Giuseppe Taliercio: “Chiediamo che finisca questa tragedia e che l’uomo ritorni ad amare”

Giuseppe Taliercio viene ucciso a 54 anni il 5 luglio 1981, dopo 46 giorni di rapimento, dalle Brigate Rosse. Era direttore dello stabilimento “Petrolchimico” della Montedison di Marghera, aveva cinque figli: Elda, Lucia, Bianca, Cesare, Antonio. Il buon rapporto con i sindacati e l’aiuto ai più bisognosi – anche attraverso la “San Vincenzo” aziendale della quale era animatore – avevano caratterizzato la sua direzione dello stabilimento. La sposa Gabriella – cresciuta con Giuseppe nell’Azione cattolica, nelle Equipes Notre Dame e nella vita di parrocchia – così racconta il suo perdono degli uccisori del marito a Gigi Moncalvo, due anni dopo l’evento:

Quando qualcuno si meraviglia per il perdono che abbiamo concesso agli assassini di Pino nonostante tutta la crudeltà, tutto l’odio che hanno mostrato e manifestato contro di lui e contro di noi, io e i miei figli rispondiamo in maniera semplice e chiara: la strada del perdono, dell’amore, della bontà è l’unica che Pino ci ha insegnato. Sempre. Lui viveva il discorso del perdono, della non violenza, della necessità che tutti fossero disponibili a pagare per gli altri (…). Ecco, la pace è un grandissimo dono. Ringraziamo il Signore che ce la dona, che ce la donerà, cerchiamo tutti di chiedergliela anche per questi brigatisti, purtroppo si chiamano così. Anche per loro, chiediamo che finisca questa tragedia e che l’uomo ritorni ad amare e a non odiare mai più (…). Forse verrà un giorno, fra dieci anni, se sarò ancora viva, nel quale chi ha ucciso mio marito verrà a chiedermi perdono.

Gabriella ha la stessa intuizione di Paolo VI, quando avvertì – nella “Lettera agli uomini delle Brigate Rosse” (21 aprile 1978) – che “brigatisti” non è un nome adatto e bisogna dire “uomini” quando vogliamo parlare da cristiani. E lei fa più del Papa e di tanti altri, invocando la “pace” per gli uccisori del suo sposo: di più forse, sulla terra, non si può.

Gabriella aveva mitemente sperato – come da lei detto nell’intervista citata sopra – in un ravvedimento degli uccisori che infatti si verifica ben presto. Il sette maggio del 1985, al secondo giorno di interrogatorio al processo alla Colonna veneta delle Br, Antonio Savasta – l’uccisore di Giuseppe,  responsabile di diciassette omicidi, divenuto “collaboratore di giustizia” – parla con rammarico del dolore provocato alla famiglia dell’ingegnere, che non aveva voluto costituirsi parte civile e aveva già perdonato durante la celebrazione della messa di addio oltre che in varie interviste. “Chiedere perdono alla moglie di Taliercio è un fatto troppo personale per dirlo in questa sede” dice l’ex terrorista ai giornalisti durante una pausa del processo. “Ma lei andrebbe dalla signora Taliercio a chiederle perdono?” gli domandano e lui: “Se potessi uscire da questa gabbia sì, ci andrei”.

“Vorrei parlare di una cosa che non c’è nei volantini, nei comunicati delle Brigate Rosse, negli interrogatori – dice Savasta ai giudici – cioè del rapporto fra me e l’ingegner Giuseppe Taliercio. Vorrei parlare dell’immagine di un uomo forte, dignitoso, coraggioso. Una dignità e un coraggio che io e altri non abbiamo avuto. Alle nostre domande l’ingegnere rispondeva con frasi che parlavano d’amore, parlava di un mondo in evoluzione. Lui era sorretto da una grande fede, io allora non lo capivo. Il suo omicidio è stato un tragico passo”.

In quello stesso anno 1985 Savasta chiese il perdono alla famiglia con una lettera dal carcere alla vedova: “Suo marito in quei giorni è stato pieno di fede, incapace di odiarci. Era lui che tentava di spiegarci quale era il senso della vita ed io non capivo da dove prendesse la forza per sentirsi così sereno. Lo so… questo non le restituirà molto, ma sappia che dentro di me è la parola che portava suo marito che ha vinto. Anche in quei momenti suo marito ha dato amore; è stato un seme così potente che neanche io, che lottavo contro, sono riuscito a estinguere dentro di me… Se non ci foste stati voi a donare per primi questo fiore, io sarei ancora perso nel deserto. Io sono in debito con voi e spero soltanto di colmare questo vuoto restituendo e insegnando ad altri quello che voi avete insegnato a me”.

Nella chiesa parrocchiale di Marina di Carrara, frequentata dalla famiglia e dove si erano svolti i funerali, è stata posta una lapide che dice: “Giuseppe Taliercio martire del XX° secolo. Questa è la Chiesa che gli diede i natali, che gli trasmise i grandi ideali di fede in Dio e dedizione all’uomo per cui visse e fu ucciso. 1927-1981”.

 

AAVV, Taliercio, Dolo-Venezia 1982. Domenico Mondrone, Giuseppe Taliercio. Ancora una vittima eroica della criminalità, in I santi esistono ancora, volume VIII, Roma 1983, pp. 40-59. Sul “pentimento” dell’uccisore di Taliercio, vedi il quotidiano “La Repubblica” dell’8 maggio 1985, p. 14: “Savasta ora chiede perdono alla famiglia di Taliercio”. La lettera di Savasta è nel Messaggero di Sant’Antonio del novembre 2000.

[Settembre 2011]

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