Mese: <span>Marzo 2013</span>

In più commenti del 21 marzo al post La veste la croce l’anello: Francesco o della semplicità un visitatore affermava che le scarpe rosse erano una specificità di Papa Benedetto e chiedeva: “Se per 25 anni le scarpe ai piedi del Papa sono sempre state un normale paio di scarpe, c’era bisogno di rimettere in voga le scarpette rosse?” Non è vero che le scarpe rosse siano state introdotte o riprese dal Papa teologo dopo che Giovanni Paolo le aveva abbandonate: nelle occasioni rituali e cerimoniali, sia in Vaticano sia nei viaggi, il Papa polacco, come già Papa Luciani e Paolo VI, ha sempre usato le scarpe rosse, dopo che sono state introdotte sotto Montini quando si trattò di aggiornare il guardaroba papale alle nuove esigenze dopo l’abbandono della sedia gestatoria e l’avvio delle celebrazioni con il popolo e dei viaggi. In sedia gestatoria i Papi usavano babucce rosse di raso con bordature e cordoncini dorati. Da lì vengono i mocassini rossi dei Papi conciliari. Nel primo commento un aneddoto su Paolo VI contenuto nell’opuscolo Pellegrino dalla scarpe rosse pubblicato nel 2008 dalla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri.

Il pomeriggio del Giovedì Santo, 28 marzo, Papa Francesco celebrerà la “Messa nella Cena del Signore” nel carcere minorile di “Casal del Marmo”, lo stesso dove Papa Benedetto celebrò il 18 marzo la messa nella domenica del “Padre misericordioso”. Annunciando questa Pasqua nel carcere il padre Lombardi ha detto: “Nel suo ministero come arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio usava celebrare tale Messa in un carcere o in un ospedale o in un ospizio per poveri o persone emarginate. Con la celebrazione a Casal del Marmo, il Papa Francesco continua tale uso, che dev’essere caratterizzato da un contesto di semplicità. Le altre celebrazioni della Settimana Santa si svolgeranno secondo l’uso abituale”. – Dopo averlo visto alla Loggia, una che è con me disse: “Questo il Giovedì Santo laverà i piedi ai barboni di Borgo Pio”.

Aggiornamento al 22 marzo. “Il Papa nuovo si è dato un nome ma non un programma e vive alla giornata ma lo fa con tale spontanea semplicità che pare Papa da sempre”: è l’attacco di un mio passabile articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera e che si può leggere qui.

Con un commento del 15 marzo al post Se Ignazio diviene Francesco una visitatrice affermava che “il Vaticano II non parlò mai di demonio, quasi non esistesse più, e bisognò aspettare le dolenti parole di Paolo VI per sentire ancora nominare l’Avversario”. Non è vero: il Vaticano II ha nominato almeno quattordici volte l’Avversario, chiamandolo “Demonio” (4 volte), “Maligno” (2 volte), “Diavolo” (2 volte), “Serpente”, “Principe di questo mondo”, “Satana”, “Potere delle tenebre”, “Demoni”, “Dominatori di questo mondo tenebroso e spiriti maligni”. Non interloquii perché immaginavo che altri visitatori l’avrebbero fatto nell’abituale dialettica del blog. Nessuno invece l’ha fatto e allora mi sono deciso a riprendere l’argomento perché non ne abbia danno la conoscenza del corpus conciliare già ridotta quasi a nulla in quegli stessi che amano discuterne. Nei primi quattordici commenti riporto i brani che ho rintracciato: non per polemica con nessuno, ma per la gratitudine che ho nei confronti di quei testi, come per ogni altro del Vaticano II che è stato un dono per tutti. Confido che essendoci dietro un elemento conflittuale i miei combattivi visitatori si fermino per un attimo su parole che lo meritano.

Dalle prime scelte riguardanti la propria immagine Papa Francesco appare indifferente a vesti e paramenti, scarpe e cappelli e si direbbe che gli prema quasi soltanto la veste bianca. La centralità che viene ad assumere la veste, nella sparizione di tutto il resto, va forse capita. L’aver tolto il rosso della mozzetta e delle scarpe dà rilievo al bianco della veste. Sarà quel bianco a raccordarlo visivamente, più di ogni altro elemento, ai predecessori. Ma sarà anche un bianco disadorno, a indicare che il raccordo è mantenuto per quanto riguarda la sostanza della missione papale ma non per i suoi aspetti accessori. – E’ un passo di un mio testo di pretenziosa semiotica papale pubblicato ieri dal “Corriere della Sera” alle pagine 1 e 17 con il fuorviante titolo L’anello d’oro rifiutato. I simboli di Francesco.

Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve […] aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire“: così Papa Francesco stamane nell’Omelia per l’inizio del ministero petrino. In un altro passo aveva invitato a non avere paura della bontà e della tenerezza: lo riporto nel primo commento. Per me sono parole di luce.

Da solo Papa Francesco ha curato ieri la sua presa di contatto con i “parrocchiani” del Vaticano, da solo si è affacciato sulla strada per salutare la folla, da solo ha scritto e ha svolto il primo Angelus. Per l’Angelus non aveva preparato i saluti nelle diverse lingue e non ne ha improvvisati, pur essendo poliglotta. Forse per semplificare. O non ha avuto il tempo di pensarci. Chi gli sta intorno prevede che continui così, alla giornata, almeno fino a Pasqua. L’osservatore esterno non sa se augurarsi che si circondi subito di gente fidata, o che vada avanti con questa spontaneità per non farsi ingabbiare. Ma deve ammettere che lui, Papa Francesco, non appare preoccupato o incerto su dove mettere i piedi o su che cosa dire. Con la sua disarmata sicurezza, pare Papa da sempre. – E’ un aggiornamento della mia lettura del Papa nuovo pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” con il titolo Sta facendo tutto da solo.

Stamane Papa Francesco – dopo la messa nella chiesa di Sant’Anna, che è la parrocchia della Città del Vaticano – è uscito per la strada, fuori del Cancello di Sant’Anna, indossando ancora i paramenti, per salutare la folla che lì si era assiepata. Terrore del mio amico Domenico Giani, comandante della Gendarmeria, che aveva una faccia somigliante a quella che hanno i genitori quando seguono un loro bimbo che si avventura tra le automobili.

Aggiornamento del post alle 15.00 del pomeriggio. Ho proposto al direttore del “Corriere della Sera” una mini rubrica intitolata Un Papa nuovo che ha questo attacco: “Non è solo un nuovo Papa ma un Papa nuovo quello che abbiamo davanti agli occhi da quattro giorni”. Il direttore ha approvato e la prima puntata è uscita oggi, con il titolo Il silenzio per rispettare i laici. Nella pagina del blog Articoli del Corriere della Sera si possono leggere tutti i testi che ho scritto in questi giorni sul Papa nuovo.

Bellissime parole del Papa nuovo a noi giornalisti nell’Aula Nervi: ha appena spiegato il nome di Francesco e ha esclamato “quanto vorrei una Chiesa povera”. Per il nome ha raccontato che in Conclave aveva accanto l’arcivescovo emerito di San Paolo Claudio Hummes, “caro amico”, che – arrivato lo scrutinio ai due terzi e scoppiato l’applauso – “mi ha abbracciato, mi ha baciato e mi ha detto: non ti dimentichi dei poveri”. Ha raccontato che la parola “poveri” gli è entrata dentro e così gli è venuto il pensiero di Francesco, e poi della pace e anche la pace lo portava a Francesco: “Francesco di Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo povero che ci dà questo spirito di pace. Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Quando ci sarà il testo trascritto, lo linkerò, ma volevo subito darvi, in diretta, le parole più vive. – Ora ora ha detto salutando che dà a tutti la sua benedizione, in silenzio, perchè accanto a quelli che sono cattolici, ci sono i non credenti: “Dio vi benedica”. Anche qui ci sarà bisogno di vedere il testo, l’ha detto in spagnolo tra l’altro. Ma ho capito che per rispetto ai giornalisti non credenti non dava la benedizione con la formula liturgica, ma si limitava a un pensiero benedicente affidato al silenzio. Forse questo è anche più straordinario dell’esclamazione sulla “Chiesa povera”. Due doni in una sola giornata.
Qui il link al testo completo.

Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele. Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella ugualità, ma nell’armonia“: parole dette oggi da Papa Francesco nel saluto ai “fratelli cardinali”, utili per guardare serenamente alle relazioni ecumeniche e alla varietà interna alle singole Chiese. Le saluto con un bicchiere di Vino Nuovo.

Bergoglio è un gesuita, il primo Papa gesuita della storia: e si sa che i Gesuiti hanno nella regola l’impegno a non accettare cariche e onori. Come hanno fatto i cardinali a convincere ieri chi già non volle il Papato? Si dice che nell’ultima Congregazione generale Bergoglio abbia parlato di povertà e di purificazione della Chiesa dal “peccato”: forse i cardinali da quelle sue parole hanno compreso che ora l’umile argentino si sentiva pronto ad osare il Papato, ed ecco che accetta e si fa da gesuita francescano. – E’ un passo di un mio pomposo articolo pubblicato oggi come fondo dal “Corriere della Sera”: Il Gesuita con il saio. Sempre il Corsera ha oggi un altro mio pezzo, a pagina 2, sul saluto dalla loggia: Papa Francesco dice: “Vescovo e popolo