Mese: <span>Marzo 2014</span>

Francesco ha detto proprio ora agli uomini e alle donne mafiosi: “Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno”. Ha incontrato – su invito di don Luigi Ciotti – i parenti delle vittime della mafia, nella chiesa parrocchiale romana di San Gregorio VII; ha ascoltato la lettura dei loro 842 nomi, ha dato la benedizione avendo sulle spalle la stola di don Giuseppe Diana, ha detto parole vive che riporterò per esteso appena avrò la trascrizione.

Aggiornamento al 22 marzo. Questa la cronaca della Radio Vaticana. Qui invece il testo completo del saluto di Francesco con il titolo Incontro di papa francesco con i partecipanti alla veglia di preghiera promossa dalla fondazione Libera nella parrocchia San Gregorio VII in Roma.

“Vi chiediamo perdono e speriamo che dal Cielo possiate capire la nostra fragilità. Vogliateci bene, perché ne abbiamo tanto bisogno. Ora che vedete tutto, anche i nostri cuori, dateci la forza di affrontare questo immenso dolore”: parole di Bashkim Dobrushi, albanese di 45 anni, di religione musulmana, rivolte alle figlie Sidny, Keisi e Simona, di 4, 10 e 13 anni, uccise il 9 marzo dalla loro mamma a Lecco. La lettera che Bashkim ha scritto alle figlie è uno straordinario documento della nostra epoca, della sua indifferenza e della sua pietà. la cito ampiamente e l’interpreto in Vino Nuovo. Mi è stata data dal padre Angelo Cupini, amico dei poveri, che ha ospitato le tre bare per una settimana nella sua comunità. Qui una lettera del padre Angelo che aiuta a intendere la drammatica vicenda e mostra come si possa vivere umanamente, per la via della fraternità, una situazione disumana. Nella quale infine hanno sovrabbondato il sangue e la grazia.

Cent’anni della Parrocchia di Sant’Elena al Casilino, una delle comunità romane dove do una mano. Vi ho tenuto un paio di lectio in preparazione al Natale e stasera ero lì, alla celebrazione centenaria, a presentare un libretto sulla figura di Sant’Elena che ho realizzato su richiesta del parroco don Stefano Rulli, e che la parrocchia stamperà a sue spese: “Non trovo nulla su Sant’Elena che possa dare alle persone che chiedono, aiutami a realizzare un racconto che non sia leggendario ma che sia leggibile da tutti”. Bellissima celebrazione affollata, concelebranti tre parroci emeriti, tanta gente, una folta corale di chierichetti e chierichette, una calda omelia e una fantastica cena sociale con torta e “tanti auguri a Sant’Elena” intesa come popolo. La signora che aveva letto le monizioni in chiesa ha pure spartito la torta, gridando imperiosa, paletta in mano: “Basta confusione, andate tutti davanti e mettetevi in fila”. Dietro il tavolo delle bevande una mamma che allattava. Gran cosa le parrocchie popolari. Nel primo commento l’attacco e la conclusione della mia narrazione di Sant’Elena.

Guardo le Mura Aureliane – mia passione – da un angolo di Piazzale Tiburtino. Per inquadrare il taglio delle muraglie mi addentro tra i materassi dei barboni. Uno barbutissimo si alza e mi fa: “Che cerchi, Caritas? E’ là”. Ringrazio, mi avvio dove ha detto. Con il cappellino per il primo sole e i sandali ai piedi, barba anch’io, devo avere quell’aria.

Con l’indigente, il povero, l’emarginato, è essenziale un rapporto diretto che ci coinvolga, che ci metta faccia a faccia con la povertà, per farci sperimentare, a fianco del povero, i pesi e le privazioni che queste persone devono sopportare“: parole del mio amico e fratello don Paolino Serra Zanetti, prete di Bologna, professore di letteratura cristiana antica e amico dei diseredati, del quale ricorre oggi il decennale della morte (1932-2004). Ne ho parlato qui alla voce “Presentazione” e in questa conferenza. Nel primo commento un ricordo di Giulio Matteuzzi.

Ho visto ieri al Vittoriano la mostra “Musée d’Orsay Capolavori” e mi sono fermato un tempo e due tempi davanti al “Cortile di fattoria” (1879 circa) di Paul Cézanne, fino a raggiungere la certezza che in quella casa ho abitato da piccolo correndo dietro ai gatti, scappando davanti alle oche.

Intervistato nell’anniversario dell’elezione dalla radio argentina Bajo Flores, che ha la redazione nella Villa Miseria che frequentava da cardinale, Francesco ha risposto così alla domanda «cos’è che meno ti piace della tua missione di Papa»: «Il lavoro con le carte, quello di ufficio, è una cosa nella quale ho sempre fatto fatica»: è in un mio articolino pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” con il titolo Quel lavoro d’ufficio che non piace a Francesco. Nel primo commento le parole con le quali ieri mattina, nel ritiro di Ariccia, Francesco aveva ringraziato il parroco predicatore don Angelo de Donatis.

“Più cancelli più nun te passa”: scritta grande, in nero, su un muro di via Nomentana vecchia, nel tratto che va da da piazza Menenio Agrippa a Ponte Nomentana, sulla sinistra per chi vada verso quel ponte da leggenda medievale, che alza torre e merli sul bonario Aniene. La scritta è al di sopra di quattro altre rese illeggibili da fitte cancellature. Ipotesi di lettura: l’autore del motto “nun te passa” aveva lì vergato altri quattro suoi aforismi, o pitaffi, resi illeggibili dall’ignoto cancellatore, al quale infine fa sapere che non guarirà la sua smania cassando l’altrui.

“C’è chi mi ha sostenuto con la fede, chi mi ha dato coraggio e chi, grazie alle donazioni di sangue, mi ha dato vita. Credo che l’aiuto e il sostegno derivino dal sentimento della fratellanza che lo stesso Gesù predicava”: parole di Niccolò Marzocchi di Castelnovo Sotto, Reggio Emilia, che è morto di leucemia a vent’anni il 13 febbraio, avendo convissuto con questa malattia dall’età di sette anni. Ironico e coraggioso, iscritto al secondo anno di filosofia a Parma, impegnato nel volontariato parrocchiale, due trapianti di midollo. Ha lasciato un vivo ricordo e alcune parole di vita alle quali dedico riconoscente un bicchiere di Vino Nuovo.

A un anno dall’elezione tanti si allietano di Papa Francesco e si augurano ch’egli riesca nelle riforme che si è proposto, ma forse la sua Chiesa in uscita – se riuscirà a realizzarla – sarà una buona notizia solo per il Sud del Mondo: la vuole infatti come Chiesa dei poveri e al Nord ricco più volte in quest’anno ha gridato “vergogna” e l’ha posto sotto accusa: è l’attacco di un mio baldanzoso bilancio del primo anno di Papa Francesco pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” a pagina 23 con il titolo “Il Papa e la Chiesa povera che si allontana dall’Occidente”. Riprendo il ragionamento che avevo svolto alla vigilia del Conclave quando auspicavo che venisse eletto un cardinale dell’America Latina – e ora dico in che modo a mio parere questo Papa di laggiù venga rispondendo a quell’aspettativa.