Papa Francesco dice: “Vescovo e popolo”

Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 14 marzo a pagina 2 con il titolo “Si rivolge al popolo da vescovo di Roma”

 

Tre punti sensibili vi sono nel saluto del nuovo Papa, ancora tremante per l’emozione: il primo è nelle parole “vescovo e popolo”, il secondo è quando ha chiamato Benedetto “il nostro vescovo emerito”, il terzo quando ha invitato il popolo a invocare su di lui la benedizione di Dio e a farlo in silenzio prima che lui desse al popolo la sua benedizione: “La preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo”.

Sono tre punti che nell’insieme segnalano un’idea di Chiesa-comunione e di Chiesa-popolo che sono formule centrali del Vaticano II, che insistono sul legame del clero con il popolo (come avrebbe detto Rosmini), che pongono in risalto la qualifica del Papa come vescovo – egli è “vescovo di Roma” – e che richiamano al ruolo primario che nella Chiesa svolge il “popolo di Dio” tutto insieme prima che il vescovo realizzi il suo “ministero” verso il popolo. Si può vedere qui la premura di presentare uniti  compiti e ruoli che la vecchia concezione distingueva e distanziava.

Benedetto XVI ha scelto di farsi chiamare “Papa emerito”, ma ecco che il suo successore, nell’affettuoso saluto che gli ha rivolto lo ha invece chiamato “nostro vescovo emerito”.  Vedremo come si svilupperà questo capitolo nei prossimi giorni, ma certo sono state parole intenzionali.

Vi sono nelle prime parole di Papa Francesco altri elementi di timbro più schiettamente evangelico e popolare: la scelta del “Padre nostro” come preghiera capace di coinvolgere tutti, in modo che l’immensa assemblea tutta si unisse nell’invocazione, il richiamo alla “fratellanza” universale (“per tutto il mondo”), l’annuncio che domani andrà a “pregare la Madonna”, proprio come fa il fedele più semplice: chissà che non vada al Santuario del Divino Amore, che è il luogo dove vanno in pellegrinaggio i più semplici tra i cristiani di Roma.

Luigi Accattoli

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