Un Papa nuovo. Il suo motto potrebbe essere “fatti e non parole”

Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 30 marzo a pagina 22 con il titolo “A chi vuole riforme non offre parole ma i suoi gesti”.

 

L’animoso predicatore francescano gli chiede di riportare la Chiesa alla semplicità delle origini e glielo chiede in nome di Francesco d’Assisi e lui, Papa Francesco, ascolta pensoso e non dice nulla: è un momento della celebrazione di ieri pomeriggio in San Pietro ed è un’immagine del momento creativo e anche drammatico che sta vivendo la Chiesa Cattolica.

Ieri non era previsto che Papa Bergoglio parlasse, ma anche quando parla mai dice che cosa intenda fare. E non è un caso che non lo dica, è una strategia: egli va avanti con i gesti e i fatti, e si sa che la fattualità da sempre è stata nel governo papale più efficace e meno esposta alla contestazione rispetto alle parole.

Gli storici della Chiesa descrivono spesso una legge non scritta che può essere formulata così: il Papa ha il pieno potere decisionale ma riesce a usarlo solo se non attiva consultazioni o istruttorie e mette tutti davanti al fatto compiuto. Il Concilio convocato mezzo secolo addietro da Papa Giovanni e la “rinuncia” di Papa Benedetto sono le verifiche più recenti di quella legge.

Pio XI e Pio XII studiarono per anni la possibilità di convocare un Concilio, consultarono l’uno l’intero episcopato mondiale, l’altro i metropoliti e ambedue non ne fecero nulla. Papa Roncalli non consultò nessuno, diede l’annuncio come un fulmine a ciel sereno e il Concilio si è fatto.

I Papi Pacelli, Roncalli, Montini e Wojtyla fecero studiare l’opportunità della propria “rinuncia” al Pontificato, una volta appurate le invalidità e i malanni della vecchiaia, ma ne furono sconsigliati e rimasero al loro posto. Ratzinger non ha consultato nessuno e la sua rinuncia è stata subito un fatto.

Papa Francesco fino a oggi ha preso solo piccole decisioni, ma le ha prese tutte fattualmente, senza preannuncio e addirittura senza spiegazioni neanche post factum e hanno – ovviamente – funzionato. C’è da scommettere che egli voglia applicare lo stesso metodo alle grandi questioni.

Ha rinunciato alla mozzetta rossa, al rocchetto e allo stolone con cui i Papi si presentavano alla Loggia dopo l’elezione; ha mantenuto la croce pettorale e la mitria di quando era arcivescovo; non ha voluto le scarpe rosse; è restato fino a oggi e ha fatto sapere che resterà ancora “per un certo periodo di tempo” al Santa Marta; ha lavato i piedi l’altro ieri ai carcerati, compresi due musulmani e due donne: tutti “gesti” che gli sarebbero stati sconsigliati se avesse chiesto un parere.

Supponiamo che egli voglia lasciare per sempre il Palazzo Papale, che troppo l’allontana dalla comune umanità: potrebbe semplicemente restare al Santa Marta senza dire nulla né alla Curia né al mondo fino al consolidamento del nuovo corso. Lo stesso potrebbe fare, se volesse, con la chiusura dello IOR che ha provocato nei decenni enorme danno all’immagine della Chiesa Cattolica: se la fa studiare lo bloccano, ma se l’annuncia improvvisamente la cosa funziona.

Nessuna miglior maniera di dire le cose che farle” sosteneva don Giuseppe De Luca, un coltissimo prete romano che fu consigliere di Giovanni XXIII. De Luca aveva studiato dai Gesuiti ed è verosimile che il gesuita Bergoglio condivida quel principio.

Sta di fatto che fino a oggi non ha mai parlato di riforme se non in un caso emblematico, narrando ai giornalisti il 16 marzo una “battuta” che gli è stata rivolta in Conclave al momento della scelta del nome, quando qualcuno tra i cardinali gli ebbe a dire: “Tu dovresti chiamarti Adriano, perché Adriano VI è stato il riformatore, bisogna riformare”.

Ecco il punto: Bergoglio dà per scontato che “bisogna riformare”. Ma sa che l’argomento è tabù ai piani alti della Chiesa. E dunque non ne parla. Finchè non dirà nulla possiamo immaginare che qualche riforma potrà farla.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

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