“C’era soprattutto, ed è stato questo a sconvolgermi, un’Italia sconosciuta che rifiutava i luoghi comuni della politica e i suoi stitici ghirigori di chiacchiere. Che chiedeva di parlare e confrontarsi sui problemi reali. Dopo tante stagioni di giornalismo e di direzioni, con la sicurezza e la prosopopea che inevitabilmente cattura tutti coloro che per anni detengono il potere (o quello che loro stessi presumono tale), con la stupida arroganza di chi si sente più ganzo degli altri, non avevo capito nulla. O quasi. E se ancora qualche dubbio mi restava, i giorni seguenti me li avrebbero tolti tutti“: è un passaggio del libro che Pietro Calbrese, morto l’altro ieri, ha scritto sulla sua malattia e che uscirà il 29 settembre da Rizzoli con il bellissimo titolo L’albero dei mille anni. All’improvviso il cancro, all’improvviso la vita. Il Corriere della Sera ne ha anticipato oggi un brano e da esso ho preso la citazione. In essa egli riflette su come la scoperta del cancro l’abbia aiutato a “vedere” la serietà della nostra gente che aveva sempre ignorato – una serietà che gli si mostrò attraverso le lettere che riceveva dai lettori della rubrica con cui su Sette – il magazine del Corsera – raccontava la vicenda del suo male: la prima puntata è del 28 maggio 2009, l’ultima del 10 luglio scorso. Non ho mai incontrato Calabrese, che aveva qualche mese meno di me. Lo conoscevo per fama e non lo stimavo granchè stante l’immagine spregiudicata e anche mondana che me ne aveva trasmesso Orazio Petrosillo che l’aveva avuto direttore al Messaggero, ma avevo preso ad amarlo con la lettura di quelle puntate. E ora più di prima.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Prima di tutto perché sono simpatico e perché ho un po’ di grano, il terzo motivo è che la leggenda dice che ci so fare e infine perché le ragazze pensano: è vecchio e ricco, tra un po’ muore e io erediterò tutto”: sono i quattro motivi per cui tante ragazze cercano Berlusconi, elencati da sé medesimo. L’ha detta oggi ad Atreju 2010 e mi è piaciuta. Nella stessa occasione il premier ha osservato che i suoi avversari “non ridono mai” ed è quasi vero ma Bersani proprio ieri alla Festa democratica di Torino ha avuto una battuta su Bossi che mi è parsa migliore – o almeno pari – alle quattro di Berlusconi su di sé: “Uno che va troppo ad Arcore può lasciarci la canottiera”. Nel clima pestifero della nostra vita pubblica, batto le mani a queste due uscite.
Una conferenza sui media a San Giovanni Valdarno l’altro ieri (vedi post del 10 settembre) e un’altra ieri a Parabiago. Mi chiedono con quali criteri scegliere un giornale. Procedo in negativo. Evitare quelli che non mettono mai in prima pagina notizie internazionali se non servono per la polemica interna. No a quelli che fanno per un’intera stagione lo stesso titolo a nove colonne contro una persona. Ma lei ce l’ha con Feltri e Belpietro? Ho risposto che io parlo in generale, Libero ognuno di pensare a un Giornale o all’altro. – Fuori di scherzo do un consiglio ai tenaci colleghi dei due quotidiani: continuate così, i vostri lettori ormai sono affezionati a quei titoli ripetuti per 45 giorni e un cambiamento anche minimo potrebbe disorientarli. [Nel primo commento un paio di dettagli sui titoli inox]
Monna Tancia di San Giovanni Valdarno ha 75 anni quando la peste del 1478 le uccide fuglio e nuora: eccoli a terra avvolti in un lenzuolo, nel dipinto di Luberto da Montevarchi. Tancia cerca una balia per il nipotino Lorenzo di tre mesi che ci guarda sveglissimo dallo stesso riquadro, insaccato nelle fasce e che succia il dito. Ma nessuna voleva attaccare al proprio seno il figlio degli appestati. Tancia invoca nel terzo riquadro la Vergine e il latte sgorga dal suo seno di nonna. Mi sono appassionato come fossi un vero giornalista al racconto di don Luigi, rettore della Basilica delle Grazie. Ho pensato con recuperata simpatia alle mamme-nonne di oggi e mi sono chiesto se sia mai capitato che una mamma affidataria dei nostri giorni abbia dato i capezzoli a un bimbo sieropositivo. Intanto don Luigi mi mostrava la curiosa “Cappella del miracolo”, che ha a pavimento l’antica strada che portava fuori dalle mura e segnato da una scritta il punto dove la tenace Tancia si era inginocchiata per alzare le braccia e il cuore. [Segue nel primo commento]
Nella regione abitava un drago. Aveva incenerito tutte le creature viventi nelle alture tranne un uomo della selva che gli teneva testa con gli occhi. Si incontravano quando la notte aveva la durata del giorno e giocavano una loro partita sulla grande scacchiera. L’uomo muoveva gli animali, il drago comandava alle montagne.
“È la persona di Gesù che cambia la vita della gente. Il problema è suscitare questa consapevolezza. Cibo, salute, soldi, lavoro, sono necessità reali, ma la salvezza più profonda è scoprire il senso della vita. Scoprire la comunione con Dio e sperimentare il Suo amore è possibile già da ora. È una realtà che ci viene data per grazia, attraverso l’esperienza della Chiesa“: parla così – in un’intervista pubblicata da Mondo e Missione di agosto-settembre – Francesco Commissari, un prete di Imola da cinque anni missionario in Brasile, presso la stessa comunità che era affidata alla cura di un suo zio, don Leo Commissari, ucciso forse dai trafficanti di droga nel luglio del 1998. Per la storia dello zio vedi il capitolo 1 NUOVI MARTIRI, paragrafo MARTIRI DELLA MISSIONE, nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto. Mando a Francesco un bacio di riconoscenza per l’aiuto a credere che mi viene dalle sue parole che non hanno nulla di straordinario ma sono avvalorate da una scelta di vita secondo il Vangelo e dal sangue di un familiare.
“Intervengo nel dibattito su che cosa debbano fare i cattolici per avere migliore voce in politica e dico che dovrebbero dare vita a una continuata ‘tempesta di cervelli’ e a un serrato confronto tra diversi non avendo paura delle divisioni politiche, partendo anzi da esse e cercando di esplorare e rendere possibile – fin dove sarà possibile – una comune influenza sulla vita pubblica del Paese“: è l’avvio in sordina di un mio articolo tutto ideologico e partigiano pubblicato oggi da LIBERAL a pagina 11 con il titolo UN FORUM TRA CHIESA E STATO.
“La sovranità popolare significa che le elettrici e gli elettori hanno il diritto non solo di scegliere il presidente del Consiglio ma anche i parlamentari, perchè è vergognoso – e qui faccio mea culpa percghè ho contribuito anch’io – che vi sia una lista prendere o lasciare“: così ha parlato ieri Fini a Mirabello. Mi sono parse parole giuste. Come mi erano sembrate puntuali quelle dette da Casini il 2 settembre: “Questa legge elettorale è un’indecenza, perchè consente a cinque persone di nominare mille parlamentari“. Io non ho votato nè Fini nè Casini ma ho sempre ritenuto che quella legge era lesiva della sovranità popolare e sono contento che ora la riconoscano tale due politici che furono decisivi per la sua approvazione. Il ripensamento in politica è nobile e va onorato.
Da un mese Il Giornale di Feltri – pardon: della famiglia Berlusconi, diretto da Feltri – dedica la prima pagina con titolature monumentali a Fini, alla compagna, al cognato, alla casa di Montecarlo, alla cucina acquistata a Roma. Ricordando il Feltri collega al Corsera e guardando quelle pagine ho provato e riprovato ogni mattina e fino a oggi un sentimento come di imbarazzo, per un qualcosa che era meglio non guardare. Più volte ho buttato giù qualche frase per farci un post e sempre ho lasciato lì, mezzo vergognandomi che anche quello fosse oggi il giornalismo. Fini a Mirabello ha detto un’ora fa: “campagne paranoiche e insieme patetiche”, ascrivendole al “metodo Boffo”. Mi è parso ben detto.
E’ domenica e la benefattrice accompagna la barbona a passeggio per il quartiere [vedi post del 10 agosto: La barbona va a fare la spesa]. La saluta e le dà la mano per alzarsi. Rischiano tutte e due di cadere ma infine sono in piedi e la donna colorata prende sotto il braccio l’amica grigia come il marciapiede sul quale vive. Camminano e parlano ma forse la benefattrice non capisce e allora l’altra scrive col dito qualcosa, una parola, un nome, un numero, sul muro che costeggiano. Scrive più a lungo su una vetrina. Quando tornano al punto di partenza, riseduta la barbona ancora scrive con il dito sulla polvere del marciapiede. L’altra forse intende o forse no ma ride e la saluta.
22 Commenti