Un Papa nuovo. Così lava i piedi ai carcerati

Pubblicato dal Corriere della Sera del 29 marzo a pagina 18 con il titolo “Radici e licenze dei suoi riti pasquali”

 

La lavanda dei piedi ai carcerati è il primo azzardo liturgico di Papa Bergoglio e suona come un preannuncio: ne vedremo altri. Francesco ha svolto il rito secondo le regole, ma in un carcere e accettando che tra i “dodici” vi fossero due musulmani e due ragazze. Il carcere ha una popolazione mista e lui, il Papa venuto dalle periferie di Buenos Aires, voleva che il rito incontrasse pienamente quella realtà periferica.

Come è andato dai detenuti per compiere un gesto da “servo” degli ultimi, così doveva simbolicamente ammettere tutti al rito perché lì – nella rigida gerarchia che vige dietro le sbarre – i musulmani e le donne sono un passo dietro agli altri e dunque escludendoli sarebbe venuto a escludere gli ultimi tra gli ultimi.

Donne e musulmani in una lavanda dei piedi fatta da un Papa non si erano mai visti, ma i poveri e gli emarginati sì. Nell’alto Medioevo i vescovi nelle cattedrali il Giovedì Santo lavavano i piedi a 12 canonici e a 12 poveri; e possiamo immaginare che ciò avvenisse anche nella cattedrale di Roma, cioè in San Giovanni in Laterano.

Con il tempo cadde l’uso della “lavanda” dei poveri e rimase quella dei canonici. In giro per il mondo non mancano oggi vescovi e parroci che escono dallo schema tradizionale della lavanda riservata ai sacerdoti anziani, o ai chierichetti, o ai membri delle confraternite e ammettono ad essa donne e anche non cattolici.

La Regola di San Benedetto stabiliva che nei monasteri l’abate lavasse i piedi agli ospiti e il gesto di “lavare i piedi ai fratelli” è ricordato a chi è “costituito in autorità” anche dalla regola francescana. Per il Papa che ha preso il nome di Francesco sarà stato di monito l’esempio del “poverello di Assisi” che – narra la Leggenda minore di San Bonaventura – soleva “come schiavo ossequiare i lebbrosi lavando loro i piedi e fasciandone le piaghe”.

Il Papa gesuita avrà poi ben presente il ricordo del volume degli “Esercizi” di Ignazio di Loyola che quando tratta “della Cena” ricorda come Gesù “lavò i piedi dei discepoli, anche quelli di Giuda”. Questa inclusione del traditore avrà facilitato l’ambientazione del rito di ieri in un carcere. Già da arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio faceva la lavanda nelle carceri, negli ospedale, negli ospizi.

Non dovrebbero esservi altre licenze “argentine” nei riti dei prossimi giorni, avendo precisato il portavoce vaticano, quando annunciò l’andata al carcere, che il resto della Settimana Santa si sarebbe svolto “secondo l’uso abituale”.

Domenica Papa Bergoglio aveva benedetto le palme (cioè rami d’ulivo e di palma) in piazza San Pietro e aveva partecipato alla “processione delle Palme” che ricorda l’ingrasso di Gesù a Gerusalemme; e ieri mattina ha celebrato nella Basilica vaticana la Messa “crismale”, nella quale vengono benedetti gli “oli” che si usano nelle celebrazioni dell’intero anno: il Crisma della cresima e dell’ordine, l’olio del battesimo e quello degli infermi.

Domani pomeriggio la “Via Crucis” al Colosseo ricorderà le tappe della passione di Gesù dall’Orto degli Ulivi al Calvario. Nella Veglia pasquale, cioè nella notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua, vedremo Papa Francesco benedire il fuoco sul sagrato di San Pietro, accendere il “cero pasquale”, benedire l’acqua del fonte battesimale e intonare il solenne annuncio della risurrezione di Cristo, detto anche “Preconio pasquale”.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

 

Lascia un commento