Mese: <span>Dicembre 2010</span>

Il nipotino di tre anni chiedeva, mentre facevamo il presepe: “Nonno, perchè la mucca del presepe si chiama due?” Gli ho risposto che quel bue mi è caro, insieme all’asino, più di ogni altro animale. E che attendo il tempo in cui non mangeremo più gli animali e li capiremo e gli parleremo. – «Venendo il tempo si sementare il grano, vedendo i bovi mi sentivo eccitare a devozione, avendo inteso che questa sorta di animali con i somarelli si erano ritrovati in quel mistero sì grande della capanna di Betlemme, quando nacque Gesù Cristo da Maria Vergine, riscaldandolo con il loro fiato, quando nel presepio giaceva sopra il fieno. Gli posi molto affetto, e fuori di modo mi rallegravo in vederli» (San Carlo da Sezze, 1613-1670).

Nella notte sono tornati per Natale i figli che erano lontani ed è stata una festa. Ma più bella sarà quando loro e gli altri – che al momento erano qui – torneranno dalla Terra Promessa, dall’Eldorado e dalla Nuova Frontiera che sono andati a esplorare con grande convincimento. “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide”.

Un alberello tondo su un motocarro sporco di calce. Lo incontro a via del Corso. Piove. L’alberello passa tra la folla di Natale che lo guarda e pensa ai boschi. Scorre all’altezza delle finestre e i vasi delle case si affacciano per lui. Questo passaggio dell’albero è come una parabola in mezzo alla città.

«La mia parrocchia è la strada. Avevo 44 anni quando il vescovo mi mandò a rendere visibile Gesù per i sofferenti. Se mi guardo indietro, sento che ho tentato di seminare e di amare»: sono parole di Giancarlo Bertagnolli, prete di Bolzano, fondatore dell’associazione «La Strada–Der Weg», una vita nel soccorso ai drogati. Le prendo dal libro intervista di Paolo Valente pubblicato dall’editrice Il Margine, Camminar la strada. L’avventura cristiana di don Giancarlo Bertagnolli, pp.137, 16 euro. Gli dedico un bicchiere di Vino Nuovo.

Giordano Remondi monaco di Camaldoli e caro amico ha tenuto quest’anno il 27 e il 28 novembre nella Foresteria del monastero due lectio per l’Avvento sulla “beatitudine di stare svegli nelle lunghe attese”, intitolate Attenti a Dio. Ero a Camaldoli il 23 ottobre per una mia conferenza e mentre bevevo un Laurus mi appuntai quel titolo ammonitore e il versetto che l’interpretava preso da Luca 12: “Tenetevi pronti perchè il Figlio dell’uomo viene nell’ora che non immaginate”. Otto giorni a Natale, ci diciamo, con l’aria di chi non sarà sorpreso. Ma così è troppo facile, non vale. Sento don Giordano che quasi si infuria e agita la sua Bibbia nello spiegarlo dall’ambone: egli è un monaco paziente, ma anche ardente. La sorpresa è il proprio di Nostro Signore. Che è come un cane fedelissimo ma che nessuno può addomesticare: “Attenti a Dio”.

Ho due figli a Parigi che tornano per Natale. Aspetto il loro ritorno: è la mia attesa più viva in questo momento. “L’uomo è vivo finchè attende” ha detto Benedetto all’inizio dell’Avvento (vedi post del 28 novembre). Nei nove giorni che ci separano dal Natale dirò qui, una al giorno, le mie attese.

Fulberto si chiamava lo zio di Eloisa che nel 1117 a Parigi fece evirare da tre sicari Abelardo che aveva amato, rapita, messa incinta, sposata e chiusa in un monastero la ragazza di cui era precettore. Helmut Seifert si chiama il tedesco 47nne di Bielefeld che il 2 novembre con due complici ha evirato l’amante 57nne della figlia, Phillip Genscher. Non avessimo letto le otto lettere di Abelardo ed Eloisa non sapremmo immaginare la grazia e l’abisso che possono aver attratto i due di Bielefeld nonostante che l’uno avesse quarant’anni quando l’altra nasceva. [Segue nel primo commento]

Uno dei cortei della giornata violenta che abbiamo vissuto a Roma è passato per via Cavour, a 50 metri dalla mia finestra che dà da quella parte. “Siamo tanti e facciamo paura” diceva uno degli slogans gridato con più forza e io, dalla mia finestra, ho avuto paura. Per il tono di quelle grida, che era lo stesso che negli anni 70 intimava: “Celerino basco nero – il tuo posto è il cimitero”. E per i ragazzi di 17 e 18 anni che riempivano quel corteo, ostaggi dei violenti.

Tammurriata mattutina di quattro Babbo Natale per via Urbana accompagnati con entusiasmo dalla barbona francese che agita la bottiglia di birra spruzzando schiuma di qua e di là.

Non mi basta il ricordo – ora voglio il tuo ritorno“: scritta che leggo sul marciapiede di destra di Viale Angelico per chi cammini verso Viale delle Milizie, a Roma, in prossimità dell’incrocio. Lei gli avrà detto: proviamo a non vederci per un mese. Lui ha resistito quindici giorni poi le ha mandato un sms: ho bisogno di te. Lei avrà risposto: ora disattivo questo numero – prova a cercarmi nei ricordi. Ed ecco che lui traccia quella scritta sul marciapiede dove lei passa due volte al giorno.