L’informazione religiosa, sempre meno originale, sempre più vittima dell’audience

ADISTA 19-21 FEBBRAIO 2009

34850. ROMA-ADISTA. “Ho appreso l’arte di cercare e narrare storie di vita, che è un modo di amare l’uomo”: così Luigi Accattoli ha descritto i suoi trent’anni di carriera giornalistica, divisi fra i due maggiori quotidiani italiani, la Repubblica, di cui è stato vaticanista tra il 1976 e il 1981, e poi il Corriere della Sera, sulle cui pagine ha scritto fino a poche settimane fa. Dal gennaio 2009 Accattoli ha lasciato anche il quotidiano di via Solferino, ma il pensionamento non coincide con l’abbandono della sua attività di attento osservatore delle vicende vaticane. Il suo blog (http://www.luigiaccattoli.it/blog/), continuamente aggiornato, è un punto di riferimento per moltissime persone che vogliono discutere a partire dai brevi interventi dell’autore, spesso centrati su questioni religiose e di fede, ma non di rado frutto di suggestioni estemporanee e racconti della vita quotidiana. Accattoli è inoltre autore di numerosi libri, fra i quali Cerco fatti di Vangelo. Inchiesta di fine millennio sui cristiani d’Italia (SEI, 1995), Io non mi vergogno del Vangelo. Dieci provocazioni per la vita quotidiana del cristiano comune (EDB 1999), Giovanni Paolo. La prima biografia completa (San Paolo Editore, 2006). Adista ha approfittato di questa nuova fase che si apre nella sua carriera per sollecitare alcune riflessioni sullo stato del rapporto fra Chiesa e informazione religiosa. (Emilio Carnevali)

Lei ha alle spalle un trentennio di lavoro come vaticanista dei due principali quotidiani italiani. A suo avviso come è cambiata, nel corso di questo periodo, l’informazione religiosa sui media italiani?

È migliorata nella resa giornalistica, è peggiorata per la libertà di iniziativa degli operatori. Ambedue le modifiche dipendono dall’affermazione incontrastata – nei media commerciali – del modello americano che pone come criterio di gestione sempre prevalente l’audience e il profitto pubblicitario. Il mutamento è avvenuto nella seconda metà degli anni Ottanta, con l’esplosione del mercato pubblicitario. L’informazione religiosa ha seguito il destino degli altri settori informativi, con l’aggravante dell’essere, quella religiosa, una notizia debole – dal punto di vista commerciale – e dunque destinata a volare per prima, come gli stracci. Oggi anche questo comparto, come ogni altro, è più attraente, più tempestivo, più competitivo rispetto al passato: ed è ciò che indico come miglioramento della resa giornalistica. Ma è tutto schiacciato sull’attualità selezionata dalle grandi agenzie internazionali. Se prima il nostro lavoro era per un terzo lasciato all’iniziativa individuale, ora lo è solo per un decimo. Ne escono mortificate la cultura e la libertà. Un altro cambiamento – e questo è forse positivo – riguarda la modifica della griglia interpretativa dei fatti religiosi che guida le decisioni dei direttori e degli staff redazionali, che è passata dalla dominante politico-ideologica alla dominante commerciale. L’ottica commerciale è tendenzialmente più superficiale e meno rispettosa dello specifico religioso, ma è anche più trasgressiva e meno influenzabile per via istituzionale. Questo è dunque un fattore che recupera qualcosa della libertà che si è persa per il mutamento principale che ho detto prima.

Per molti osservatori uno dei grandi problemi dell’in-formazione religiosa in Italia è lo smisurato spazio concesso alle posizioni del papa (e agli esponenti della gerarchia) a discapito delle realtà di base, del laicato e dei tanti religiosi e religiose che esprimono un’idea di Chiesa e di fede spesso diversa da quella dei vertici, o comunque in grado di offrire un quadro più pluralistico del cattolicesimo italiano. È d’accordo con questa opinione? E quali sono le ragioni, oltre a quelle “strutturali” cui ha fatto cenno, che ne sono alla base? Di chi, eventualmente, le responsabilità?

È vero purtroppo: stando ai media, oggi, come e più di ieri, abbiamo “un grande papa in un grande vuoto”. Così diceva Achille Ardigò per la situazione della Chiesa nella realtà e così io credo si possa dire per la Chiesa riflessa dai media. È stato sempre così, nella sostanza. Ma è vero che se il papa è stato sempre grande, ora si può dire che il vuoto è più vuoto di prima. Spiego questa rarefazione del vuoto con il calo dell’autonomia degli operatori, di cui ho detto. Le direzioni e gli staff hanno sempre puntato sul papa con identica determinazione lungo tutti i trentatré anni del mio lavoro in trincea, ma una volta potevamo riequilibrare qualcosa con quel margine di iniziativa che ora è ridotto ai minimi termini. Stante questa veduta del fenomeno, non ha senso individuare le responsabilità: sono tutte nella modifica del sistema dei media, che è passato da sovvenzionato a commerciale: e non per tutti gli aspetti si è trattato di una modifica in negativo. Forse si può azzardare l’ipotesi che i colleghi più giovani siano meno sensibili all’elemento ecumenico e di base per quella mortificazione della libertà e della cultura cui avevo accennato. E forse si può dire anche che la stessa Chiesa oggi segnala di meno la propria interna pluriformità. Questo vale di sicuro per la Cei: la stagione ruiniana ha avuto molti meriti ma ha penalizzato le ali. “Coperti al centro” è stata la direttiva per oltre vent’anni.

Esiste secondo lei un problema di conformismo e di acquiescenza al Vaticano da parte di chi si occupa di informazione religiosa anche nei media laici?

Esiste. Ma era maggiore in passato – quando la dominante di valutazione delle notizie era quella ideologico-politica – e non è il guaio peggiore. Se il difetto maggiore dell’informa-zione religiosa è l’attenzione squilibratamente incentrata sul papa – io condivido questa valutazione – sarà ben arduo immaginare che ciò avvenga per acquiescenza a indicazioni che vengono da là: la mia esperienza dice che in almeno una metà delle circostanze in quegli uffici farebbero di tutto pur di ottenere dai media un abbassamento dell’attenzione. La divulgazione di notizie scomode in luglio e agosto, o di sabato e di domenica, è spia di quel vano desiderio.

Comparata con quella del suo predecessore, la strategia comunicativa di questo papa appare disastrosa. In pochi anni si sono succedute molte gaffes che hanno scatenato polemiche a livello planetario cui sono seguite, regolarmente, tardive e goffe retromarce o comunque tentativi di aggiustamento. Da esperto di comunicazione, qual è secondo lei la ragione di tutti questi errori?

Non sarei così tranciante rispetto al passato. Che potremmo dire della strategia comunicativa regnante Paolo VI, a proposito, poniamo, dell’Humanae Vitae, che fu pubblicata a fine luglio sperando nella disattenzione dei media, i quali invece non avendo altro da scrivere praticamente sbranarono il papa? O del modo in cui furono “gestiti” sotto Giovanni Paolo i tre anni del caso Ior-Ambrosiano? Da tecnico della materia trovo una sola specificità comunicativa di questo pontificato rispetto al precedente, che però non è detto che vada sempre letta negativamente e proprio ai fini della comunicazione: abbiamo a che fare con un papa solista, che ha pur sempre una Curia – anzi: la stessa Curia di prima – ma non ha più quella specie di corte che avevano i papi precedenti e che intralciava e condizionava, ma anche aiutava a prevedere, predisporre e accompagnare gli atti papali. Da questo punto di vista si è tornati alla solitudine di Pio XII che mangiava da solo e infatti per lo più anche Benedetto XVI mangia da solo. Direi che lo sbocco a delta della comunicazione mediatica che si attuava con papa Wojtyla aiutava a predisporre il terreno per una ricezione articolata e relativamente flessibile delle grandi iniziative da parte degli operatori dei media, mentre lo sbocco a estuario che è proprio di papa Ratzinger predispone a esiti senza rete: o va molto bene grazie agli effetti sorpresa e univocità, o va molto male perché la mancanza di concertazione impedisce di tener conto di eventuali controindicazioni.

Condivide l’opinione espressa da molti – laici e cattolici -secondo la quale il pontificato di Benedetto XVI abbia segnato una svolta reazionaria nel cammino della Chiesa post-conciliare?

No. Ritengo che sia lo stesso cammino di applicazione frenata e difensiva del Vaticano II che era stato impostato nella seconda metà del pontificato montiniano, che fu poi sostanzialmente confermato e prolungato dal pontificato wojtyliano e i cui portatori hanno scelto nel Conclave del 2005 di affidarne il terzo tempo a chi era stato chiamato a responsabilità gerarchiche da papa Montini e che papa Wojtyla aveva voluto come suo principale collaboratore per 23 anni. Che la linea sia la stessa si può vedere dalla conduzione dei Sinodi, dalle nomine episcopali, dai contenuti delle encicliche, dalle iniziative ecumeniche e interreligiose. Nei casi in cui si nota un cambiamento si tratta di novità tra loro bilanciate: abbiamo una stretta in campo liturgico che si accompagna a un alleggerimento dei richiami in materia di morale sessuale; c’è una riduzione in quantità ed enfasi della predicazione della pace che va insieme a una maggiore concentrazione nell’annuncio della fede e nella presentazione della figura di Gesù. Ma sono dettagli: la linea è la stessa. Direi che il secondo tempo di papa Montini ha fatto scuola a tre papi.

Che cosa si augura per la Chiesa nei prossimi anni?

La crescita di una reale tolleranza interna che permetta qualche riforma e una ripresa di iniziativa nel campo ecumenico e in quello della pace. A metà del pontificato montiniano, nel biennio 1967-1968, si sceglie di frenare sulle riforme e le iniziative ad extra che sembravano mettere a rischio l’unità della comunione cattolica e ci si dedica alla preservazione della coesione sostanziale, dottrinale e giuridica. Hanno la stessa logica le scelte missionarie di papa Wojtyla e quelle catechetiche di papa Ratzinger: distogliere l’attenzione dalle questioni disputate proponendo obiettivi più alti. Ma la crescita della tolleranza e della reciproca accettazione tra le diverse componenti è lenta e i papi vengono a trovarsi con le mani legate. Se ci fossero meno accanimento e meno contrapposizioni i nostri papi, tutti ottimamente intenzionati, potrebbero fare di più.

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