Mese: <span>Luglio 2014</span>

“Ho appreso con preoccupazione le notizie che giungono dalle Comunità cristiane a Mossul (Iraq) e in altre parti del Medio Oriente, dove esse, sin dall’inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitate; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane”. Il Papa ha anche richiamato le situazioni di guerra del Medio Oriente e dell’Ucraina e ha invitato a un’invocazione silenziosa: “Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace! Maria Regina della pace, prega per noi! Preghiamo in silenzio chiedendo la pace. Tutti in silenzio”.

«Come la tramontana /venne dal Nord / tirò forte / poi cessò in un baleno / e con la morte andò via / lasciando il sereno»: parole in memoria del vescovo Carlo Chenis (torinese, 1954-2010), poste a epigrafe di una sua statua sulla piazza della cattedrale di Civitavecchia. Morì di tumore a 55 anni dopo soli tre di presenza in città, pianto da tutti. Ha in mano il pastorale, guarda verso il porto. L’epigrafe è firmata da A. Degli Effetti e ha il titolo “Il vescovo Carlo”. Ho trovato sapienti quelle parole, che ho scoperto nei giorni scorsi e trascritto su un foglietto. Mi pare appropriato che il passaggio di un buon vescovo sia ricordato come quello di un vento forte e rasserenante. Nel primo commento un mio ragguaglio su Chenis.

“Facendo seguito all’accorato appello a continuare a pregare per la pace in Terra Santa di domenica scorsa, stamattina il Santo Padre Francesco ha telefonato personalmente al Presidente Shimon Peres e al Presidente Mahmoud Abbas, condividendo le sue gravissime preoccupazioni nell’attuale situazione di conflitto che coinvolge in modo particolare la Striscia di Gaza e che, in un clima di crescente ostilità, odio e sofferenza per i due popoli, sta seminando numerosissime vittime e dando luogo ad una situazione di grave emergenza umanitaria”: così la prima parte di un comunicato vaticano. Beato chi trova parole di pace nel mezzo della guerra. Chi ha amici israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani, forse potrebbe imitare l’esempio del Papa. Io li ho e sto provando a telefonare.

Giornata incerta nella maremma laziale tra acqua e luce, con i girasoli che non sanno dove guardare.

Manzoni 8. “Don Abbondio stava sur una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina, che gli faceva cornice intorno alla faccia, al lume scarso d’una piccola lucerna. Due folte ciocche di capelli, che gli scappavano fuor della papalina, due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo, tutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, potevano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo, al chiaro di luna”. Siamo nel capitolo otto dei Promessi sposi, mia lettura estiva insieme a Svetonio [vedi post precedente]. E’ il 10 novembre 1628, “la notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi”: il matrimonio clandestino, il rapimento di Lucia, il suo salvataggio da parte di padre Cristoforo. Imprese che vanno tutte storte, raccordate – a metà del racconto – dal suono delle “due campanette” della chiesa di don Abbondio tirate da Ambrogio il sagrestano: “Campana a martello! fuoco? ladri? banditi?” Il ritratto del curato mi prende per la sequenza degli aggettivi “vecchia” e “folti” che riempiono la tela e per lo sbocco sul “chiaro di luna” che è il protagonista di quella notte.

Leggendo in spiaggia le “Vite dei Cesari” di Svetonio, ho trovato, in quella di Caligola, il “tipo” da cui viene Paperon de’ Paperoni con la sua coazione a tuffarsi su mucchi di monete: “Preso dal desiderio di sentire il contatto dell’oro, [l’imperatore Caligola] passeggiava spesso a piedi nudi su immensi cumuli di monete ammucchiate a terra in un grande salone, e talvolta vi si rotolava sopra con tutto il corpo”: “et toto corpore aliquandiu uolutatus est” [traduzione di Felice Dessì, BUR 1982, p. 463 del secondo volume].

Il secondo colloquio del Papa con Scalfari (vedi post di ieri) rilancia strali e allarmi già volati con il primo, pubblicato il 1° ottobre 2013. Molti in privato e qui nel blog mi hanno chiesto un parere. Lo riassumo in quattro motti e poi riporto un brano del mio libretto su Francesco che già affrontava la questione. Il primo motto è questo: come le omelie al Santa Marta così le interviste ai giornali servono a Francesco per recuperare la libertà di parola che i Papi avevano perduto tra il Vaticano I e il Vaticano II, quando si era affermato il convincimento che anche il loro magistero ordinario (un’omelia, una conversazione, un saluto improvvisato) fosse da considerare normativo, obbligante, infallibile. – Gli altri motti e tre brani del libretto nei primi commenti.

“Ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore”: è una dichiarazione del portavoce vaticano sul “colloquio” di Scalfari con Francesco che “Repubblica” mette oggi nelle prime tre pagine con il titolo: “Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili“. Nei primi commenti altro passo della precisazione e poi qualche brano del colloquio.

“Tu confessi candidamente di essere un grande bugiardo e quasi te ne vanti” dice Claudio Magris a Pupi Avanti nel “Corsera” di oggi a proposito del’autobiografia del regista intitolata La grande invenzione (Rizzoli 2013), ottenendone una sapida risposta che riporto nel primo commento e che il quotidiano intitola Incoraggiamo a sognare. Anche mentendo. Soggetto sottinteso: io e i miei personaggi. Condivido l’impresa.

“Se l’umanità continuerà sulla strada imperiale degli ultimi 8000 anni, quello che l’attende è la morte per fame, per guerra e per surriscaldamento del pianeta. Sarà capace di scegliere la via utopica che dice: prima la giustizia e poi la pace?”: parole di Alex Zanotelli, missionario comboniano che ha appena festeggiato i cinquant’anni di messa, contenute nel suo ultimo libretto che parte dalla lettera di Paolo ai Filippesi: Il Dio svuotato. Filippesi: una comunità alternativa all’impero (Emi, pp. 64, euro 6). Un abbraccio augurale al caro Alex con un bicchiere di Vino Nuovo. Non siamo mai andati d’accordo e ci siamo sempre voluti bene.