Due o tre idee avventate sulla traumatica e salutifera rinuncia di Papa Benedetto

Sconcerto, tristezza, lenta intelligenza del fatto. Ho bisogno di tempo per fare i conti con l’uscita dalla storia di papa Benedetto, che ho subito avvertito come un traumatico e salutifero fatto di Vangelo. E’ stato come un colpo di bisturi, ha sbloccato il Papato. Stavo rileggendo il terzo volume su Gesù di Nazaret, attendevo l’enciclica sulla fede che non avremo. “Penso che basti ciò che ho fatto” aveva detto a Peter Seewald l’agosto scorso. Forse ha fatto più di quanto abbiamo capito, anche quelli che gli abbiamo voluto bene.

Sono tra quelli che l’hanno amato da subito. Me lo facevano amico – come argomentai in questa rubrica: “Non prevedevo l’elezione di Ratzinger ma sono contento che sia papa”, Il Regno 10/2005 – la sua avvertenza del mistero del male e della difficoltà di credere, l’invocazione al Signore perché torni a manifestarsi.

 

La teologia dell’amore

è il suo lascito più grande

Considero il suo lascito più grande la teologia dell’amore che è venuto svolgendo con umile costanza, e spero che venga studiata da chi ne ha gli strumenti finchè è ancora viva tra noi la sua lezione. Per seconda metto la chiamata alla penitenza per il peccato che è nella Chiesa. Per terza la concentrazione sulla figura di Gesù.

Avevo conosciuto il teologo Joseph Ratzinger leggendo a 27 anni – nel 1971 – Introduzione al cristianesimo tradotto dalla Queriniana nel 1969. Era stato Franco Rodano a dirmi “leggi Ratzinger”. Ma non fu amore a prima vista. Negli spazi bianchi di quelle pagine ci sono le mie proteste e le approvazioni, che all’incirca si equivalgono.

Allora – ma anche oggi – mi trovavo meglio con Von Balthasar e con De Lubac e per fortuna li ho letti insieme, altrimenti sarei caduto nel gorgo dell’incomprensione che ha risucchiato tanti miei coetanei e che si è espressa a destra con l’esaltazione di chi ne ha fatto il campione della “reazione” al Concilio e a sinistra nella speculare avversione di chi l’ha considerato – a partire dalla fondazione della rivista “Communio” – come uno dei responsabili dell’applicazione frenata del Vaticano II che ha caratterizzato la seconda parte del pontificato di Paolo VI e tutti gli anni di Giovanni Paolo II.

Attenzione alle date e alle compagnie: “Communio” viene fondata da Von Balthasar, Henri De Lubac e Joseph Ratzinger nel 1972, un anno dopo il mio incontro librario con Ratzinger. Chi li aveva letti tutti e tre prima della loro fuoriuscita dalla rivista “Concilium”, e ha continuato a leggere questa anche dopo la nascita di “Communio”, mescolando le acque dell’uno e dell’altro ruscello, è stato poi avvantaggiato nella comprensione dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Importanza delle letture giovanili.

Ho sviluppato da giornalista una lunga dimestichezza con la figura del cardinale Ratzinger, a partire dalle giornate della visita in Germania del Papa polacco nel novembre del 1980, che proprio nella Monaco dell’arcivescovo Ratzinger fu apertamente contestato da una giovane donna di nome Barbara Engl incaricata di salutarlo a nome dei giovani.

Ho intervistato il prefetto della Dottrina della Fede per il “Corriere della Sera” e ho studiato ogni sua pubblicazione lungo i 23 anni del suo lavoro nella curia romana. Nell’intervista che fu pubblicata il 22 maggio 1985 una delle domande era: “Si ricorda di Barbara Engl?” e nella risposta c’erano le parole “Certo, la conosco bene”. Ho parlato con lui solo una ventina di volte, da cardinale e da Papa, ma c’era una buona intensità in quei colloqui.

 

Due volte mi parlò

del “sogno di andare in pensione”

Uno avviene incontrandoci per le vie di Borgo Pio, dove usava fare la passeggiata del dopo pranzo tutto solo, in abito nero e con il baschetto in testa. Era il settembre del 2001, quand’era vicino al compimento dei 75 anni e gli chiesi che pensasse del cardinale Martini che una settimana prima aveva parlato del suo “desiderio” di tornare agli studi, compiendo anch’egli quell’età: “Capisco bene quel suo desiderio, che è anche il mio. Aspetto con impazienza il momento in cui potrò ancora scrivere qualche libro”.

Nove anni più tardi fui tra i presentatori – in Sala Stampa Vaticana – del volume intervista Luce del Mondo (Libreria Editrice Vaticana, novembre 2010) e don Georg dopo l’appuntamento pubblico ci portò da Papa Benedetto. Mentre gli stringevo la mano è avvenuto questo scambio di battute: “– Buon giorno signor Accattoli, la ringrazio dell’impegno con cui ha letto il libro…; – ringrazio io dell’opportunità che ho avuto di leggerlo in anticipo…; – ora lei è in pensione…; – e così ho la possibilità di leggere lentamente…; – era questo il mio sogno, di andare in pensione e di poter leggere lentamente ma non è stato possibile.

Accennavo sopra alla teologia dell’amore che Benedetto è venuto svolgendo in questi otto anni: nel mio blog ho segnalato via via le proposte più vive che mi è stato dato di cogliere e ora ne richiamo alcune perché mi paiono – nell’insieme – un vero dono che non è stato colto neanche all’interno della Chiesa.

In questo santuario di Lourdes (…) dove ai malati, ai poveri e ai piccoli è dato il primo posto, siamo invitati a scoprire la semplicità della nostra vocazione: in realtà, basta amare”: così parla dopo la processione “aux flambeaux” il 13 settembre 2008. Mi paiono parole equivalenti alle agostiniane “ama e fa ciò che vuoi”.

 

Mia esultanza quando disse

che Dio “è tutto e solo amore”

Due settimane più tardi, all’udienza generale del 1° ottobre 2008 afferma che “l’amore per i poveri è liturgia”: aggiunge questa frase improvvisata al testo che sta leggendo e con il quale commenta quanto scriveva Paolo della colletta per i poveri di Gerusalemme: che cioè essa costituiva “un servizio sacro” nei confronti dei “fratelli” che si trovavano nel bisogno (2 Corinti 9, 12).

La forza della carità è irresistibile: è l’amore che veramente manda avanti il mondo” argomenta poco dopo, il 19 ottobre 2008 a metà dell’omelia davanti alla Basilica di Pompei, dove sono anch’io al caldo sole. Ma ancora più calde mi paiono quelle parole.

Tre giorni più tardi, all’udienza generale del 22 ottobre 2008 esclama che “l’amore è divino”, proponendo un rivelatore rovesciamento linguistico dell’affermazione biblica “Dio è amore”, Deus caritas est.

Nell’ansia di farsi capire – in tali affermazioni portanti della sua predicazione – si appella a Dante: “E’ l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso in senso non poetico ma reale. Così lo intende Dante quando definisce Dio ‘L’amor che muove il sole e l’altre stelle’, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia” (10 gennaio 2009).

Una delle affermazioni più forti la propone il 7 giugno 2009, festa della Trinità, all’angelus: “Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica”. Un papa dice che “Dio è tutto e solo amore” e nessuno batte ciglio. Mia sorpresa.

 

Un solo compito ci è affidato:

imparare a voler bene”

Il 6 settembre 2009, in visita a Viterbo, segnala una conseguenza di quell’idea centrale cristiana di Dio Amore: “Il più immediato dei segni di Dio è certamente l’attenzione al prossimo, secondo quanto Gesù ha detto: ‘Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’”.

Con maggiore dettaglio espone la stessa conseguenza un mese più tardi, il 5 ottobre 2009, dettando una meditazione a braccio ad apertura della prima congregazione generale del Sinodo africano: “E’ importante che il cristianesimo non sia una somma di idee, una filosofia, una teologia, ma un modo di vivere, il cristianesimo è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità”.

Termino la rassegna con una parola detta all’udienza generale del 3 dicembre 2009, per qualificare l’amore come energia, natura e compito dell’essere umano: “L’energia principale che muove l’animo umano è l’amore. La natura umana, nella sua essenza più profonda, consiste nell’amare. In definitiva, un solo compito è affidato a ogni essere umano: imparare a voler bene, ad amare, sinceramente, autenticamente, gratuitamente”.

 

La fine del vecchio

e l’inizio del nuovo

Ho riportato nove affermazioni di teologia dell’amore proposte dal papa teologo in un arco di 15 mesi: nell’insieme del Pontificato ne sono rintracciabili un centinaio. In Introduzione al cristianesimo il teologo Ratzinger aveva trattato dell’amore come “unico principio trascendentale” del cristianesimo e suo “nucleo centrale” (vedi a pagina 217 dell’edizione del 1969 che citavo sopra). Da papa ha posto a programma del pontificato l’enciclica su Dio Amore e ha donato come ultimo testo normativo – il dicembre scorso – la “lettera apostolica in forma di motu proprio sul servizio della carità” che ha il titolo latino De caritate ministranda, ma della quale nessuno si è accorto. Spero che qualcuno colga la mia provocazione e si ponga allo studio di questo filo rosso del pontificato benedettiano.

Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?” chiese Peter Seewald a Benedetto in occasione del loro ultimo incontro, alla fine dello scorso novembre. La risposta fu “entrambi”. La fine del vecchio modo di fare il papa e l’inizio del nuovo, è la mia interpretazione. Un papa che insegna ma che può essere contraddetto, che è per sempre ma che può rinunciare: e anche questo è un buon lascito. Che incentra tutto sulla predicazione dell’amore ma che è ancora percepito come il monarca della Chiesa e non riesce a farsi intendere su quella centralità.

Luigi Accattoli

Il Regno 6/2013

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