“Io sono lo scarabocchio di Dio”

Ricordo di don Benzi a un anno dalla morte
Don Oreste, tu sei un santo – disse il cardinale Carlo Caffarra a don Oreste Benzi al termine di una conversazione che era stata per ambedue “molto coinvolgente”.
Eminenza non dica mai più queste parole! Io sono lo scarabocchio di Dio – fu la replica del prete di Rimini, che si era fatto “serio, anzi severo”.
Le due battute sono state riferite dal cardinale di Bologna venerdì 31 ottobre a Rimini, durante l’apertura della mostra fotografica su don Oreste, “Amare sempre”, allestita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII nel palazzo dell’Arengo a un anno dalla morte. Tre ore più tardi – sempre a Rimini – c’è stata la presentazione del libro di Valerio Lessi, Don Oreste Benzi un infaticabile apostolo della carità, San Paolo 2008. Ero tra i presentatori ed eccomi qui a ricordare questo prete esagerato nell’amore per ogni creatura, che dava il suo numero di cellulare ai barboni e alle prostitute, che aveva proposto alle 26 mila parrocchie italiane di assumere una prostituta ciascuna come colf e che un mese prima di morire andò ad abitare nella casa per barboni Capanna di Betlemme che egli stesso aveva realizzato. “Ecco sono un barbone” fu il lieto saluto agli altri ospiti la prima notte che vi andò a dormire.

“Ecco sono un barbone”
potè dire alla fine
Il libro è una narrazione piana, legata ai fatti, della vicenda di don Oreste interpretata attraverso le sue parole. Don Benzi era un maestro nel provocare dissensi e nello scandalizzare, capacissimo di scontrarsi con la destra e la sinistra – e con gli altri preti – sugli zingari, le prostitute, l’aborto, la droga, gli immigrati, i disabili e ogni altro derelitto: il libro non smussa gli spigoli. C’è un capitolo, l’11°, che inizia così: “Don Benzi era di destra o di sinistra?”
Quasi a ogni pagina c’è un episodio che apre gli occhi a don Oreste su una creatura umana sfregiata dalla sorte o dagli uomini – un avvinazzato, un immigrato bruciato nella sua baracca, un bimbo abbandonato – di cui quel prete correva a occuparsi: suggerisco ai lettori del libro di seguire questo filo rosso per imparare da don Oreste a vedere il mondo con occhi di Vangelo.
Alla presentazione del volume del collega Lessi ho incontrato un altro collega, Francesco Zanotti, già organizzatore di miei incontri in Romagna, che mi ha dato il suo quinto libro sul nostro prete di strada, Don Oreste Benzi dalla A alla Z, Ancora 2008: rievoca conversazioni e serate vissute insieme, in dialogo con la gente delle parrocchie, o nelle discoteche, o ai concerti dove don Benzi ottenuto il microfono gridava festoso: “Un applauso a nostro Signore, perché la vita è bella!
La lettura dei due volumi, la visita della mostra fotografica riminese, la visione del filmato Don Oreste il parroco dalla tonaca lisa di Giorgio Tabanelli mi hanno aiutato a mettere a fuoco la sua memoria come di un uomo che passa beneficando, tal quale Gesù nei Vangeli, in risposta al grido d’aiuto che gli arriva da chi l’incontra.
Era in risposta a quel grido che diceva: “Non andate a trovare i vecchi all’ospizio, portateveli a casa!” (Zanotti p. 79). Che combatteva per avere leggi contro la prostituzione di strada, per la tutela dei nomadi, per il recupero dei tossicodipendenti. “Date uno stipendio alle mamme” gridava anche (ivi), per dire tutta l’importanza che attribuiva alla famiglia.
Egli era convinto che alla parola deve seguire il fatto ed è per questa ricerca dell’azione che aveva dato vita alla Comunità Papa Giovanni XIII, che oggi è presente in 27 paesi. “La devozione senza la rivoluzione non basta” è una sua affermazione pronunciata alla Settimana sociale dei cattolici italiani il 19 ottobre dell’anno scorso, due settimane prima di morire e commentata senza accomodamenti dal vescovo di Rimini Francesco Lambiasi durante la presentazione del volume di Lessi (vedila a p. 21).

Da romagnolo amava
il motteggio e la sfida
Don Oreste scatenava dissensi con la sua semplicità evangelica, esagerando sulla via della carità, facendo giocare la propria romagnolità che è anche motteggio e sfida. Era un semplificatore nato, procedeva libero da ogni schema e andava sempre al concreto, risultando massimamente provocatorio. Con la sinistra politica poteva essere – sette volte su dieci – un alleato di fatto, ma hanno durato una gran fatica – i “compagni” – a capirlo.
Tante volte mi sono trovato a battagliare in sua difesa ma è capitato anche che tre volte io abbia disputato con lui: una volta a voce sul digiuno dei musulmani e due volte a voce e per iscritto sul silenzio di Dio e sui clienti delle prostitute. Richiamo queste dispute perché dal contrasto che avemmo può venire un aiuto aggiuntivo a cogliere, nella verità, il dono che quest’uomo di Dio è stato per tutti.
Sul digiuno dei musulmani aveva scritto nel volume Trasgredite! (Mondadori 2000, p. 138) che nel Ramadan “il digiuno non c’è, in realtà, perché si mangia in abbondanza di notte”. Gli feci osservare che non mangiare e non bere da quando si fa luce a quando si fa buio è una penitenza terribile, poniamo in luglio – ma lui ripeteva: “Mangiano di notte”.
Sul silenzio di Dio diceva che non lo sentiamo perchè stiamo distratti e io aggiungevo il fatto che parla sottovoce. Quanto mi sarebbe piaciuto convincerlo a unirsi con la sua forte preghiera a quanti invocano il Signore perché torni a manifestarsi nella nostra epoca!
Una terza volta discutemmo sul perchè gli uomini cercano le prostitute: diceva che era tutta una smania indotta dal testosterone, mentre a mio parere c’era del mistero tant’è che le cercano anche uomini fidanzati e sposati. Don Oreste aveva ben colto che “il significato della tossicodipendenza va ricercato nel mistero dell’uomo” (Lessi 138) ma non voleva ammettere che anche nell’amore a pagamento c’è un qualche mistero e irrideva ai clienti che “si innamorano delle ragazze”.

Mai se la prendeva
se veniva contraddetto
Io ammiravo quello che faceva con le ragazze di strada e ammiro l’eredità che ha lasciato: oggi i gruppi della Comunità che di notte vanno a cercare le prostitute sono 16. Ammiravo ma discutevo e per fortuna mai se la prendeva se veniva contraddetto. Dopo che ebbi esposto quelle mie critiche in questa rubrica (Regno attualità 10/2002) gliene chiesi un parere ma svicolò dicendo “bene bene” e passò a un altro argomento.
Al telefono era un torrente sempre gonfiato da un argomento che l’infiammava. Chiamava mentre era in automobile o nel mezzo di una marcia e chiedeva se potevo “scrivere qualcosa”. La foto più bella della mostra di Rimini lo ritrae con due telefonini, uno per guancia.
L’immediatezza delle sue risposte a chi gridava verso di lui era sorprendente. “Il 27 dicembre 1972 un parrocchiano, Carlo, bussa alla porta di don Oreste e gli dice: venga a vedere come muore un uomo”: è l’incontro con Marino, uno dei primi ospiti della casa famiglia Betania (Lessi 77).
Poco prima di incontrare Marino si era sentito dire da un ragazzo ospite di una casa di cura: “Portami via da qui”. Così nascono le sue “opere”. Oggi le case famiglia della Comunità sono 260. I Centri di recupero per tossicodipendenti gestiti dalla Comunità sono 36 in Italia e 5 all’estero, gli ospiti 470. In ambienti della Comunità “ogni giorno si siedono a tavola trentanovemila persone in tutto il mondo” (ivi 83).

Difende gli zingari
e si inimica tutti
Ma gli inizi sono umilissimi. “Una sera chiamano don Oreste a casa loro. Lui va e trova solo il marito con i bambini. Appena vede il sacerdote, l’uomo glieli allunga: toh, tienili tu” (ivi 88).
In nome della carità si assume responsabilità impensabili per un prete. Appoggia l’occupazione di alloggi dello Iacp non ancora ultimati da parte di senzatetto, si batte per l’accoglienza dei disabili negli alberghi e negli stabilimenti balneari, dopo la morte di un ragazzo a un incrocio partecipa al blocco della superstrada Rimini-San Marino per ottenere che vengano messi i semafori. Si inimica tutti quando si batte contro lo sgombero dei campi nomadi.
Organizza preghiere collettive davanti alle cliniche nel giorno in cui vengono eseguiti gli interventi abortivi. Lo fa a Rimini e a Bologna, a Modena e Forlì, ad Ancona e a Latisana in provincia di Udine, a Castrovillari, a Trapani, a Imola.
Per una ragazza ospite di una casa famiglia, che più volte va in clinica per abortire, don Oreste si impegna con un voto: “Se questo bambino nasce, non bevo più il caffè”. E da allora non lo bevve più (ivi 152).
Il suo genio della carità l’induce a rispondere comunque a chi gli tende la mano. Nella pratica di quella risposta egli matura convincimenti che lo fanno a volte precursore di metodi di aiuto nei confronti di emarginati e svantaggiati: dalle case famiglia alle comunità terapeutiche. Quanto alle parole, segnalo due sue battute, riportate nel volume di Lessi, che non conoscevo e che mi sono parse le più evangeliche.

“Ma ci sono
altre prostituzioni”
La prima è ripresa dal video “Do you love Jesus?”: “Se devo andare a cercare delle persone che sono capaci di cambiare l’umanità, devo andare tra gli ex carcerati, che hanno usato la loro intelligenza e capacità per devastare, perché non avevano ancora trovato la loro vita, e fra i tossicodipendenti” (p. 136).
“Tu ami Gesù?” è la domanda che fa alle ragazze di strada, quando le va a cercare la sera per i viali di Rimini o di Bologna. Ed ecco un altro spunto evangelico dedicato a loro, in un articolo che don Benzi ebbe a scrivere per il Corriere di Rimini a commento del detto “Le prostitute vi precederanno”: “Perché la loro è la prostituzione della carne, ma ci sono altre terribili prostituzioni che distruggono tante persone. E’ la prostituzione del denaro accumulato, del lusso schifoso e scandaloso, dei possedimenti senza scopo, della politica per il potere e non per il servizio del popolo” (p. 162).

Luigi Accattoli
Da Il Regno 20/2008

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