Mese: <span>Settembre 2012</span>

Noi abbiamo perdonato con l’aiuto di Dio ed ecco che questo fratello che era morto è come risorto ed è lui, a volte, che ci conforta con il suo cammino. Oggi, che è il giorno di Pasqua, ci pareva bello di poter dire: “Eravamo morte e siamo risuscitate”. Alle volte andiamo alle tombe dei nostri genitori e li sentiamo in paradiso e che ci sono vicini e approvano il cammino che i loro figli stanno facendo. – Sono parole di Laura Maso che narra la terribile storia della sua famiglia e il ritrovamento di Pietro che lei e la sorella Nadia hanno vissuto con l’accompagnamento di don Guido Todeschini. La storia è nel paragrafo 4 OMICIDI COMUNI del capitolo 3 IL PERDONO AGLI UCCISORI DEI PARENTI della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto ed ha il titolo  Mio fratello era morto ed è tornato in vita.

La stella parla adagio e il coyote grida forte“: saluto Roberto Roversi – che lascia il pianeta – con questo verso che scrisse per Lucio Dalla e che mi pare dica qualcosa del pianeta e della sua ubicazione nell’universo.

La primavera araba è “positiva” dice Benedetto in volo verso Beirut e aggiunge che ogni fondamentalismo è “falsificazione”: i viaggi aiutano i Papi a incrociare la storia e a calare – imprevedutamente – la loro parola nel fuoco dell’attualità. Sono almeno quattro le affermazioni fatte ieri in aereo da Benedetto che acquistano forza dal riverbero delle bandiere americane bruciate in questi giorni in varie capitali arabe e dal rimando, a specchio, alle invettive che altri fanatici hanno rivolto con un film alla figura del “Profeta Maometto” […]. Il mito greco attribuiva a Dedalo l’arte di muovere le statue e Socrate lo cita, nel dialogo con Eutifrone, per lodare invece l’arte di “tenere fermi i discorsi” perché riescano utili: ecco, nessuno come i Papi conosce quest’arte, che per lo più rende inattuale la loro parola ma che all’occasione – come è capitato ieri – può farla straordinariamente attuale. – In queste righe propongo la testa e la coda di un mio articolo ad effetto pubblicato oggi dal Corsera alle pagine 1 e 58 con il titolo Quel no del Papa al fondamentalismo.

C’è un’audacia delle uscite nel mondo di Benedetto XVI che è figlia naturale di quella leggendaria di Giovanni Paolo II: oggi il Papa teologo parte per il Libano mentre lì accanto la Siria è da mesi un vulcano in eruzione e tutto intorno nelle ultime ore ribollono – scosse dagli assalti alle ambasciate americane – le capitali di vari paesi, dall’Egitto allo Yemen. E’ il 24° viaggio di Papa Ratzinger fuori d’Italia ed è la sua prima missione in un paese arabo da quando laggiù è esplosa la “primavera” dei rivolgimenti politici; missione preparata da tempo ma che viene a cadere – per gioco della sorte o della Provvidenza – nei giorni in cui la strage di Bengasi provoca un infausto rilancio della presenza americana in quell’area e accentua la fuga degli occidentali. – E’ l’attacco di un mio articolo d’ordinanza pubblicato oggi da LIBERAL. Con esso mando un saluto a Benedetto e dico che è un dono per tutti che vi sia al mondo uno che possa portare a ogni umanità parole di pace in mezzo alle guerre.

Sono d’accordo con il ministro Annamaria Cancellieri: “Roma non diventi un palcoscenico esclusivo per tutte le pur legittime manifestazioni“. Cribbio: passano tutte sotto la mia finestra. L’aveva detto anche il sindaco Alemanno, ottimo spalatore di neve. Oddio come sono di destra: spero che dicano qualcosa sui cortei i miei amici di centrosinistra, così mi riposiziono al centro che è la mia aspirazione permanente.

Sono fortunata perché ho avuto il tempo di prepararmi a morire. Ho potuto pensare, ho potuto pregare, ho potuto incontrare le persone care, ecco, ho avuto il tempo di prepararmi”: parole di Margherita Filippini di Reggio Emilia dette pochi giorni prima della morte per linfoma, a 25 anni, il 20 luglio 2012. Quelle parole, che meritano di entrare in un’antologia del sentimento cristiano in questo inizio di millennio, sono state riferite ad apertura dell’omelia della messa di addio – il 21 luglio, nella chiesa parrocchiale reggiana di San Luigi Gonzaga – dal celebrante don Matteo Mioni. Altre parole di Margherita riguardo alla sua “preparazione” sono state riferite da diverse persone nella preghiera dei fedeli di quella celebrazione e si possono leggere qui, cioè nel capitolo 8 “Celebrazione ecclesiale della propria morte” della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.

Mi chiamo Amal che vuol dire speranze. Mi piace questo nome e mi aiuta a pregare Allah. Per esempio quando ero clandestina sull’aereo e poi sui pullman che mi portavano da Tangeri, in Marocco, dove sono nata, ad Algeciras in Andalucia, che è stata la prima tappa in Europa e poi attraverso la Francia e finalmente in Italia dove mi attendevano i genitori. Allora le mie “speranze” erano di non essere scoperta. Sono stata quattro anni senza documenti, nascosta. Facevo la lavapiatti al ristorante. Quando ho trovato un lavoro vero sono tornata in Marocco per fare i documenti. Ora sono regolare e faccio la mediatrice culturale in ospedale, aiuto le donne arabe che non vogliono farsi vedere dal medico uomo e neanche parlarci. In Marocco avevo preso la laurea in teologia islamica e qui partecipo alle attività della parrocchia dove vivo perché l’ho conosciuta con la Caritas e il prete un giorno mi ha invitato a una riunione dicendo ‘così vedi la nostra fede e noi la tua’. Le pagine dei Vangeli che mi piacciono sono quelle dove Gesù parla con la donna di Samaria e con le sorelle Marta e Maria. Sto organizzando un viaggio della parrocchia in Marocco dove andremo, loro cattolici e io musulmana, a conoscere il monaco sopravvissuto alla strage di Thiberine“. La conversazione con Amal è avvenuta il 17 agosto in automobile, scendendo io da Barbagelata a Chiavari. Per la questione su che possa venire di buono da Barbagelata vedi qui.

Mi sei scoppiata dentro al cuore all’improvviso bambulè“: scritta con vernice nera sul marciapiede di sinistra del viale Galvani, a Roma, per chi vada verso lo “Stabilimento di mattanza” e stia per sboccare nel piazzale del Mattatoio, oggi MACRO (Museo d’Arte contemporanea). Siamo nel Rione Testaccio, ai bordi del Monte dei cocci. Qui il romanesco è greve come la coda alla vaccinara e basta quell’irriducibile “bambulè” per inculturare a puntino la citazione della canzone senza patria di Mina.

La nuova rotta della speranza, in particolare per chi viene via dal Congo, è questa: Kinshasa-Teheran (via Dubai). Da Teheran queste persone vengono portate con un autobus vicino al confine iraniano e poi, come sempre, attraverso le montagne, in Turchia. Van è la prima città grande dopo il confine. Chi ha ancora soldi (perché spesso vengono derubati durante il viaggio attraverso le montagne), prosegue fino a Istanbul e oltre, chi non ne ha più, rimane a Van. Pochi giorni fa’ Costanza, essendo nella lista dei traduttori, è stata chiamata dalla polizia per tradurre dal francese al turco l’interrogatorio di cinque congolesi: una mamma con tre bambini di 10 anni, 4 anni, 11 mesi e con loro un amico di famiglia. Arrestati poco dopo l’arrivo a Van, sfiniti per aver camminato sulle montagne dodici ore, la maggior parte di notte. Terrorizzati all’idea che li potessero rimandare in Congo. L’uomo che è arrivato con quella donna e i bambini non sapeva nemmeno di essere in Turchia. – E’ un brano di una lettera datata “Van settembre 2012” della famiglia Ugolini che i visitatori del blog già conoscono. Nel primo commento un altro brano della stessa lettera.

Quello che sto provando adesso, mentre celebriamo il tuo funerale, è qualcosa di molto simile a una risurrezione. Non so come poterlo dire: sono felice. E’ veramente difficile descrivere la gioia pura. Ecco perché, probabilmente, mi sto sentendo così. Perché non potendo descrivermi il Paradiso hai deciso di darmene un assaggio. E l’aria è più densa qui in basilica, più spessa, quasi. E mi viene in mente quella canzone di Gino Paoli ‘Il cielo in una stanza’ perché è come se ci fosse il Cielo in questa chiesa. E’ un genere di sensazione che definirei ‘di cielo aperto’, e non è solo un’impressione ambientale. E’ come se tutto quello che sono, tutto quello che ho fatto nella mia vita fino ad ora, fosse servito per arrivare a oggi. E forse anche molti altri, intorno a me, lo stanno provando. Perché alla fine della celebrazione c’è un’intera chiesa in piedi, che canta, battendo le mani. E siamo sempre a un funerale“. – E’ un brano sul funerale del marito Luigi contenuto nel volume di Susanna Bo “La buona battaglia. Una storia (vera) da raccontare” (Chirico editore, 2012). Con un bicchiere di Vino Nuovo saluto in Susanna una vera scrittrice e una testimone dell’attitudine cristiana a vivere “lieti nell’afflizione”.

Aggiornamento del post in data 10 settembre 2012: una redazione più ampia della storia di Susanna è ora leggibile qui [cioè nel paragrafo Tuo fratello risusciterà del capitolo La vita è mutata ma non è tolta della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto].