Mese: <span>Ottobre 2012</span>

Da Rovereto sono poi andato a Brindisi, ieri: in treno fino a Mestre e in areo dal Marco Polo al Papola-Casale. Mi era capitato una volta di dover andare da Reggio Calabria a Bassano ed ero andato in aereo al Marco Polo e poi da lì in bus e treno a Bassano. Non ho mai usato l’aereo per andare da Roma a Venezia, ma l’aeroporto Marco Polo lo uso come pedana in occasione di svariati salti per l’Italia. Mia gratitudine nel fare Venezia-Brindisi in un’ora, quando per nave i nostri antichi potevano impiegare una settimana. A Brindisi ero ospite di un appuntamento su Chiesa e Mafia organizzato da un cartello di associazioni e ho potuto visitare stamane il Castello Svevo, guidato dal “capitano di fregata” Parisi, brindisino colto che mi ha condotto per quel palinsesto di fortezze che oggi è sede del Comando Militare della Marina. Ma è stato castello bizantino svevo aragonese e nel 1943-44 ospitò i fuggiaschi Vittorio Emanuele III e il principe Umberto. Dal Castello sono sceso al lungomare del Seno di Ponente e attraverso il Viale Santa Margherita, che è tutto un cantiere, sono arrivato alla Scalinata di Virgilio che ho salito senza sapere se dovessi guardare in su alle colonne che si dice segnino la fine della Via Appia, o in giù al mare specchiante il sole. Per via Colonne sono approdato alla cattedrale, dove ho rivisto il mosaico che è sotto vetro sulla sinistra del presbiterio, unico resto della primitiva costruzione romanica. Li avrà visti quei mostri e quei fiori Isabella di Brienne, figlia di Giovanni di Candia e regina di Gerusalemme, che qui andò sposa a Federico II avendo solo 14 anni, nel 1225? Chissà se nei trasalimenti di quel giorno ebbe modo di vedere dove metteva i piedi. A Brindisi ho mangiato fichi in quantità, sia nostrani sia delle Indie, benissimo pelati dai miei garbati ospiti.

Ero ieri a Rovereto per una conferenza a Casa Rosmini: finalmente ho visto quella Casa e la sua mitica Biblioteca così simile a quella di Casa Leopardi, della quale qui abbiamo parlato poco fa. Due dispendiose raccolte di libri messe insieme negli stessi anni, lungo i primi due decenni dell’Ottocento, ambedue aperte agli amici e ai concittadini. In ambedue trovi l’armadio chiuso a chiave che conteneva i libri all’Indice, e poco lontano trovi prestigiose Bibbie poliglotte su colonne sinottiche: in quattro lingue a Rovereto, in sei a Recanati. E nell’una e nell’altra trovi l’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers, cioè la famosa Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, proibitissima ma indispensabile per un vero intellettuale. Il padre Alfredo, custode della Casa, mi racconta che L’Encyclopedie fu donata ad Antonio Rosmini dalla famiglia per la festa della sua ordinazione (1821): che intreccio, che premesse, che bello. Mi piace chi spariglia. Qua e là, nella Casa, memorie del Tommaseo, del Manzoni e di Clemente Rebora. Mi pareva d’aver abitato a lungo in quelle stanze che non avevo mai visto. Ho parlato nel Salone degli Specchi, dove si tenevano le feste da ballo. Se avessi saputo farlo, avrei concluso la conferenza sui “fatti di Vangelo” con qualche passo di danza.

Due iniziative in avanti, tre gesti simbolici, un testo da teologo, una decina di discorsi: è ormai nutrito il corpus degli interventi del Papa teologo sui cinquant’anni del Vaticano II e qui ne abbozzo una lettura d’insieme. Che avrà questa conclusione: Benedetto guarda al Concilio come a una “bussola” provvidenziale e tutt’oggi valida – nonostante l’evidenziarsi di qualche segno del tempo trascorso – per la navigazione della Chiesa nel “vuoto” di Dio della modernità, la cui “desertificazione spirituale” è oggi più evidente e trionfante rispetto a mezzo secolo addietro. Nulla da obiettare sui segni di invecchiamento di alcuni testi conciliari: il Papa ne accenna in riferimento alla Gaudium et Spes e alla Dichiarazione sulle religioni non cristiane. Lo spirito del tempo, che spingeva alle vedute ottimistiche, ha lasciato il segno anche in altri documenti. Ho invece una qualche difficoltà a guardare alla modernità come a un mondo senza Dio: questo punto lo svilupperò alla fine. – E’ il cauteloso avvio di una mia spericolata divagazione pubblicata oggi da “Liberal”. La puoi leggere qui.

Cadono i ricci dell’ippocastano e due bambini con l’aiuto di mamma e papà ne cavano due lucide castagne. Subito corrono a metterle nella bocca dei delfini con le code attorcigliate che sono ai lati di un cancello. “Ora chiudi la bocca e inghiotti la pastiglia” dice il più piccolo al suo delfino.

«Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un Dio né un punto fermo sulla Terra da cui poter attirare un Dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito e sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero anche me»: così il narratore e drammaturgo svedese Stig Halverd Dagerman, che si uccise a 31 anni nel 1954. Quel brano, preso dal volume Il nostro bisogno di consolazione, è stato citato poco fa dal cardinale Ravasi a “Canale 5”. L’innocenza dell’ateo sono le parole che mi danno una mano a intendere comportamenti rari ma che ho sempre incontrato, in ogni ambiente, persone che non dubitano e non cercano, non scommettono sulla non fede come Pascal scommetteva sulla fede, ma sono semplicemente atei, naturaliter atei. Atei per natura come vi sono i cristiani per natura. Solo toglierei dal motto di Dagerman l’aggettivo “ardente”: gli atei ardenti che ho conosciuto io non erano per nulla innocenti.

Muore una mia sorella, di nome Maria, 85 anni, da cinque limata dalla leucemia. Ieri abbiamo avuto la messa di addio, a Castelfidardo. Maria era la prima di noi sette e ora cinque: un fratello, venuto subito dopo di lei, di nome Augusto, detto Gostì, è partito prima di lei. L’ultima occasione felice per tutti noi, con la nostra sorella più grande, fu per il compimento dei suoi ottant’anni. Correndo da lei quest’ultima volta, ho provato a cercare i ricordi più antichi di lei che mi tiene per mano e dei suoi occhi seri e vispi mentre mi aiuta a mangiare. Aveva 17 anni più di me e partì presto dalla nostra casa: si sposò che io avevo tre anni e mezzo. Ricordo i confetti colorati del pranzo di nozze, sotto il tendone alzato davanti alla casa contadina. E la ricordo con il fidanzato, anche lui di nome Augusto, detto Gusto, che veniva da noi la domenica pomeriggio con la cavalla: non c’erano automobili né motociclette nella campagna tra Recanati e Osimo i primi anni dopo la guerra. Ricordo due battute tra Gusto e mio padre Peppe, nella stalla, mentre mio padre rifaceva i letti alle mucche. Parlavano della guerra: i grandi allora parlavano sempre della guerra, delle fucilazioni fatte dai tedeschi e delle vendette dei partigiani, partiti i tedeschi. Diceva mio padre, che aveva fatto la guerra del 15-18, a Gusto che aveva fatto quella del 40-45: “E che credi che il governo non sta preparando la guerra anche adesso?” – “Di sicuro che la prepara. I governi preparano sempre la guerra”. Non capivo l’idea ma capivo, dal tono della voce, che dovevo memorizzare quelle parole.

Il Concilio Vaticano II (ottobre 1962-dicembre 1965) con i suoi 2.540 «padri» fu la più grande assemblea deliberante nella storia della Chiesa cattolica e una delle più vaste nella storia dell’umanità. Decise riforme in campo biblico, liturgico, ecumenico e nell’organizzazione della vita interna alla Chiesa. Su quelle decisioni non è mai cessata la disputa in questo mezzo secolo, ma nessuna di esse è stata rigettata dal corpo della Chiesa o ritrattata dai Papi, anche se la loro applicazione è avvenuta solo in parte, specie per quanto riguarda la vita interna alla comunità cattolica. E’ il ponderato attacco di un mio ottimo articolo pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” a pagina 25 con il titolo Così la Chiesa cambiò se stessa.

Oggi e domani sono a Forlì per il Premio Castelli, essendo per la prima volta il presidente della giuria per tale premio. Devo parlare due volte, nella giornata di domani: al mattino durante la premiazione e al pomeriggio, ad apertura del convegno “La tutela delle diversità nella giustizia italiana e nella società civile”. Non potrò partecipare alla fiaccolata per i cinquanta del Concilio nella mia Roma: se a quell’appuntamento ci sarà un frequentatore del blog, vi partecipi anche a mio nome e io farò a suo nome l’incontro con i detenuti. Chi ha un’idea anche minima per i miei discorsi di domani, me la mandi. Io sono abbagliato dal fatto che oggi sia così difficile “visitare i carcerati”, più che al tempo di Gesù. Rispetto ad allora tutto è migliorato nelle prigioni, tranne il contatto con l’esterno. Che a mio parere è il più importante. Dunque qualcosa di essenziale è andato indietro, in tanto progresso: tocca a questa generazione rimediare. Siete d’accordo?

Il terzo volume di Joseph Ratzinger della trilogia GESU’ DI NAZARET, intitolato L’infanzia di Gesù, sarà nelle librerie entro Natale. Lo considero il mio primo regalo di Natale. Il volume uscirà in coedizione Rizzoli – Libreria Editrice Vaticana ed è stato presentato oggi alla Fiera di Francoforte. Nei primi tre commenti la premessa di Ratzinger al volume e due suoi brani che gli editori hanno anticipato.

Dopo qualche minuto é arrivato frère Jean-Pierre, l’ultimo vivente dei due monaci sopravvissuti alla tragedia dell’Algeria: é una persona anziana, indossava un vestito molto semplice che assomiglia tanto a quello che indossa la gente di campagna in Marocco. Ci ha accolto con gioia e ci ha invitato a partecipare alla Messa della comunità, nella chiesa del loro monastero, molto diversa dalle chiese che ho visto in Italia. – E’ un brano del racconto di un viaggio in Marocco che Amal – ragazza marocchina che vive in Liguria, a Sestri Levante, dove fa la mediatrice culturale in ospedale – ha scritto per questo blog. La visita in patria è avvenuta a fine agosto 2012, organizzata da lei, musulmana, per accompagnare a quell’incontro i suoi amici cristiani della parrocchia ligure che frequenta al fine – dice lei – di “conoscere la fede cristiana (è laureata in Teologia islamica) e di far conoscere la fede musulmana”. I visitatori del blog già conoscono Amal e qui possono leggere per intero il suo racconto. L’ho inserito nel capitolo 19. Samaritani centurioni cananee della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.