Mese: <span>Agosto 2012</span>

Qui si narra la storia di tre coppie in missione: Enrico e Desi Ceccarelli, i loro cognati Paolo e Paola Ceccarelli, la loro figlia Giulia che sta per partire con il marito Fabio e con il figlio Ismaele (che ha meno di due anni) per il Mozambico. Ma cuore e motore di tutta questa missione sono Enrico Ceccarelli e Desi Giannoni, che sono stati per un decennio la coppia animatrice del Centro Fraternità Missionarie di Piombino e poi sono partiti loro stessi per il Mozambico. In questa intervista Desi narra l’avventura del loro “ministero di coppia” e la viva memoria lasciata da Enrico che è morto di tumore nel 2004 lasciandola coordinatrice delle attività di una parrocchia di Piombino della quale si erano assunti la responsabilità negli anni della malattia. – E’ l’avvio a esca di un buon testo intervista che puoi leggere nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO di questo blog, capitolo 10 “Coppie in missione come Aquila e Priscilla”: Enrico e Desi Ceccarelli: “Scoprimmo il desiderio di una vita più viva”.

Può un corvo fare da colomba? Il corvo vaticano Paolo Gabriele ha confidato ai magistrati di essersi azzardato a tanto – cioè a “rubare” documenti dalla scrivania del Papa e a passarli al giornalista Nuzzi – perché si sentiva investito di una missione per la purificazione della Comunità cattolica: “Ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario. Inoltre nei miei interessi c’è sempre stato quello per l’intelligence, in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato”. Un infiltrato dello Spirito Santo con la passione dell’intelligence: e quella per l’intelligenza? Una colomba che si fa corvo o un corvo che si fa colomba? Ieri come tutti i vaticanisti ho tribolato sulle carte della magistratura vaticana, ma quelle quattro righe mi hanno rinsanguato. Il concetto di “infiltrato dello Spirito Santo” mi è parso impagabile. Qui puoi leggere l’articolo che ne ho cavato per LIBERAL, pubblicato oggi a pagina 14 con il titolo Processo al corvo.

“Per intercessione di San Fermo il Signore benedica i nostri bambini” dice il prete della Basilica di San Bassiano a Lodi Vecchio alla fine della messa delle 16,30: “E ora andiamo fuori per la benedizione degli animali”. Ci sono, in attesa del segno di croce con la reliquia di San Fermo, dieci cani, due gatti nei portagatto, una tartaruga nel portatartaruga. “Questa tartaruga viene tutti gli anni a prendere la benedizione” dice il parroco. La signora che in chiesa aveva guidato il rosario mi dice mesta: “Portavo sempre il mio cane ma ora non cammina più”. – In trasferta da Roma a Nerviano – il paese di mia moglie, tra Rho e Legnano – usciamo dall’autostrada a Lodi e raggiungiamo Lodi Vecchio, cinque chilometri più avanti, dove ci deliziamo con i capitelli e gli affreschi della Basilica di San Bassiano e ci prendiamo grati sia la benedizione dei bambini sia quella degli animali.

Dal visitatore del blog Luca Grasselli – bolognese – ricevo la foto con la scritta Dieu existe – trop e la didascalia: Ho scattato questa foto sabato 21 luglio a Parigi nel delizioso parco di Bercy e l’ho intitolata “frammenti di un dibattito sulla laicité”, ma potrebbe anche avere altri nomi. Ringrazio Luca e invito i visitatori a tenere gli occhi aperti, quando sono in giro, anche per me.

Non ci frega niente dell’Italia. Quando fecero l’Italia non c’era la lingua italiana; il re, in quel caso fu intelligente, capì che per fare un regno serviva una lingua. La lingua non c’era e il re trovò un grande traditore, una canaglia che si chiama Alessandro Manzoni. Manzoni fu la canaglia che lavorava per il re del Piemonte, per i Savoia e avendo scritto – stava cominciando a scrivere – i “Promessi Sposi”, gli chiese di andare a Firenze e di tradurlo in dialetto fiorentino e così nacque ed è per quello che si studia a scuola, non perché è un grande romanzo, per l’amor di Dio, è una mattonata della miseria, ma perché è scritto in italiano. Dobbiamo anche noi iniziare a guardare in lungo e a creare dizionari di lingua padana”: così ha parlato Bossi a Corgeno l’altro ieri. Non ero soddisfatto dei rendiconti delle gazzette – troppo approssimativi – e ho trascritto le ipsissima verba Corgeni [le precise parole di Corgeno] dall’audio di questo video. Nei primi cinque commenti cinque mie glosse alle ipsissima.

Sono un mangiatore di meloni e di cocomeri: hanno colori, freschezza, costano poco. Puoi mangiarli tra gli amici o per la strada sgocciolandoti liberamente. Il momento magico è quello dell’acquisto, tra donne che li soppesano timorose e uomini che fingono di saperli scegliere. Specie il cocomero: ci battono una mano o le nocche, l’accostano all’orecchio, lo rigirano per valutare se ha preso il sole, osservano severi il picciolo.

Stavolta parlo di Vittorio Tranquilli che era un personaggio ed è appena partito dopo 87 anni passati su questo pianeta beneficando tanti e aiutando altri a restare svegli. Eppure è difficile parlare di questo personaggio che era anche un poco mio amico – avendolo conosciuto nel 1970 nella Scuola italiana di scienze politiche ed economiche (SISPE) di Franco Rodano, Claudio Napoleoni, Michele Ranchetti – e mi chiedo la causa di questa difficoltà: sui quotidiani la sua morte l’abbiamo segnalata solo io sul “Corriere della Sera” del 5 luglio e Loris Campetti sul “Manifesto” dello steso giorno. Risposta provvisoria: è difficile oggi nei media parlare di un giusto che sia solo un giusto. E’ l’attacco di un mio laborioso testo In morte di Vittorio Tranquilli pubblicato da IL REGNO 14/2012 che segnalo qui nel trigesimo della sua partenza.

Santa Maria Maggiore strapiena per la “messa grande” delle dieci nel giorno della “dedicazione”. Ho rivisto piovere fiori durante il canto del Gloria dal quarto rosone centrale del soffitto a contare dall’arco trionfale. La folla mi aveva costretto a una posizione diagonale scomoda, sulla destra del presbiterio, ma dalla quale potevo vedere uno dei quattro tondi con figure di profeti che adornano il transetto, dipinti a fresco forse da un discepolo del Cavallini, potenti nei loro colori chiari e nelle forme frontali. I colori di quell’affresco e quelli dei petali che scendevano dal soffitto mi hanno ricordato i versi del Petrarca: “Da’ bei rami scendea – dolce nella memoria – una pioggia di fior sovra il suo grembo”. Questo e altro che non dico ho dedicato ai miei visitatori.

Ho formato 282 cardiochirurghi in quindici Paesi e questa è per me la massima soddisfazione. Che senso avrebbe la vita se non dessi agli altri la mia esperienza?“: parole di Alessandro Frigiola, cardiochirurgo infantile che organizza missioni in Paesi privi di ospedali. Un uomo di valore che mi piacerebbe conoscere e al quale brindo con un bicchiere di Vino Nuovo.

Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti”: dice così l’attuale formula della consacrazione del vino in traduzione italiana. I nostri vescovi vorrebbero mantenerla ma il Papa chiede che si adotti una traduzione letterale del testo latino, che ha “pro vobis et pro multis”. Ne è nata una disputa che vede anche altre proposte, in sostituzione dell’attuale “tutti”, che è una traduzione interpretativa: “per la moltitudine”, “per moltitudini”, “per moltitudini immense”. – E’ il promettente avvio di un mio articolo pubblicato oggi da LIBERAL a p. 8 con il titolo drammatizzante Per molti o per tutti? Una traduzione scuote la Chiesa. Segnala con favore le proposte venute dagli specialisti Francesco Pieri e Silvio Barbaglia e dal teologo Severino Dianich, convergenti nell’adozione del termine “moltitudine”.