeroso in questa citta’”. Un bacio a tutti dalla nave che mi sta portando a Creta.

Nella mattinata abbiamo visitato l’areopago, dove abbiamo letto il capitolo 17 degli Atti degli Apostoli e il pomeriggio siamo andati a Corinto dove nell’agorà abbiamo ascoltato una lectio del biblista ambrosiano Giovanni Giavini sui primi due capitoli della Prima lettera di Paolo ai Corinti. In mezzo c’è stato il tempo di salire sull’Acropoli e di salutare il Partenone per conto di Fiorenza e di tutti. In particolare ho posto attenzione al cavallo che nitrisce da un angolo del frontone posteriore. Di questa giornata passata alla vampa del sole porto con me anche la vista del canale scavato nel tufo dell’istmo di Corinto e l’Acrocorinto superbo che domina la zona degli scavi. In particolare saluto chi mi difende fuori casa come Savigni e ognuno di voi che interloquisce con me nonostante la mia lontananza. A tutti dedico il commento di Giavini al passo di Paolo che nel capo 2 della Prima ai Corinti narra della “trepidazione” con cui si era presentato a loro sapendosi portatore del solo messaggio di Cristo crocifisso: “A chi va sostenendo che il cristianesimo sia una religione come un’altra possiamo contrapporre questa affermazione di Paolo, che non ha l’eguale nella storia dell’umanita’: di un credo che si basa su un uomo crocifisso che si e’ accreditato come Dio risorgendo dai morti”.