Immagini di un Papa nuovo. Francesco dei poveri e della misericordia

Un Papa che rinuncia e un altro che viene preso dall’America Latina, eventi capaci di tramortire un vaticanista come si deve, figurati uno residuale come me che aveva vissuto gli ultimi otto anni augurando lunga vita a Papa Benedetto per non doversi fare un altro Conclave. Uno tsunami stordente, articoli e interviste alla rinfusa e schede per “Porta a Porta” a non finire. Ma Francesco, Francesco, Francesco: da quando è arrivato lui quelle fatiche non le ricordo più.

Ho sempre perso le scommesse sui Conclavi, e anche stavolta: puntavo sull’America Latina ma non su Bergoglio. Per fortuna non ho fatto nomi nel fondo che Ferruccio De Bortoli mi ha chiesto di scrivere per il Corriere della Sera il giorno dell’extra omnes.

 

Georgium Marium

e la fuoriuscita dall’Europa

Così argomentavo verso l’America Latina, con la sicurezza che ti viene quando scrivi un fondo: “La crisi della Chiesa in Europa può spingere il Conclave a portare il Papato fuori dal vecchio continente: sarebbe una scelta epocale paragonabile a quella che il secondo Conclave del 1978 compì con l’uscita dall’Italia e l’elezione di un cardinale polacco. Un balzo verso le Americhe costituirebbe un passaggio quasi indolore a una nuova costellazione, stante la continuità culturale tra il vecchio e il nuovo mondo. Più arduo è immaginare l’elezione di un Papa africano o asiatico. Ma già la scelta di un latino-americano – ipotesi oggi matura, che fu saggiata e poi scartata dal Conclave del 2005 – starebbe a indicare anche un passaggio dal Nord al Sud del mondo, di straordinario interesse in una fase storica che vede un rimescolamento planetario delle culture e delle economie”.

Quando il cardinale Tauran ha annunciato che avevamo il Papa “Georgium Marium” De Bortoli mi ha chiamato per dirmi che toccava a me interpretare l’elezione perché “hanno fatto proprio come dicevi tu”. Ripresi per il fondo del 14 marzo – che fu intitolato “Il Gesuita con il saio” – il paragone con il Conclave del 1978. Allora avevamo avuto l’uscita dall’Italia in un momento nel quale era in questione l’assetto dell’Europa nella fase finale del confronto Est-Ovest, oggi abbiamo l’uscita dall’Europa essendo in questione l’assetto del mondo: “Questa uscita è di buon segno perché a nessuno sfugge che le Chiese del vecchio continente hanno troppa storia per poter guardare con occhi sgombri alla sfida dei tempi nuovi che viene dai poveri del pianeta. Proveranno ora a guardarla con gli occhi di Papa Francesco”.

Papa Francesco infatti ha subito parlato dei poveri, raccontando il 15 marzo ai giornalisti le parole che il cardinale Hummes – “un grande amico” – ebbe a dirgli nella Sistina, al momento dell’applauso al 77° voto, abbracciandolo e baciandolo: “Non dimenticarti dei poveri”. C’è dunque il segno di una coralità latino americana in questa elezione, a partire dall’applauso al momento del quorum. “Il suo nome è cominciato ad apparire fin dalle Congregazioni generali, soprattutto fra alcuni cardinali latino americani” dirà il 21 marzo al Tg2 il cardinale Damasceno Assis, presidente della Conferenza episcopale brasiliana.

Una coralità che viene dalla comunità cattolica continentale più numerosa del pianeta, che ha trovato nella “scelta preferenziale per i poveri” la propria identità già a Medellin (1968), identità che il Papa nuovo ha espresso con le parole più semplici in quello stesso saluto a noi giornalisti: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”.

 

Pronto da vecchio

a osare il Papato

Non avevo pensato a Bergoglio stavolta perché molto – e invano – l’avevo pensato alla vigilia del Conclave del 2005 e ne ero restato deluso. Allora egli risultò il più votato dopo Ratzinger sia al primo sia all’ultimo degli scrutini. Ricostruzioni attendibili segnalano che arrivò ad avere quaranta voti che forse non sarebbero bastati per portarlo all’elezione ma che potevano impedire l’elezione del Papa teologo. Si dice ancora che nella pausa del pranzo Bergoglio scongiurasse i suoi sostenitori di concorrere a eleggere Ratzinger, cosa che avvenne. Otto anni dopo è l’eletto di allora a rinunciare e tocca al proto-rinunciatario prendere il suo posto: una vicenda che suona come una parabola e che di sicuro tiene in sé molti significati.

Come hanno fatto i cardinali a portare all’accettazione del Papato a 76 anni chi non lo volle quando ne aveva 68? Sappiamo ora che in una Congregazione generale del pre-Conclave Bergoglio aveva detto parole vive in vista della scelta di un Papa che “aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie” non solo geografiche ma “esistenziali” dell’umanità, dove sono “tutte le miserie”. Forse i cardinali da quelle parole hanno compreso che ora l’umile argentino si sentiva pronto a osare il Papato, ed ecco che accetta e si fa da gesuita francescano.

Ricordo un colloquio con il cardinale Jorge Mejia, connazionale di Bergoglio che ora ha 90 e che ha avuto un infarto proprio il giorno dell’elezione di Papa Francesco; un colloquio che avvenne alla viglia del Conclave del 2005 e nel quale rispose così alla mia domanda sul papabile Bergoglio: “E’ un santo, sarebbe un bellissimo Papa, ma se vede che lo votano si spaventa ed è capace di rifiutare l’elezione per umiltà”. Questa idea della sua riluttanza dev’essere circolata tra i cardinali elettori anche in quest’ultimo Conclave, se Damasceno Assis, nell’intervista che ho già citato, dice che “alcuni pensavano che non avrebbe accettato”.

 

Come romano di adozione

sento due volte la novità

Ma che vescovo di Roma sarà questo Francesco che sembra Papa da sempre, essendo arrivato lì con l’immagine del pauroso che non è? L’aver tolto il rosso della mozzetta e delle scarpe dà rilievo al bianco della veste. Sarà quel bianco a raccordarlo visivamente, più di ogni altro elemento, ai predecessori. Ma sarà anche un bianco disadorno, a indicare che il raccordo è mantenuto per quanto riguarda la sostanza della missione papale ma non per i suoi aspetti accessori.

L’indifferenza all’abbigliamento che caratterizza Papa Francesco appare confermata dalla sua disinvoltura gestuale: dalla risata “tra amici” con cui accompagna la conversazione, dagli abbracci che dà e riceve, dal puntarsi l’indice alla fronte, dall’alzare il pollice nel segno di ok come fanno i ragazzi. Fino al divertimento con cui si è messo al polso un braccialetto di plastica gialla, dono di un cardinale africano, il giorno dopo l’elezione, quando li ha ricevuti tutti nella Sala Clementina. Ma anche gesti più direttamente indicativi di un’idea di Chiesa: chiamare un prete al microfono per presentarlo all’assemblea, fermarsi alla porta a salutare tutti, scendere dalla campagnola in piazza San Pietro a parlare con persone che riconosce o per abbracciare un disabile, o per firmare il gesso di una bambina infortunata.

Come romano di adozione mi sento provocato dal titolo di “vescovo di Roma” che è quello preferito da Papa Francesco. Nel saluto alla folla dopo l’elezione ha usato sei volte questa espressione e mai la parola Papa, neanche quando ha invitato a pregare per Benedetto XVI, che ha nominato come “vescovo emerito” di Roma. Spavento di molti e mia festa raccolta, fiduciosa nella crescita della piantina ecclesiale ed ecumenica che il nuovo Papa sta mettendo a dimora. Vescovo di Roma, Chiesa di Roma. Chissà che questa Chiesa intesa come comunità locale non torni finalmente a camminare con le proprie gambe. “E adesso incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo”: chissà che non stia per finire la secolare separazione del “vescovo di Roma” dal suo popolo, che non finì con il ritorno dei Papi da Avignone.

 

Sono poi un cultore

delle benedizioni silenziose

Ha chiesto al popolo di benedirlo: “Prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. Una benedizione silenziosa ha poi proposto, due giorni più tardi, agli operatori dei media: “Dato che molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti, imparto di cuore questa benedizione, in silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno”. Io sono un cultore delle benedizioni silenziose, vivendo alla Repubblica e al Corriere della Sera per decenni e sempre benedicendo in silenzio.

Poi il fuoco della misericordia. Domenica 17 marzo ha celebrato come un parroco nella Chiesa di Sant’Anna, e c’era la lettura dell’adultera salvata dalla lapidazione: “Per me è il messaggio più forte del Signore: la misericordia”.

Siamo fratelli” ha detto al Papa emerito il 23 marzo a Castel Gandolfo e si è inginocchiato con lui allo stesso banco. E’ ormai chiaro che il nuovo Papa riesce ad avvicinarsi al vecchio senza subirne alcun condizionamento. Il portavoce vaticano ha precisato che la decisione sull’opportunità di diffondere le immagini dell’incontro è stata lasciata al Papa emerito, contento il nuovo di ciò che avesse stabilito. Possiamo dunque concludere che il passaggio di testimone tra i due Papi – di cui non c’era esperienza – è avvenuto con l’esito più convincente.

 

Se la Chiesa pretende

di tenere Cristo dentro di sè

La lavanda dei piedi nel carcere è stato un segno potente: “La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Cristo dentro di sé e non lo fa uscire” aveva detto nella Congregazione generale. Chi si è scandalizzato di quel gesto rifletta su queste parole.

Mi auguro che Papa Francesco riesca a restare al Santa Marta il più a lungo possibile. Che non si lasci convincere a fare discorsi enciclopedici su fatti che non conosce. A parlare lingue che non sa. A indossare vesti che non dicono. Resti Francesco e Jorge Mario. Che primavera inaspettata quella che è iniziata il 13 marzo di quest’anno.

Luigi Accattoli

Il Regno 8/2013

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