Mese: <span>Agosto 2013</span>

“Fiona ti odio / hai rovinato tutto”: scritto con pennarello nero su una delle tre panchine che sono dietro l’abside di San Niccolò a mezza costa dell’Isola di Sestri Levante. Quella attribuita a Fiona è una rovina recente perché ero venuto a questa panchina con vista sulla Baia del Silenzio giusto un anno fa e quelle parole non c’erano. Lo scrivente mette il nome dell’accusata ma non si firma, come i miei bloggers più ardimentosi.

Ho parlato ieri – qui a Sestri Levante dove sono in vacanza – di “Papa Francesco eletto a mezzo secolo dal Concilio e a 45 anni da Medellin”. Mi è stato chiesto se la discontinuità del nuovo Papa rispetto all’emerito non comporti una “sconfessione” del predecessore. Ho risposto che no: “La discontinuità tra i Papi è nel dna della Chiesa Cattolica che così compensa nel tempo la inevitabile rigidità pro-tempore comportata dalla piena potestà attribuita al detentore del ministero petrino”. Correzione e integrazione, non sconfessione. Altra domanda: ma c’è discontinuità anche nella figura papale – vesti, appartamento, modo di spostarsi – e questa oggettivamente colpisce il predecessore. Risposta: “No, la figura papale proposta da Francesco è in discontinuità con quattro Papi, non con il solo Benedetto. Con Papa Bergoglio è superata la figura papale conciliare creata da Papa Montini e fatta propria da Luciani, da Wojtyla, da Ratzinger. Dunque una discontinuità – se vogliamo – anche maggiore, ma che non va misurata sul predecessore, bensì su un intero cinquantennio del Pontificato romano”. – I prossimi giorni dirò le altre domande e le mie risposte. Domani sera riproporrò la conferenza di ieri sempre a Sesti presso le Oblate della Madonnina del Grappa.

Si leggeva nella messa di ieri, prima lettura, questo brano di Geremia 38: Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: “O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città”. Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: “Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia”. Da quando ho ascoltato la lettura, vado ripetendo le parole del re “tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia” come invocazione per gli egiziani e i siriani e gli altri che sono nel sangue, tra essi il padre Dall’Oglio e gli altri cristiani che hanno visto assaltate le chiese e le loro vite.

Salendo da Roma a Sestri Levante ho visto finalmente la Certosa di Farneta, Lucca, dove non ero mai stato e mi sono fermato, in compagnia del Priore don Basilio, davanti alle tombe dei dodici monaci fucilati dalle SS nel settembre del 1944 perché ospitavano perseguitati politici ed ebrei, un fatto di straordinario significato tra quelli della resistenza italiana all’occupazione tedesca. Sto scrivendo un libro su di loro e in settembre tornerò alla Certosa: “Veda di mettere in conto, per allora, una conversazione con la Comunità monastica” mi ha detto il gentile Priore. Stamane sono salito da Sestri a Velva, sulla strada che scavalca l’appennino e punta su Parma. Domani sera al cinema Lux di Sestri parlo su “Papa Francesco eletto a mezzo secolo dal Concilio e a 45 anni da Medellin”. Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è.

Manzoni 6. “Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo respirò più liberamente, e s’avviò in fretta per la scesa, tutto infocato in volto, commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto”: così il cappuccino all’uscita dal palazzotto di don Rodrigo, nel mezzo del capitolo sesto dei “Promessi Sposi”. Mi chiedo a chi non sia capitato di trovarsi sottosopra almeno dieci volte ogn’anno per le parole dette e per quelle udite. E non solo scontrando un “malvagio” ma anche solo parlando con un figlio, o un collega, o un lettore: capitano baruffe coi lettori. Ma queste solo a chi scrive. Nei primi commenti altri spunti della mia lettura estiva del Manzoni, tutti dal sesto capitolo.

Voi sapete – scrive il Papa alla diocesi di Concepción, Argentina, per il 50° della diocesi – che ho paura dei cristiani quieti. Finiscono come l’acqua stagna. Mi fanno paura anche quelli che credono di sapere tutto, i saccenti. Senza accorgersene, a poco a poco chiudono il loro cuore al Signore e finiscono centrati su sé stessi. Si potrebbero chiamare cristiani con e per se stessi”. La lettera è di ieri, mentre oggi, all’omelia della messa a Castel Gandolfo, ricordando la partoriente dell’Apocalisse minacciata dal drago, Francesco ha detto: “La figura della donna, che rappresenta la Chiesa, è da una parte gloriosa, trionfante, e dall’altra ancora in travaglio. Così in effetti è la Chiesa: se in Cielo è già associata alla gloria del suo Signore, nella storia vive continuamente le prove e le sfide che comporta il conflitto tra Dio e il maligno, il nemico di sempre”. Ricordando il 25.mo della Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II ha invitato a pregare perché “in tutta la Chiesa si approfondisca e si capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna”.

Trovo buona la “nota” di Napolitano sulla condanna di Berlusconi. Da uomo della strada, quanto a sentenze e ineleggibilità, mi pare giusto che si insista sulla presa d’atto della condanna definitiva e che non si chiuda la strada a un atto di clemenza. Mi pare che la stampa abbia inteso bene il messaggio del Capo dello Stato, tra le testate di destra che hanno insistito sulla possibile clemenza e quelle di sinistra che hanno enfatizzato la presa d’atto della sentenza: “Mezza grazia” (Libero); “Il Colle: Berlusconi accetti la condanna” (La Repubblica). Riassume il concerto il Fatto Quotidiano: “Ti do la grazia se fai il bravo”. La grazia come gesto di pacificazione, tenendo conto del ruolo politico di Berlusconi (sul riconoscimento di questo ruolo il Presidente è stato chiaro), non dovrebbe scandalizzare chi ha giudizio e mira davvero alla pacificazione. Io tra loro. Ma prima Berlusconi prenda atto e chieda la grazia.

Al Museo delle Mura di Porta San Sebastiano, una visita che ripaga del caldo di via di Porta San Sebastiano e poi di Via Latina, tornando indietro. Il meglio della visita è al primo piano, con i calchi in gesso di nove croci del IV e V secolo, croci greche e latine scolpite sulle chiavi degli archi di ingresso di alcune porte delle Mura, o croci di mattoni nelle cortine in laterizio. Cinque croci simili, ma più belle, al secondo piano. Quattordici segni di Cristo sulle Mura dell’Impero.

Vorrei rivolgere un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan, dedicato in modo particolare al digiuno, alla preghiera e all’elemosina. Come ho scritto nel mio Messaggio per questa circostanza, auguro che cristiani e musulmani si impegnino per promuovere il reciproco rispetto, specialmente attraverso l’educazione delle nuove generazioni“: così Francesco all’Angelus. Nel primo commento al post del 2 agosto sul messaggio per il Ramadan avevo notato che come Wojtyla nel 1991 così Bergoglio quest’anno firmava di persona il “saluto”, che abitualmente è firmato dal cardinale responsabile del dialogo con le religioni non cristiane, ma non li chiamava “fratelli”, come il predecessore aveva fatto in quella e in altre occasione; ed ecco che oggi li ha chiamati “fratelli”.

Aggiornamento al 12 agosto. Il Corsera pubblica oggi un mio didascalico articolino sull’appellativo di “fratelli” rivolto ieri dal Papa ai musulmani.

Manzoni 5. “Io anderò oggi a parlare a quell’uomo” dice fra Cristoforo ad apertura del capitolo quinto dei Promessi Sposi disponendosi a salire al palazzotto di don Rodrigo. Dice “quell’uomo”, non dice “belva”, o “mostro”, o “diavolo”, o anche solo “sciagurato”. Chi crede di poter richiamare qualcuno all’umano inizia dal chiamarlo uomo: così Paolo VI un giorno scriverà agli “uomini” delle Brigate Rosse. Sciascia intenderà la lezione e rivolgendosi anch’egli, più tardi, il 14 gennaio 1981, ai rapitori del giudice D’urso ricorderà l’audacia dell’appellativo papale: “E’ la prima volta che mi rivolgo direttamente alle Brigate Rosse. Non agli uomini delle Brigate Rosse, poiché non sono fino a questo punto cristiano, ma a questa mostruosa astrazione che si è così denominata: Brigate Rosse“. Il cristiano chiama “uomo” il reo perché confida che il riscatto sia sempre possibile. “La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare” ha detto Papa Bergoglio ora ora a Rio.