L’anno dei due Papi e della “Evangelii Gaudium”

Convegno della diocesi di Rovigo – 16 febbraio 2014

 

Questo è un tempo di grazia perché noi cristiani – qui in Europa – avevamo un grande bisogno di una scossa e in pochi mesi ne abbiamo avute tre:

  • La traumatica e salutifera rinuncia di Papa Benedetto
  • L’elezione di Papa Francesco con le sue inattese novità
  • Il monito del nuovo Papa a porci come “Chiesa in uscita”

Le prime due scosse ci sono state “date”, erano fatti oggettivi, non ci era chiesto altro che di comprenderle. Non so quanto e quanti le abbiamo comprese, ma tutti in qualche modo abbiamo accusato il colpo. Chiamo “salutifera” la rinuncia di Benedetto, pur traumatica e dolorosa, perché ci ha risvegliati: e il risveglio è un segno di salute, o una provocazione a essa.

La terza scossa invece – a mio parere la più importante – non ha la natura dei fatti oggettivi che ci interpellano dall’esterno, ma è una vocazione che chiede di essere accolta, esiste solo se l’obbediamo; e qui credo che siamo inadempienti.

Non solo non vedo segni di obbedienza a quella chiamata a uscire, ma credo che dai più essa non sia stata neanche colta – e quelli che l’hanno colta magari l’hanno commentata – “Tu che ne dici?” – ma forse non l’hanno obbedita in nulla.

Fate una prova: chiedete a dieci vostri amici quale sia per loro la novità maggiore, o la parola più importante di Francesco fino a oggi: le vesti semplificate, l’abbandono dell’appartamento, la “Chiesa dei poveri”, il non giudicare “il gay che cerca Dio”, i passi per il governo collegiale della Chiesa… – credo che pochi o forse nessuno vi dirà che la vera novità sia la Chiesa in uscita.

Io sono invece convinto che il nuovo vero sia qui e oso affermare che se non obbediamo a quella chiamata vanifichiamo l’intera novità di cui è portatore Francesco e che tutta è in funzione della chiamata all’uscita.

Se non usciamo con lui, Francesco resterà un Papa simpatico, estroverso, che ha alleggerito – o ha tentato di alleggerire – i conflitti con la modernità e che ha semplificato l’immagine e il linguaggio, ma che non avrà ottenuto quello per cui è stato eletto – in accoglienza al monito rivolto ai confratelli cardinali alla vigilia del Conclave, della Chiesa chiamata a uscire da se stessa per evangelizzare; monito che viene ripetendo da quando è eletto e intorno al quale ha costruito il programma del Pontificato, consegnato alla “Evangelii Gaudium”.

Provo a dire il suo monito epocale seguendo il suo metodo delle “parole chiave” e ci provo con quattro parole: uscire, Vangelo, poveri, misericordia.

Uscire. “Uscire uscire” – “uscire dalla nostre comodità e andare alle periferie geografiche ed esistenziali” – “uscire” dal recinto delle istituzioni e del linguaggio ricevuto – uscire dall’ingabbiamento dell’annuncio cristiano in una ideologia religiosa irricevibile per l’umanità contemporanea. Uscire dagli ambienti popolati da cristiani praticanti e andare dai non credenti, o da chi ha rotto con la Chiesa. “Uscire per evangelizzare”: cioè per portare Cristo e il suo Vangelo, non una nostra cultura.

Vangelo. “Vangelo Vangelo” è stato il grido che Papa Francesco ha proposto ai giovani sul piazzale della Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi il 4 ottobre 2013, e ponendo quel grido a logo del suo messaggio – affermando che se lo sente dire da San Francesco e che “se io non riesco a essere un servitore del Vangelo, la mia vita non vale niente”. Il Vangelo prima delle dottrine. Il Vangelo liberato da impalcature ideologiche che “allontanano” anziché “convertire”.

Poveri. Uscire per portare il Vangelo innanzitutto ai poveri – ai poveri di tutte le povertà: e la più grande è la privazione della fede – “Quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri” – una Chiesa missionaria e povera e samaritana – una Chiesa “ospedale da campo” che innanzitutto cura le ferite dell’umanità che incontra nella sua uscita.

Misericordia. “Il messaggio di Gesù è quello: la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore”: così nell’omelia della sua prima domenica da Papa. “Io credo che questo sia il tempo della misericordia. E la Chiesa è madre: deve trovare una misericordia per tutti”: così ai giornalisti in aereo. Non una Chiesa giudicante quindi, non la condanna ma la “medicina della misericordia”, come già diceva Papa Giovanni.

Conclusione: non abbiamo a che fare con un Papa che semplifica e alleggerisce, che rende più facile l’appartenenza alla Chiesa – abbiamo un Papa che pone una forte, fortissima esigenza apostolica, radicale, totale – in vista della quale alleggerisce tutto il resto – perché vuole una comunità senza altri pesi – disposta a farsi carico del solo Vangelo. Libera da ogni impaccio per portarlo a tutti. Libera anche da linguaggi imprigionanti che magari furono fecondi un giorno ma che oggi “più non comunicano”.

Lascia un commento