Da papa Luciani a papa Wojtyla

Canale d’Agordo 23 agosto 2002

Tenteremo un accostamento delle figure di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. Di certo non si possono paragonare le opere e i giorni di questi due Papi, essendo i 33 giorni dell’uno troppo esigua materia per reggere il confronto con i 24 anni dell’altro. Ci limiteremo dunque ad accostare le due immagini pontificali, perché un’immagine coerente e nitida Papa Luciani ce l’ha consegnata e quell’immagine ci lascia intuire qualcosa di ciò che il suo Pontificato avrebbe potuto essere, se ne avesse avuto il tempo.
Il confronto delle due immagini pontificali ci aiuterà a richiamare le figure di Giovanni XXIII e di Paolo VI, cioè dei Papi dai quali i cardinali neoeletti Luciani e Wojtyla hanno preso il nome.
Avremo così modo di precisare l’apporto che Giovanni Paolo I ha dato al rinnovamento del Papato, iniziato da Papa Roncalli, continuato da Papa Montini e oggi straordinariamente portato avanti, si direbbe accentuato, da Papa Wojtyla.
Anticipo l’idea di fondo di questa nostra conversazione, o meglio l’intuizione da cui prendo le mosse: che l’apporto di Papa Luciani al rinnovamento del Papato sia stato quello dell’aver mostrato – più che attuato – un modo nuovo di fare il Papa, più semplice, più personale, più evangelico, teso a realizzare un avvicinamento comunicativo nei confronti dell’umanità di oggi. E che in buona parte quella modalità appena accennata dal Papa di Canale d’Agordo è stata poi corposamente attuata dal Papa di Wadowice.

Lo stesso collegio
elegge due uomini così diversi
Partiamo dai due Conclavi del 1978, cioè di ventiquattro anni fa. Due Conclavi con lo stesso numero di cardinali, 111, che a distanza di 50 giorni eleggono – con la stessa maggioranza numerica – questi due Papi: con 100 voti il cardinale Luciani, il 26 agosto; con 99 voti il cardinale Wojtyla, il 16 ottobre. Al quarto scrutinio Luciani, ed è una delle elezioni papali più rapide del secolo; all’ottavo scrutinio Wojtyla, una delle elezioni più sofferte.
La domanda è: come mai lo stesso collegio elegge due uomini così diversi?
Lo stesso collegio: abbiamo addirittura – nei due Conclavi – lo stesso numero di votanti! I cardinali che partecipano al secondo Conclave tornano a essere 111, nonostante la riduzione a 110 dei presenti al primo, perché ad esso può partecipare il cardinale statunitense John Wright, che si è rimesso dall’indisposizione che gli aveva impedito di raggiungere Roma in occasione della prima convocazione.
Due uomini così diversi: un Papa parroco e un Papa eroico; un Papa che ama il nascondimento e un leader del mondo; un uomo timido, dalla voce “flebile”, che confida nella sua capacità di comunicazione solo quando essa si esercita da persona a persona e uno portato a porsi e a imporsi, con gesto naturale e con voce sicura, in ogni ambiente o circostanza – anche la più nuova e contrastata – del grande teatro del mondo.
Luciani non dorme la notte dopo l’elezione, tormentato dagli “scrupoli per aver accettato” e appare scosso per tutti i 33 giorni della sua breve stagione. Dice ai cardinali, scherzando senza scherzo: “Possa Dio perdonarvi per quello che avete fatto”. Wojtyla sembra accogliere con sicura prontezza l’impensabile chiamata al Papato e brinda e quasi festeggia con i cardinali che l’hanno eletto.
Ero tra i cronisti di ambedue i Conclavi, che ho seguito per il quotidiano la Repubblica. E da allora, a motivo della mia professione di vaticanista, che dal 1981 svolgo per il Corriere della Sera, ho avuto modo di riflettere – direi ininterrottamente – sull’anno dei due Conclavi, come è stato chiamato. Mi sono fatto l’idea che – al di là delle evidenti diversità dei due personaggi – vi sia un legame profondo tra i due e che questo legame sia importante – di segno evangelico, per dire tutto in breve – e caratterizzi anche la loro eredità, ciò che di più valido consegneranno, si direbbe insieme, alla storia.
I Papi Luciani e Wojtyla dunque – questa è la mia intuizione – vanno presi insieme, quando si voglia cercare il loro posto e interpretare il loro segno nella catena pontificale. Come se la fuggevole alba del primo fosse necessaria per l’avvento del pieno giorno dell’altro e come se il secondo abbia preso sulle sue spalle l’opera incompiuta del primo.

Due vescovi
con esperienza collegiale
I Papi Luciani e Wojtyla non hanno – nel loro curriculum – nessuna esperienza diplomatica e curiale. Bisogna risalire a Pio X (1903-1914) per avere una figura papale altrettanto esterna e inesperta, rispetto alla Curia romana e alla diplomazia pontificia. Papa Sarto avvertì nel quotidiano una difficoltà di adattamento alla figura papale tradizionale, esemplata su quelle esperienze – continuò a definirsi, per tutti gli undici anni del suo Pontificato, un “povero prigioniero” – ma non ebbe modo di far valere quella difficoltà, diciamo di riscattarla con qualche innovazione significativa e dovette adattarsi a fare il Papa secondo l’immagine ricevuta.
Papa Luciani e Papa Wojtyla l’avvertono, quella difficoltà di adattamento, non solo nel quotidiano, ma anche – grazie al Vaticano II – in punto di dottrina. Avvertono che non è solo scomoda e psicologicamente spiacevole quella lontananza della figura papale dalla comune umanità, ma che essa oggi risulta – in qualche maniera – antievangelica, o quantomeno controproducente dal punto di vista apostolico. Papa Luciani un poco si adatta e un poco si sottrae all’immagine ricevuta, Papa Wojtyla – in chiara e, si direbbe, consapevole continuità con il predecessore – tende a sottrarsi totalmente.
Altra e più importante comunanza d’origine: sono i primi Papi ad avere avuto l’esperienza della partecipazione – da vescovi e cardinali – alle attività di una conferenza episcopale. Non sono mai stati in Curia, ma sono stati a lungo in un “collegio” di vescovi. Nessun loro predecessore aveva avuto quell’arricchimento, che li fa “naturaliter” dei convinti assertori, in linea di principio, della collegialità nel governo della Chiesa. La collegialità affermata dal Vaticano II, loro l’hanno vissuta: un giorno si capirà che con queste due elezioni si è percorso un tornante decisivo nella storia del Pontificato romano. E’ facile intuire che d’ora in poi andranno Papi solo dei cardinali che avranno avuto una diretta esperienza della collegialità episcopale.
Ma torniamo ai nostri eroi. Essendo stati a lungo vescovi con altri vescovi, da Papi non riescono ad atteggiarsi a “sommi pontefici”, che reggono la Chiesa da soli. Luciani avverte il disagio – e lo dice – di trovarsi a benedire i cardinali, Wojtyla assocerà vescovi e cardinali alla sua benedizione.
Mi piace citare queste parole, che Papa Luciani improvvisa il 30 agosto, salutando i cardinali che hanno partecipato al Conclave e che riflettono quell’esperienza collegiale che dicevo: “Mi sa un po’ strano darvi la benedizione apostolica… Siete tutti successori degli Apostoli… Ad ogni modo c’è scritto qui: ‘In nome di Cristo impartisco con effusione di sentimento a voi, ai vostri collaboratori e a tutte le anime affidate alla vostra cura pastorale le primizie della mia propiziatrice apostolica benedizione’… Un po’ aulico il linguaggio…Pazienza”. Quel disagio l’avvertirà anche Papa Wojtyla e lo supererà chiamando i vescovi e i cardinali presenti alle sue udienze a benedire con lui la folla.
La mancanza dell’esperienza curiale e diplomatica, unita alla sovrabbondante esperienza pastorale, compresa la sua dimensione collegiale, predispongono questi due “vescovi di Roma” a una forte soggettivizzazione del modo di fare il Papa. Si presentano alla folla dopo l’elezione, ricorrono istintivamente e abitualmente al discorso improvvisato, non temono di raccontare di sé e di parlare in prima persona. Papa Luciani inizia a dire “io” nei discorsi e Papa Wojtyla continuerà, arrivando a usare la prima persona singolare anche nelle encicliche, dove non teme di scrivere: “A mio parere”.

Anche Luciani dalla loggia
voleva salutare la folla
E’ nella memoria di tutti il modo vivo, improvvisato e caldo con cui Papa Wojtyla si presenta subito, appena eletto, alla folla romana e alle telecamere di tutto il mondo. Nessuna ricerca di protagonismo, ovviamente, ma la naturale necessità di parlare, salutare, dire qualcosa: così era abituato a fare da arcivescovo di Cracovia e così fa da Papa, benché la cosa non sia prevista dal cerimoniale.
Ed è altrettanto nella memoria di tutti l’analogo saluto alla folla, emozionato ed emozionante, che Papa Luciani rivolge all’angelus del giorno dopo l’elezione, che è domenica. E’ il discorsetto che inizia “Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente…”. Ma da testimonianze certe sappiamo che anche Papa Luciani avrebbe voluto parlare al momento della prima benedizione, dopo l’”Habemus Papam”. Scrivono i biografi Tornielli e Zangrando: “Subito dopo l’elezione, Luciani non ha potuto rivolgersi alla folla raccolta in piazza San Pietro. Avrebbe voluto dire qualche parola, ma il cerimoniale non lo prevedeva e monsignor Virgilio Noè glielo ha detto, sconsigliandolo. Il Papa ha obbedito, cosa che invece non farà, un mese e mezzo dopo, il suo successore Giovanni Paolo II”.
Sempre dalla comune, originaria estraneità al mondo curiale, traggono un’istintiva diffidenza per la sedia gestatoria, per lo stemma e i titoli del Papa, per la tiara. Scelgono i nomi dei predecessori, mantengono la “croce pastorale” di Paolo VI.
Ambedue vengono da famiglie povere e da piccoli centri: Wadowice è poco più grande di Canale d’Agordo! Ambedue sono attenti alla sorte degli ultimi. Ambedue hanno “fatto la fame”, come ha detto di sé – una volta – Papa Luciani.

Modificano l’immagine papale
con alcune scelte di segno evangelico
Si potrebbe dire che i due Papi Giovanni Paolo insieme modificano l’immagine papale con alcune scelte di segno evangelico, che li accomuna e riguardo alle quali il secondo consolida e sviluppa il germe gettato dal primo:

  • non vogliono la tiara;
  • trasformano la cerimonia dell’Incoronazione papale in una “celebrazione di inizio del ministero di Pastore universale”;
  • rinunciano alla sedia gestatoria – ma Papa Luciani dopo averla esclusa dalla “celebrazione di inizio” si rassegna a usarla, Papa Wojtyla invece è più forte e impone il suo “no”;
  • attuano un avvicinamento comunicativo all’uomo della nostra epoca;
  • danno la priorità – su ogni altro impegno – alla predicazione evangelica e catechetica.

Non è il caso di entrare nel dettaglio di queste singole scelte. Qualcosa abbiamo già visto, citando parole di Papa Luciani. Ora mi limito a un riscontro preso da Papa Wojtyla, che attesta cioè la sua consapevole dipendenza dal predecessore in una scelta fondamentale: quella della rinuncia alla tiara, detta anche triregno. Ecco come ne parla nel discorso per l’inizio del Pontificato, il 22 ottobre del 1978: “Nei secoli passati, quando il Successore di Pietro prendeva possesso della sua Sede, si deponeva sul suo capo il triregno, la tiara. L’ultimo incoronato è stato Papa Paolo VI nel 1963, il quale, però, dopo il solenne rito di incoronazione non ha mai più usato il triregno lasciando ai suoi Successori la libertà di decidere al riguardo. Il Papa Giovanni Paolo I, il cui ricordo è così vivo nei nostri cuori, non ha voluto il triregno e oggi non lo vuole il suo Successore. Non è il tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che, forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo del potere temporale dei Papi. Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergerci in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo”. In questo testo è affermata la continuità della scelta e anche il suo segno evangelico: “non è il tempo di tornare” a un rito che l’uomo d’oggi non capirebbe, il nostro tempo ci obbliga a “guardare il Signore”. A “fermarci alle verità fondamentali”, aveva scritto una volta il cardinale Luciani.

Una semplificazione e un avvicinamento
che hanno trovato un continuatore
Guardando alla loro opera nella prospettiva del lungo periodo, credo si possa azzardare l’affermazione che questi due Papi danno sviluppo a quanto iniziato dai due Papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI dai quali hanno preso il nome.
Non c’erano più Papi di nome Giovanni dal Trecento (Giovanni XXII muore nel 1334) e non c’erano più Papi di nome Paolo dal Seicento (Paolo V muore nel 1621). Dunque i Papi Roncalli e Montini hanno recuperato nomi biblici, appartenuti a lontani predecessori, per segnalare l’intenzione di una discontinuità innovativa rispetto alla tradizione pontificale recente, una discontinuità mirata a riportare il Papato – per quanto possibile – alla sua figura evangelica.
I Papi Luciani e Wojtyla hanno ripreso i loro nomi per completare la loro opera. E – di fatto – l’hanno completata.
Quando sento dire che era necessario il Pontificato effimero di Papa Luciani perché fosse aperta la strada al duraturo Pontificato di Papa Wojtyla – affermazione dalle oscure implicazioni, che viene abitualmente ripetuta da commentatori e biografi – io interpreto quelle parole nel senso che erano necessari la semplificazione e l’avvicinamento comunicativo attuati – per lo spazio di un mattino – dal Papa di Canale d’Agordo perché il suo successore fosse aiutato a moltiplicare le libertà papali, tese all’incontro dell’umanità contemporanea: libertà di parola e di gesto, di predicazione e di governo. Dall’andare a sciare, al baciare le ragazze in fronte, al curarsi negli ospedali. Dalla visita alla Sinagoga di Roma a quella alla Moschea di Damasco.
Giovanni Paolo II lascerà al successore una figura papale restituita a una piena dimensione di libertà, umana e apostolica, quale i Papi non conoscevano più da un mezzo millennio. Tra gli elementi che l’hanno incoraggiato in quest’opera di liberazione del ministero petrino dagli impacci di una tradizione non più attuale c’è l’esempio che gli era venuto dai 33 giorni di Papa Lucani, dal suo desiderio di parlare e di atteggiarsi da vescovo di Roma con la stessa semplicità con cui aveva fatto il vescovo di Vittorio Veneto e il patriarca di Venezia.

Il significato
di quel sorriso
Concludo con un tentativo – che so azzardato – di interpretare il sorriso di Papa Luciani. Un sorriso che gli conquistò la simpatia dei semplici, ma che non è facile da intendere, perché di suo – assicurano quelli che lo conobbero – Albino Luciani non era affatto un uomo facile al sorriso. Nella vita non era uno che ridesse facilmente, o che sorridesse sempre. Io immagino che proprio qui sia l’ultimo segreto della sua figura di Papa.
Io credo che quel sorriso volesse dire comunicazione, desiderio del Papa di parlare a tutti. Da vescovo e da patriarca egli era abituato a incontrare le persone: la sua era stata sempre un’attività pastorale basata su un primario rapporto interpersonale. Teme che da Papa non potrà più fondare la sua azione su quel rapporto:“Io in un certo senso sono dolente di non poter ritornare alla vita dell’apostolato che mi piaceva tanto. Ho avuto sempre diocesi piccole (…) Il mio lavoro era tra i ragazzi, gli operai, i malati, visite pastorali…Non potrò più fare questo lavoro”. Così parla, il 30 agosto, ai cardinali che l’hanno eletto.
Ora che è Papa, quest’uomo si trova sbalzato dalle sue “diocesi piccole” a una diocesi smisurata. Ha per uditorio il mondo e teme che su questa scala il suo genio per il contatto personale non l’aiuti più, che quella via gli sia divenuta impercorribile. Ecco allora quel sorriso, che ne segnala a tutti il desiderio.
Sta a dire, quel sorriso, che Papa Luciani vorrebbe parlare a tutti, mostrarsi a ognuno sollecito e fraterno. Il sorriso esprime la sua ansia di farsi tutto a tutto, la cifra più intima della sua vocazione d’apostolo. La stessa ansia che il suo eroico successore esprimerà con i viaggi fino ai confini della terra e con la creativa, inesauribile capacità di interpellare l’intera umanità.

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