Alla scoperta di Francesco Canova un medico cristiano creativo e sconosciuto

 

Racconto stavolta la scoperta – su provocazione altrui – di un protagonista della Chiesa italiana da me in precedenza ignorato: Francesco Canova (1908-1998), fondatore del Cuamm di Padova. Non voglio giustificare quella lunga ignoranza che è un dettaglio della sconoscenza reciproca che affligge equamente le varie componenti della nostra comunità, forse a motivo della ricchezza di esperienze che la caratterizza. Una ricchezza che ci fa distratti nella percezione e pigri nella divulgazione.

La mia ignoranza del Canova era clamorosa dal momento che da sempre faccio informazione e sono un cercatore di storie di vita. E’ capitato dunque che non potessi dire di no a chi mi propose – nel 2011 – di scrivere un profilo del Canova. Non che ignorassi il Cuamm ma non avevo percepito che nel suo fondatore avrei potuto trovare un uomo significativo per me.

 

Da volontario sul campo

alla fondazione del Cuamm

Quando mi arrivò la proposta avevo appena letto il volumetto di Paolo Rumiz Il bene ostinato (Feltrinelli 2011). In precedenza avevo acquistato e segnato nei punti salienti un volumetto del Canova, Vita breve di un medico missionario (Marietti 1962), che narra l’avventura di Lido Rossi nello Swaziland.

L’archivio del Cuamm mi ha messo a disposizione il vasto epistolario del Canova e la raccolta delle sue pubblicazioni. Ne è venuto un ritratto che è stato pubblicato ora dalla San Paolo con il titolo La radice di un grande albero. Francesco Canova medico, missionario, cosmopolita (pp.135, euro 13.00).

Francesco è stato un sognatore alla dimensione del mondo. Medico, decide di andare in paesi lontani a curare popoli privi di ospedali e coinvolge nell’impresa la fidanzata Reginetta. Parte per la Palestina nel 1935 e appena avviato a El-Kerak un ospedale per beduini rientra in Italia, la sposa e riparte con lei. Resta per dodici anni nel Medio Oriente facendosi tutto a tutti prima nel suo ospedale e poi nei campi di concentramento nei quali viene internato durante la guerra mondiale dalle autorità del Mandato Britannico sulla Palestina.

Tornato in patria si fa promotore dell’invio di medici, uomini e donne, singoli e in coppia, in tanti paesi e infine concentra la sua opera sull’Africa, realizzando in Padova un Collegio per studenti di Medicina intenzionati a “partire”: Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari), che nasce nel 1950 ed è attivo oggi più che mai, con l’aggiunta al vecchio nome – dal 2003 – della specificazione Medici con l’Africa. Un’organizzazione non governativa che ha inviato in Africa e altrove – in sessant’anni di attività – 1400 volontari venendo a porsi come la struttura privata di cooperazione internazionale più longeva e operosa del nostro paese.

Quest’uomo dalle vaste imprese è poco conosciuto. Vive novant’anni operosissimi, scrive migliaia di lettere ai medici che sono sul campo, pubblica 33 volumi e volumetti ma la sua figura mossa e trascinante a oggi è nota solo negli ambienti della cooperazione e delle missioni: il fine del mio profilo è di presentarlo al largo pubblico. E’ stato un precursore, per l’Italia, del volontariato internazionale che si è poi affermato negli ultimi tre decenni del secolo scorso. Ma anche nella Chiesa la sua opera è stata nuova e ha aiutato la “missione alle genti” ad aprirsi alla partecipazione dei cristiani comuni e delle coppie sposate. Di viva attualità è la sua immagine di cittadino del pianeta, partecipe di una mondialità evangelica che lo porta a guardare a ogni paese come alla propria patria.

 

Si parte dall’antifascismo culturale

della Fuci di Montini

Il mio profilo è stato pubblicato quasi in contemporanea con un saggio storico al quale aveva a lungo lavorato Giuseppe Butturini: Una professione che diventa missione: Francesco Canova e Medici con l’Africa Cuamm (Edizioni Studium 2013). L’ho consultato in bozze e ho utilizzato le sue acquisizioni documentali e interpretative. Ho così potuto narrare la ventura ormai lontana di uno studente di medicina nella Padova del 1927-1933 che fa parte della Fuci (dove sono stato anch’io, quattro decenni più tardi), ne respira l’antifascismo culturale e si rifiuta di prendere la tessera del Fascio. Fu in quell’ambiente che gli entrò dentro l’idea di andare per il mondo in soccorso degli ultimi e che individuò le vie per attuarla.

Francesco è un amante della bellezza della donna e un cantore dell’amore umano. Un’attitudine sorgiva che si esprime nel fidanzamento con Reginetta, nella creativa vita di coppia che realizzano, nella piena collaborazione – o complicità – con cui impiantano l’impresa dell’invio di medici in “terra di missione”. Negli anni palestinesi nasce la prima figlia, Giordana, e le dànno un nome evocativo del Paese dove fu concepita. Una seconda figlia, Anna, nascerà nel 1948 dopo il rientro in Italia.

Dagli scritti del Canova appare chiara la regola di fedeltà e libertà con cui ha interpretato la propria appartenenza alla Chiesa, che gli ha permesso di realizzare una fattiva amicizia, fin dagli anni ’30, con uomini tra loro diversi come Giovanni Battista Montini e Agostino Gemelli. Una libera fedeltà che gli fa da guida nella collaborazione con il vescovo di Padova Girolamo Bortignon – che nel 1955 riconosce il Collegio del Canova come opera della Chiesa locale – e che trova piena manifestazione negli anni di Giovanni XXIII e del Vaticano II, di cui per tanti aspetti il nostro medico solidale è stato un precursore.

 

Scrittore nato

e cristiano alla Roncalli

Francesco è uno scrittore nato. In ogni progetto intellettuale, medico o sociale che si trovi ad approntare, si profila sempre come un uomo dotato di parola. Per decenni ha una fitta corrispondenza con i medici in missione e quelle lettere – che ho potuto utilizzare a ogni pagina del volume – ci permettono di entrare nello spaccato dell’opera alla quale ha dato vita: in esse lo vediamo scherzare, consolare, incoraggiare e interrogare i suoi amici come se viaggiasse con loro per il mondo e di ogni paese volesse vedere – attraverso i loro occhi – miserie e risorse. Ha lasciato alle figlie un vivissimo racconto, Vita con vostra madre, che dice i sentimenti che l’hanno tenuto sveglio sulla terra.

Nell’ultima fase della vita lo vediamo intensificare – specie dopo la morte della moglie, nel 1977 – l’attività di scrittore: ne vengono libretti di facile lettura, su argomenti propri di un medico e di un cristiano voglioso di portare aiuto alle persone più semplici. Ottimismo per pessimisti (Elle Di Ci 1979), Rischi e valori della terza età (Paoline 1982), Simpatia e testimonianza cristiana (Messaggero 1983) sono alcuni titoli ristampati più volte. La stessa opera di consolatore dei bisognosi conduce con gli anziani del quartiere padovano nel quale vive e con le tante ore di volontariato ai microfoni di Telefono Amico. L’ultimo volumetto che appare postumo è intitolato Simpatia per Gesù Cristo (San Paolo 1998).

A segnalare il timbro della sua scrittura può valere questo motto che è nel volumetto Le chiavi della Speranza (San Paolo 1989): “Non succede nulla di tanto grande al mondo come quando avviene un cambiamento nella speranza”.

Per la fiducia in Dio e negli uomini che lo caratterizza, Francesco è un cristiano alla Papa Giovanni. Percorre strade somiglianti a quelle di altri credenti suoi contemporanei come lui intesi ad affermare il primato della carità in campo ospedaliero: Albert Schweitzer (1875-1965), Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), Raul Follerau (1903-1977), Marcello Candia (1916-1983). Di Candia il Canova fu amico e collaboratore.

 

Parli dei nostri volontari

ma non della mia persona”

Un uomo – il Canova – pienamente partecipe di quel segno ed evento epocale che fu, alla metà del secolo scorso, l’ingresso di nuove nazioni nella comunità dei popoli, e del nascente protagonismo delle comunità cristiane del terzo mondo, essendo stato per tanti anni un sollecitatore di tali eventi e poi un loro creativo accompagnatore. Giunto alla piena maturità poté affermare che tutti i sogni della sua giovinezza erano “andati a segno”.

Per un incrocio di ragioni soggettive ed epocali quest’uomo resta sostanzialmente sconosciuto sulla scena pubblica italiana: egli non ama apparire e il mondo circostante non è ancora sensibile alla mondialità che va proponendo. In più occasioni chiede di non essere citato a chi lo cerca per servizi giornalistici: “Parli dei nostri medici ma non della mia persona”. Nella rivista del Collegio che dirige dal 1953 al 1997 non veste mai i panni del protagonista.

Ma va aggiunto che è stata sfavorevole al riconoscimento della sua attività la separatezza tra cultura laica e cultura cattolica che imperava in Italia negli anni della sua azione più incisiva: il ventennio che va dal 1950 al 1970. L’ha anche danneggiato la scarsa attenzione dell’Italia di quel tempo per il volontariato internazionale di cui egli è stato un attore primario.

 

Figura tipo di medico credente

del ventesimo secolo

Con il mio profilo ho inteso mostrare che quelle circostanze del passato sono oggi superate. La proposta per questo lavoro mi è venuta da Anna Talami, responsabile del Cuamm per la comunicazione, in accordo con il direttore don Dante Carraro. Con loro e con don Luigi Mazzucato, direttore storico del Collegio e testimone dell’intera opera del Canova, ho discusso il progetto. Nella ricerca d’archivio sono stato guidato da Mario Zangrando. Ho potuto intervistare una decina di persone che furono a contatto con l’uomo di cui andavo ricostruendo le tracce, prima tra tutti la figlia Giordana. Sono grato dell’aiuto che mi hanno dato nell’approccio alla figura più significativa di medico cristiano che abbia avuto l’Italia nell’ultimo secolo e la cui lezione è pienamente attiva tra noi.

Luigi Accattoli

 

Il Regno 10/2013

 

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