Donatello Brunelleschi Michelangelo al Battistero di Firenze

Articolo pubblicato da LIBERAL il 7 novembre alle pagine 14 e 15 con il titolo “Il cuore la mente la mano. Il pathos di un ragazzo, un Re superiore anche all’umiliazione, un uomo comune. Michelangelo, Brunelleschi e Donatello: tre diverse interpretazioni del Cristo e del mistero della fede”

Un evento straordinario, culturale ed ecclesiale a un tempo, si sta svolgendo a Firenze: l’ostensione nel Battistero di San Giovanni di tre crocifissi scolpiti nel legno da Donatello, Brunelleschi, Michelangelo. Un evento che fa parte della manifestazione “Florens 2012” e che meriterebbe una durata molto più lunga degli otto giorni in cui è stata concentrata: dal 3 all’11 novembre.

Una “ostensione” e non una mostra: per richiamare l’attenzione al carattere sacro dei tre capolavori: un’ostensione dei crocifissi come a Torino si fa periodicamente l’ostensione della Sindone.

Il carattere misto, culturale e religioso, dell’iniziativa è segnalato non solo dal titolo che le è stato dato – “ostensione” è parola che dice esposizione di reliquie o di icone – ma anche dal fatto che l’installazione dei crocifissi è stata fatta su tre altari, a richiamare la destinazione di quelle opere stabilita dai committenti e perseguita dagli artisti.

Ha carattere di ambientazione storica ed ecclesiale anche la collocazione nel Battistero – “il mio bel San Giovanni” di Dante – dei tre “legni” scolpiti tra il primo e l’ultimo decennio del prodigioso Quattrocento fiorentino: essi infatti potranno essere ammirati sotto il grande mosaico duecentesco – alto otto metri – che nella calotta della cupola del Battistero rappresenta il Cristo che torna “nella gloria” alla fine dei tempi. Un’immagine matrice che certamente era negli occhi dei tre artisti, come di ogni fiorentino d’allora, quando muovevano le mani a dare corpo al Cristo crocifisso.

Lo straordinario è che si tratta di tre Cristi modellati – e si direbbe “cercati” nel legno – con intelletto d’amore da tre uomini diversi per età e sensibilità ma che autonomamente scelsero tutti e tre di realizzarli a grandezza naturale, e di appenderli a croci della stessa dimensione: una condizione di parità che aiuta l’occhio del riguardante a concentrarsi sugli elementi di diversificazione.

La grandezza naturale si addice all’intenzione umanistica che muove i tre – e certamente anche i loro committenti – a mostrare il Cristo come “vero uomo” e anzi come uomo perfetto. Si addice anche alla collocazione sugli altari, per una loro visione equilibrata e in proporzione rispetto alle figure del celebrante e dei ministranti: pare certo che almeno in due casi, per Donatello e Michelangelo, la destinazione ad altari eucaristici fosse chiara agli artisti che li scolpirono.

L’accentuazione personale dei singoli autori è così descritta da Timothy Verdon, responsabile dei Beni culturalidell’arcidiocesi di Firenze e tra i curatori dell’ostensione in quanto “membro del Comitato scientifico di Florens”: “Donatello ci fa vedere il Figlio di Dio come un uomo comune, nello spirito dell’inno della Lettera di Paolo ai Filippesi; Brunelleschi ci presenta un Re crocifisso, superiore anche nell’umiliazione; Michelangelo enfatizza il pathos di un uomo giovane – poco più d’un ragazzo – che dona la vita per gli altri. Messi uno accanto all’altro, questi tre crocifissi-capolavoro offrono tre aspetti complementari dell’inesauribile mistero della Persona divina che si è fatta persona pienamente umana per noi”.

L’idea umanistica della figura di Cristo come modello di umanità e codice della figura umana è presente nella famosa “leggenda” – tale oggi è ritenuta dagli studiosi – della gara tra Brunelleschi e Donatello che sarebbe all’origine del crocifisso scolpito dal primo dei due e che così è narrata da Giorgio Vasari nella vita del Brunelleschi:

Avvenne che Donato in que’ giorni aveva finito un Crocifisso di legno, il qual fu posto in S. Croce di Fiorenza sotto la storia del fanciullo che risucita S. Francesco, dipinto da Taddeo Gaddi; del quale Crocifisso pigliandone Donato parere con Filippo, gli rispose che egli aveva messo un contadino in croce, onde ne nacque il detto “Togli del legno e fanne uno tu”. Per il che Filippo, il quale ancor che fusse provocato a ira, mai si adirava per cosa che li fusse detta, stette cheto molti mesi, tanto ch’e’ condusse di legno un Crocifisso della medesima grandezza, di tal bontà e sí con arte, disegno e diligenza lavorato, che nel mandar Donato a casa innanzi a lui, quasi ad inganno (perché non sapeva che Filippo avessi fatto tale opera) un grembiule che egli aveva pieno di uova e di cose per desinarle insieme, gli cascò mentre lo guardava uscito di sé per la maraviglia e per la ingegnosa et artifiziosa maniera che aveva usato Filippo nelle gambe, nel torso e nelle braccia di detta figura, disposta et unita talmente insieme, che Donato, oltra il chiamarsi vinto, lo predicava per miracolo. La qual opera è oggi posta in Santa Maria Novella.

Nella vita di “Donato scultore fiorentino” il Vasari ripete la sapida leggenda ma fa motivare meglio al Brunelleschi la sua deplorazione del lavoro di Donatello: “dicendogli che gli pareva ch’egli avesse messo in croce un contadino e non il corpo di Cristo, il quale fu delicatissimo di membra e d’aspetto gentile ornato”. Dunque al tempo del Vasari (la prima edizione delle “Vite” è del 1550) il crocifisso scolpito dal Brunelleschi poteva essere guardato come meglio rispondente – rispetto a quello di Donatello – al carattere di modello che l’umanesimo attribuiva alla figura di Cristo.

Questo che riceviamo dal Vasari ci appare come uno spunto provocante per il visitatore dell’ostensione: egli può incontrare sulla cupola il Cristo in gloria che ha vinto le ferite, nella scultura di Donatello l’audace umanizzazione del Redentore operata dal primo Rinascimento, in quella del Brunelleschi la ricerca di un riequilibrio teologale di quell’audacia, in quello di Michelangelo un esperimento giovanile alla ricerca di un Cristo giovane – quasi adolescente e inerme di fronte al mistero del dolore – nel quale proiettarsi con una vocazione mistica già matura.

Come ha detto felicemente il critico Sergio Risaliti, ideatore dell’ostensione dei tre crocifissi: “Michelangelo è il cuore, Brunelleschi la mente, Donatello la mano”.

Il crocifisso di Donatello – che abitualmente è conservato in Santa Croce, nella Cappella Bardi dove già lo vide il Vasari – potrebbe essere stato scolpito tra il 1406 e il 1408. Quello del Brunelleschi di norma è nella Cappella Gondi di Santa Maria Novella, dove lo collocava il Vasari e dovrebbe risalire agli anni 1410-1415. Quello di Michelangelo viene datato al 1993, è stato per secoli nella chiesa di Santo Spirito e a Santo Spirito è tornato nel 2000, dopo una parentesi di alcuni decenni in Casa Buonarroti. Mai fino a oggi i tre “legni” erano stati esposti insieme.

In questa veduta ravvicinata dei crocifissi il visitatore può essere aiutato da un’idea sommaria – non si hanno date sicure – dell’età in cui ciascuno dei tre ha lavorato al suo Cristo: Michelangelo doveva avere 17 o 18 anni, Brunelleschi 33-38 anni, Donatello 20-22 anni. Abbiamo dunque davanti agli occhi la fatica e il sogno di tre artisti giovani, due anzi giovanissimi. Anche di quella giovinezza non finisci di meravigliarti.

Trattandosi di un’ostensione, l’esposizione dei crocifissi (intitolata «Mysterium Crucis – il mistero della croce») è stata aperta con una celebrazione liturgica nella quale il cardinale Giuseppe Betori ha ricordato come “la raffigurazione del Crocifisso sulla Croce” non sia “scontata”, essendoci stati nella storia, fin dai primi secoli cristiani, “altri modi di proporre la Croce, nella forma cioè della Croce gloriosa o gemmata”, in forte discontinuità simbolica con l’immagine della Croce come patibolo. Analogamente la tradizione protestante predilige la nuda croce, a segnalare che “quello strumento di morte non ha trattenuto nel proprio potere il Salvatore”, mentre la tradizione cattolica – in continuità con quella orientale – “non teme di mostrare il Redentore nell’atto della sua morte, a evidenziare come proprio in quell’atto si consuma il gesto di amore che redime il mondo”.

Con tale opzione storica – che nel nostro Rinascimento si fa realistica – la Croce, argomenta Betori, “sfugge al pericolo di una riduzione puramente simbolica, identitaria – come può accadere per i simboli di altre espressioni religiose – e ripropone lo spessore storico della fede cristiana: il Figlio di Dio fatto uomo si mostra sulla Croce pienamente inserito nella vicenda umana” ed è questa radice fattuale che “dà fondamento alla proiezione storica della fede cristiana e spinge a ricercare il volto di Cristo nel volto dei crocifissi di ogni tempo”.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Commento

  1. […] “Michelangelo è il cuore, Brunelleschi la mente, Donatello la mano”: è il suggerimento del critico Sergio Risaliti, ideatore dell’ostensione dei tre crocifissi al Battistero di Firenze (vedi post del 5 novembre), al visitatore desiderante. Ho ripreso quell’efficace consegna in un manualistico articolo pubblicato da LIBERAL il 7 novembre alle pagine 14 e 15 con il titolo “Il cuore la mente la mano. Il pathos di un ragazzo, un Re superiore anche all’umiliazione, un uomo…”. […]

    9 Novembre, 2012 - 10:15

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