Pubblicato da LIBERAL il 5 ottobre 2010
L’immagine simbolo della visita del Papa in Sicilia (domenica 3 ottobre 2010) è quella che lo mostra in preghiera ai bordi dell’autostrada, davanti alla stele di Capaci che ricorda Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. Il segno forte di quell’immagine sta nel fatto che Falcone non era un credente, era un “laico” e dunque il Papa teologo non si è limitato a rendere omaggio ai martiri cristiani Puglisi e Livatino, ma ha associato al proprio atto di memoria e di segnalazione per il riscatto dell’isola anche i martiri altrui.
Vedo in questa scelta un’applicazione alla Sicilia della preoccupazione e della sensibilità del Papa teologo per l’incontro della Chiesa con i non credenti, che egli indica con la suggestiva denominazione ebraica di Cortile dei Gentili: cioè la cerchia umana più vasta, che non appartiene al Popolo di Dio e alla quale è comunque destinato il messaggio di Cristo rivolto “a tutte le genti”.
Con calore Benedetto lungo la sua giornata palermitana aveva ricordato il sacerdote martire della mafia Pino Puglisi nell’incontro con i sacerdoti in cattedrale e ai giovani – nell’ultimo appuntamento – aveva richiamato la figura di Rosario Livatino, anch’egli ucciso dalla mafia, segnalando che per ambedue è avviato l’iter per riconoscerne il martirio e l’esemplarità cristiana.
“Martiri della giustizia e indirettamente della fede”, aveva chiamato gli uccisi dalla mafia Giovanni Paolo II in occasione della visita ad Agrigento nel maggio del 1993, dopo aver incontrato i genitori di Livatino. Ma solo i cristiani sono da considerare martiri e da tenere in conto nella pedagogia ecclesiale del riscatto dalla mafia? E gli altri, i poliziotti e i magistrati e i politici che sono stati uccisi nella stessa impresa, andando alla prova del sangue con le sole motivazioni di giustizia umana?
L’omaggio del Papa alla stele di Capaci è la risposta a questa domanda: tutti i siciliani di buona volontà che hanno dato la vita per liberare l’isola dalla “strada di morte” che è la mafia – così l’ha chiamata – vanno ricordati e portati a modello nel dialogo con i giovani. Giovanni Falcone è un martire della giustizia esattamente come Paolo Borsellino (che era un cattolico praticante e che il giorno prima di essere ucciso era andato a confessarsi): questi dà la vita in nome di Cristo, quello in nome dell’uomo.
Borsellino è morto nella stessa città e conducendo le stesse indagini per le quali due mesi prima era stato ucciso il collega Falcone. In Sicilia è frequente l’interrogativo – in ambito ecclesiale – sulla diversità e similitudine di queste figure. Né esso vale solo per i magistrati: si potrebbe condurre lo stesso raffronto tra il politico democristiano Piersanti Mattarella – poniamo – e il comunista Pio La Torre.
Come guardare dunque – nella Chiesa – al “martire” che non è cristiano ed è soltanto un “giusto delle genti”? La questione è stata trattata – in riferimento ai martiri della seconda guerra mondiale e dell’America Latina – da un teologo svizzero di lingua tedesca che Giovanni Paolo II volle cardinale, Hans Urs von Balthasar, al quale Joseph Ratzinger ha sempre guardato come a uno dei suoi “maestri”.
Secondo la terminologia proposta da Von Balthasar, l’uno è un “martire per Cristo” e l’altro un “martire per l’uomo”: il riconoscimento ecclesiale della testimonianza dell’uno – sostiene il teologo svizzero – non limita, anzi chiarifica, l’apprezzamento per quella dell’altro. Se meglio risalta la comunanza di esperienza storica, il nome cristiano ci “guadagna”, perché l’obiettivo è di parlare all’uomo d’oggi e non di prendere distacco da lui.
Così io credo va visto il gesto di Papa Benedetto. Egli non ha fatto un discorso a Capaci, dove ha solo pregato e dunque ad aiutarci nell’interpretazione non abbiamo che le parole del portavoce Federico Lombardi: “Durante il percorso da Palermo verso l’Aeroporto, il Papa ha voluto che il corteo si fermasse a Capaci, nel punto dove avvenne il tragico attentato contro il giudice Giovanni Falcone e la sua scorta. E’ sceso dalla sua macchina per deporre un mazzo di fiori presso la stele eretta in ricordo delle vittime, e ha sostato in preghiera silenziosa, ricordando tutte le vittime della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata”.
Si è trattato dunque di una scelta personale di Papa Benedetto e l’intenzione era di ricordare “tutte le vittime” della mafia. C’è abbastanza in questa dichiarazione per intendere la pienezza dell’intenzione papale in quell’ultimo gesto in terra siciliana.
Luigi Accattoli
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