Mese: <span>Ottobre 2009</span>

La notizia di ieri sul passaggio alla Chiesa Cattolica di alcuni gruppi della Comunione Anglicana andrà capita con la calma e la buona informazione che ancora non abbiamo. Ho ripensato a quanto disse con emozione Paolo VI il 28 aprile del 1977 ricevendo il primate anglicano Donald Coggan e io ero lì con 32 anni di meno a prendere appunti: “Il ritmo di questo movimento [di avvicinamento tra le due Chiese] è divenuto meravigliosamente più rapido negli ultimi anni tanto che quelle parole di speranza ‘la Chiesa anglicana unita ma non assorbita’ oggi non sono più un semplice sogno“. Sapevo da dove venivano quelle “parole di speranza”: avevo letto DIALOGHI CON PAOLO VI di Jean Guitton ed esse erano alle pagine 226-228 dell’edizione Mondadori 1967, a riassumere il “sogno” dell’unione che era stato coltivato nelle CONVERSAZIONI DI MALINES tra il 1921 e il 1925, guidate dal cardinale Mercier. Lì – nel primo dialogo di unione tra cattolici e anglicani – si era immaginata un’unione a modo di Patriarcato, dove gli anglicani avrebbero mantenuto la struttura e il diritto e la liturgia della loro tradizione e sarebbero restate le “sedi storiche della Chiesa Anglicana” mentre le diocesi cattoliche istituite dopo il 1851 “verrebbero soppresse”. Rispetto ai tempi di Paolo VI l’avvicinamento è divenuto forse un allontanamento (con le tappe dirompenti della donna prete e ora della donna vescovo) ed ecco che a un’unione che non sia assorbimento arrivano dei gruppi, ma non la Chiesa Anglicana tutta. I gruppi che arrivano ora sono degli apripista o un drappello in fuga? Io intanto sono contento degli arrivi e più ancora del fatto che l’evento non sia stato accompagnato da scomuniche ma da una “dichiarazione congiunta”. Nel primo commento il testo di un mio articolo che appare oggi sul CORRIERE DELLA SERA.

Domenica pomeriggio in coda a una conferenza a Brescia (vedi primo commento al post del 18 ottobre) sui cinquant’anni dall’annuncio del Vaticano II, mi viene posta questa domanda: “Lei parla in positivo di uno stato di concilio permanente, che dura da allora e che comporta diversità di opinioni. E sta bene, ma non è troppo quello che vediamo? Sul Corriere della Sera di oggi leggiamo a pagina 5 del cardinale Bagnasco che dice ‘no’ all’ora di religione islamica e a pagina 6 troviamo il cardinale Martino che dice ‘sì’. Il continuo dibattito non è debolezza?” – “No, in questo caso è un vantaggio” è stata la mia risposta: “Sull’insegnamento islamico nella scuola di Stato non è necessaria l’unità. E’ una materia politica che non tocca la fede e dunque del tutto opinabile. Una varietà di posizioni rende evidente questa libertà“. – Sull’argomento Liberal pubblica oggi un mio approfondimento informativo che ricorda la posizione possibilista del cardinale Ratzinger quando la questione fu discussa in Germania e una conferma di essa che diede poi da papa in un’occasione particolare. Anche il cardinale Ruini tre anni addietro non si era detto contrario, pur ponendo condizioni esigenti. Il testo dell’articolo nel primo commento a questo post.

Un somalo nero dai capelli lanosi entra in una casa milanese per rubare e respira un attimo in quell’ambiente riscaldato. Pilucca da un piattello preparato per qualcuno che rientra tardi, beve un bicchiere e prova a sdraiarsi sul divano, chissà come sarà morbido. Di colpo si addormenta. Rientra il destinatario del piattello, scopre che qualcuno dorme sul divano e chiama la polizia che sveglia il dormouse: “Faccia vedere i documenti”. Il tipo mostra il foglio di espulsione che gli è stato appena consegnato da un questurino sotto il ponte dove passa la notte. “Buttalo subito – straccialo” gli avevano detto i compagni di Sottoilponte. Ma lui l’aveva infilato nella custodia di plastica di una patente che aveva rubato poco prima e lo teneva pronto nella tasca del giubbotto perchè era il primo “documento” con il suo nome stampato che avesse mai avuto.

Il cardinale Bagnasco dice oggi al Corriere della Sera che l’insegnamento della religione islamica nelle scuole di Stato (vedi post precedente) non potrebbe essere giustificato in riferimento alla nostra storia e alla nostra cultura, come invece avviene per la religione cattolica. Il cardinale ha ragione ma ritengo che quell’argomento non basti a dire “no” alla proposta dell’ora di islam. Essa si giustifichrebbe per altra via: come accoglienza di una diversità e come aiuto al suo inserimento nella cultura e nell’ordinamento del notro Paese. Il vaglio del personale docente, il controllo sullo svolgimento delle lezioni e sul loro programma, l’uso della lingua italiana, la necessità per il docente di tenere conto – immagino nella maggioranza di casi – di alunni porovenienti da più paesi e lingue e culture sarebbero alcuni esercizi di inserimento cui saremmo e sarebbero indotti da tale innovazione.

“Dare cittadinanza a chi nasce in Italia alla fine delle scuole elementari, oppure dopo cinque anni di residenza regolare a chi dimostra di conoscere la lingua italiana e di condividere i valori e i diritti costituzionalmente garantiti”; “introdurre l’ora di religione islamica facoltativa nelle scuole pubbliche”: sono proposte di Adolfo Urso sottosegretario allo Sviluppo economico e segretario della fondazione FAREFUTURO che fa capo a Fini. Le trovo intelligenti e spero che vengano discusse con attenzione, evitando le diatribe per partito preso, guardando a quanto avviene negli altri paesi, tenendo conto dell’esperienza nel campo dell’accoglienza che hanno coloro che la praticano. “E’ l’arte del cavallaro la cura dei cavalli” dice Socrate a Eutifrone che risponde: “E’ così, o Socrate”.

Che volete, mi piace sparigliare. Per un precedente, vedi post del 9 ottobre 2007.

“NASCI, CONSUMA, CREPA!”: scritta letta in via Valle Scrivia 23, a Roma, tra una rivendita di moto e uno studio medico ginecologico. Ci sono le virgole e il punto esclamativo, le lettere sono nere, in stampatello maiuscolo. Il nero porta a destra – come anche l’ubicazione metropolitana – ma il legame tragico tra consumo e morte dice “no global”. Di più non so.

Si accalora la disputa sull’omofobia – vedi post precedente – e sulla possibilità che un deputato si stacchi dal gruppo per motivi di coscienza. L’ottimo costituzionalista e mio amico – di Fuci e di blog – Stefano Ceccanti invita Paola Binetti a dimettersi spontaneamente dal gruppo del Pd, avendo votato in contrasto con esso martedì a Montecitorio. Io faccio a Paola – di cui ho grande apprezzamento, anche per conoscenza personale – l’invito contrario: resti e aiuti il Pd a guardare più ampiamente e andare al largo. Restringendo la veduta si riduce l’area del consenso. Trovo giusto il richiamo di Ceccanti a non strumentalizzare la vicenda in vista delle primarie, ma la cacciata della Binetti rappresenterebbe – per me che guardo da lontano – una circoncisione ideologica dall’esito irrimediabilmente minoritario.

Mi dispiace che alla Camera si sia andati subito allo scontro su un argomento che va affrontato con prudenza e saggezza. Esso è troppo importante e non siamo pronti a trattarlo e comunque va trattato: dall’insieme di queste esigenze, da tutti condivisibili, sarebbe dovuta venire una qualche luce sul modo di procedere. Era giusto discutere ogni parola ad evitare di dire troppo o ambiguo, dunque il ritorno in commissione era una buona proposta. Post factum ognuno grida le sue giustificazioni: eravamo disponibili al ritorno del testo in commissione ma volevamo che fosse fissata per novembre la sua ripresentazione in aula, dice il Pd; gli altri volevano un ritorno senza limiti di tempo. Per ragioni di tattica parlamentare, per la troppa urgenza e la troppa flemma, ambedue non negoziabili, si è compiuto un primo passo falso. Al Pd – che ho votato – chiedo di avere meno fretta quando maneggia materiale infiammabile e di non pretendere, essendo in minoranza, di ottenere l’approvazione di un testo di parte.

Scrivendo di Rienzo Colla e della Locusta [vedi post del 6 ottobre] mi era venuto di paragonarlo a Giovanni e Vanni Scheiwiller – soprattutto a Giovanni – e alla loro editrice All’insegna del pesce d’oro. Libretti piccoli, curatissimi, tutti uguali, tutti di poesia nel caso di Scheiwiller e con largo spazio ai poeti nell’altro. La Locusta come il pendant cattolico del Pesce d’oro. Animaletti che fanno bene all’anima. Averne la casa piena! Ma non avevo osato: “Chissà quanto mi sfugge” mi ero giustificato. Oggi ho letto il ricordo di Vanni scritto da Sergio Romano a pagina 43 del Corsera e mi sono convinto che il paragone andava fatto. E qui l’ho fatto.