L’ECONOMIA NELLE PAROLE DEL PAPA Un gesuita argentino di nome Francesco

Scuole di formazione del Patriarcato di Venezia

Martedì 6 maggio 2014 – ore 20,30

 

Tratto l’argomento in quattro tempi: enuncio l’idea che mi ha guidato nel preparare questa lezione, ascoltiamo le parole del Papa come chiede il tema che mi è stato affidato, tento una sintesi del suo insegnamento e dell’attitudine con cui lo propone, indico – a chi voglia approfondire – i testi essenziali su cui studiare la materia.

 

  1. Un atteggiamento di denuncia più che di insegnamento

La predicazione di Papa Francesco in materia economica promette di risultare innovativa sia per i contenuti, sia per il linguaggio, sia – soprattutto – per la tonalità dominante dell’invettiva. Una predicazione nuova e forse anche destinata a risultare problematica sia per la ricezione all’interno della Chiesa sia per l’accoglienza da parte dell’opinione pubblica secolare e soprattutto da parte degli ambienti economici e finanziari internazionali. All’interno della Chiesa – e dell’ecumene cristiana – la problematicità di questa predicazione innovativa verrà posta in risalto nel confronto di metodo e di contenuto con i predecessori, che tendevano a proporre un insegnamento sistematico, una “dottrina”, mentre Francesco propone vie di “discernimento” esperienziale. All’esterno sarà accentuata dal conflitto con l’opinione pubblica delle società del benessere, opinione pubblica che ha già dimostrato di sopportare male le denunce e le accuse del Papa delle periferie.

Un elemento – questa nuova predicazione papale in materia economica – del passaggio che Francesco propone da un modello di Chiesa costituita a un modello di Chiesa in uscita missionaria, tesa all’incontro dei poveri e dei lontani. Personalmente sono felice della proposta di questo passaggio e considero provvidenziale la chiamata all’uscita. Ma prevedo conflitti, che si sono già manifestati con le accuse di marxismo, di terzomondismo e di incomprensione dell’economia dell’Occidente: le stesse che furono rivolte a Giovanni Paolo II dopo la pubblicazione della “Sollicitudo rei socialis” (1988) che egli poi contemperò e corresse con la “Centesimus annus” (1992). La “Sollicitudo”, la più personale tra le tre encicliche sociali di Giovanni Paolo II (oltre alle due nominate, va ricordata la “Laborem exercens”, che è del 1981), alzava un forte grido contro l’idolatria del denaro, in particolare al paragrafo 37: “Sotto certe decisioni, apparentemente ispirate solo dall’economia o dalla politica, si nascondono vere forme di idolatria: del denaro, dell’ideologia, della tecnologia”. La “Centesimus” trattava ampiamente della “positività del mercato e dell’impresa”, purchè orientati verso il bene comune”. Oggi come allora le maggiori opposizioni al grido dei Papi alzato in nome dei poveri vengono dagli Usa, ma prevedo che Francesco non correggerà la sua predicazione per tali opposizioni e che il conflitto crescerà negli anni di questo pontificato. Giovanni Paolo II tendeva la mano al Sud del mondo, Francesco parla a nome del Sud.

 

  1. Ascoltiamo le parole di Papa Francesco sull’economia

Sul tema dei poveri e della giustizia sociale la predicazione di Francesco è quotidiana ed è rivolta a ogni tipo d’interlocutore. Più raramente affronta il tema specifico dell’economia, delle questioni e delle teorie economiche. Dobbiamo dunque estrarre il suo insegnamento “economico” da riferimenti indiretti, contenuti nella più ampia predicazione sociale, consistente prevalentemente in appelli.

Esemplifico quella predicazione con tre richiami di crescente forza, dove i destinatari dell’appello più vibrato sono gli Stati, mentre l’appello meno gridato ha per primi destinatari gli stessi poveri. Partiamo da questi, e si tratta degli abitanti della favela Varginha di Rio de Janeiro, ai quali il Papa fa visita il 24 luglio 2013: “Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo […]. Vorrei dirvi anche che la Chiesa, ‘avvocata della giustizia e difensore dei poveri contro le disuguaglianze sociali ed economiche intollerabili che gridano al cielo’ (documento di Aparecida 395), desidera offrire la sua collaborazione a ogni iniziativa che possa significare un vero sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

Un innalzamento del tono di denuncia l’abbiamo in un’omelia del 1° maggio 2013 al Santa Marta: “Quando la società è organizzata in modo che non tutti hanno la possibilità di lavorare, quella società non va bene: non è giusta! Non pagare il giusto, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell’impresa: quello va contro Dio […]. Oggi ci fa bene riascoltare la voce di Dio, quando si rivolgeva a Caino dicendogli: ‘dov’è tuo fratello?’ Oggi, invece, sentiamo questa voce: dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?” Qui il tono è più vibrato, si fa biblico. E sale ancora in questo discorso del 24 maggio 2013 alla plenaria del Consiglio per la pastorale dei migranti: “In un mondo nel quale si parla tanto dei diritti, sembra che l’unico che ha diritti sia il denaro. Cari fratelli e sorelle, noi viviamo in un mondo dove comanda il denaro. Noi viviamo in un mondo, in una cultura dove regna il feticismo dei soldi”. In questo terzo livello fa la sua comparsa la parola “vergogna” che ritroveremo più volte nelle invettive bergogliane, specie in quelle dettate dall’emozione del momento.

Infine il terzo livello, in un discorso del 16 maggio 2013 a un gruppo di ambasciatori: “Una delle cause di questa situazione, a mio parere, sta nel rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società. Così la crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune”. La denuncia è mirata e il linguaggio è inventivo, intenzionalmente urticante, oltre che biblico: “Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole. Inoltre, l’indebitamento e il credito allontanano i paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere d’acquisto reale”.

Quanto alle grida di Francesco in nome della giustizia, ne ricorderò due legate a Lampedusa e ai suoi naufragi. In visita all’isola, l’8 luglio 2013, esclama: “Chi ha pianto oggi nel mondo?” Il secondo grido è stato quello del richiamo alla “vergogna” quando un nuovo e più grave naufragio si è verificato in quelle stesse acque all’inizio di ottobre, con più di 300 morti: “Parlando di pace, parlando della inumana crisi economica mondiale, che è un sintomo grave della mancanza di rispetto per l’uomo, non posso non ricordare con grande dolore le numerose vittime dell’ennesimo tragico naufragio avvenuto oggi al largo di Lampedusa. Mi viene la parola vergogna! E’ una vergogna!” (all’incontro per il 50° della Pacem in terris, 3 ottobre 2013).

 

  1. Sintesi provvisoria della sua predicazione

Fino ad oggi Francesco non ha svolto una trattazione sistematica della sua predicazione in materia economica, che abbiamo descritto come improntata alla denuncia e all’invettiva e che trova espressione in interventi occasionali. L’unico testo in cui la trattazione si fa ampia e tende a superare il taglio occasionale è l’esortazione “Evangelii gaudium” (novembre 2013). Attingendo a essa propongo quattro suoi “no” a sintesi provvisoria della sua predicazione. Il fatto che si tratti di “no”, cioè di affermazioni trancianti e in negativo, conferma l’intenzione di denuncia e di invettiva che dicevo. Ma va detto che nella stessa esortazione il Papa chiarisce ch’egli dà per “presupposte” le “diverse analisi” che hanno offerto “gli altri documenti del magistero universale, così come quelle degli episcopati regionali e nazionali” (n. 52) e precisa che il suo insegnamento “va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico” (51). Un aiuto a vedere e a decidere dunque, non una dottrina o un metodo atti a interpretare e definire.

a. No a un’economia dell’esclusione e della inequità. “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide” (53). Attenzione: “inequità” è una parola nuova in italiano, che Papa Bergoglio ci regala come un calco, o una trasposizione dalla parola spagnola “inequidad”. Ha una sua efficacia, che mette insieme “disuguaglianza” e “iniquità”, venendo ad assumere nella nostra lingua il senso di “disuguaglianza iniqua”.

b. No alla nuova idolatria del denaro, che comporta “l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria” e nega “il diritto di controllo degli stati” (56). “Una delle cause di questa situazione [di esclusione e inequità] si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano” (55).

c. No a un denaro che governa invece di servire: qui il “no” di protesta dà luogo a un appello ai politici perché promuovano “una riforma finanziaria che non ignori l’etica”, la quale riforma “richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare!” (57 e 58).

d. No all’inequità che genera violenza: e qui siamo a un nuovo appello ai politici e alle riforme. Si tratta di “risolvere le cause strutturali della povertà” (59s e 202). Ecco un brano che conviene memorizzare come una buona sintesi del pensiero dominante del Papa dei poveri: “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali” (202). Un’indicazione di principio su come procedere il Papa la fornisce poco più avanti: “Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo” (204). Qualche pagina dopo arriva un’indicazione chiave, che richiama la sollecitazione per un governo mondiale dell’economia che è ritornante nel magistero sociale dei Papi dalla “Pacem in terris” (1963) alla “Caritas in veritate” (2009: vedi in particolare i nn. 57 e 67): “Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi” (2006).

 

  1. Conclusione e indicazione di testi per lo studio

Dicevo all’inizio che la predicazione di Papa Bergoglio in materia economica si presenta più come una provocazione al “discernimento evangelico” che come una “dottrina sociale”. Sulla base di quanto citato e argomentato fin qui, credo di poter concludere che si tratta di una predicazione tendente a motivare scelte di vita più che a fornire piattaforme operative e programmi politici.

Essa si articola sia in esortazioni di una qualche ampiezza, sia in richiami occasionali ed è necessaria una lettura integrata dei due generi, o filoni. Anche gli appelli per situazioni particolari vanno presi in esame, essendo portatori spesso di parole forti tendenti a provocare prese di posizione, o decisioni. Segnalerò per questa fattispecie l’appello per gli operai di Piombino formulato mercoledì 23 aprile, nel quale così Francesco apostrofa le autorità coinvolte: “Per favore aprite gli occhi e non rimanete con le braccia incrociate”.

Per tali uscite è frequente l’accusa di populismo, che il Papa respinge con decisione: “Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile” (“Evangelii gaudium” 204). Ma più convincente è quanto Francesco scrive in positivo sulle risorse dell’attività economica, in particolare nella prefazione a un volume del cardinale Mueller che è del febbraio scorso (vedi la citazione completa nell’ultimo dei cinque rimandi testuali che concludono questo testo): “Quando il potere economico è uno strumento che produce tesori che si tengono solo per sé, nascondendoli agli altri, esso produce iniquità, perde la sua originaria valenza positiva […]. Invece, quando i beni di cui si dispone sono utilizzati non solo per i propri bisogni, essi diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso. Infatti vi è un originale legame tra profitto e solidarietà, una circolarità feconda fra guadagno e dono, che il peccato tende a spezzare e offuscare. Compito dei cristiani è riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà”. E’ un testo raro, da tenere in conto, per evitare di dare un’interpretazione scorciata e inadeguata della predicazione del Papa argentino.

Ecco – in finale – i cinque testi di Francesco che la mia ricognizione riconosce come maggiori per una considerazione adeguata della sua predicazione in materia economica. Li elenco in ordine cronologico, facendo eccezione per l’esortazione “Evangelii gaudium” che metto ad apertura per segnalare la sua predominanza su tutti.

Evangelii Gaudium, esortazione apostolica pubblicata il 24 novembre 2013: dedica a questioni economiche quattro titoletti nel capitolo 2 (No a un’economia dell’esclusione 53-54, No alla nuova idolatria del denaro 55-56, No a un denaro che governa invece di servire 57-58, No all’inequità che genera violenza 59-60); e un quinto nel capitolo 4 (Economia e distribuzione delle entrate 202-208) per un totale di 15 paragrafi.

Discorso agli ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo, Botswana, 16 maggio 2013.

Messaggio per la 47.ma Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2014 sul tema: “Fraternità, fondamento e via per la pace”, pubblicato il 12 dicembre 2013.

Messaggio al Prof. Klaus Schwab del World Economic Forum, per il 44° incontro annuale a Davos-Klosters (Svizzera), pubblicato il 21 gennaio 2014.

La ricchezza è un bene se aiuta gli altri, prefazione di Papa Francesco al volume del cardinale Mueller “Povera per i poveri. La missione della Chiesa”, Lev 2014, pp. 312, anticipata dal “Corriere della Sera” del 19 febbraio 2014.

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