Chiesa e media: un rapporto problematico

Sul viaggio di Benedetto XVI in Africa (17-23 marzo 2009)

La missione africana di Papa Benedetto – che è durata una settimana: dal 17 al 23 marzo – gli ha guadagnato due volte le prime pagine dei media internazionali, con titoli sui preservativi in funzione anti-aids e sull’aborto ma non ha mai ottenuto che l’attenzione del mondo fosse data ai mali dell’Africa e agli appelli papali per il riscatto di quei popoli. Gli appelli c’erano, come c’era l’Africa con folle che sono arrivate al milione della messa di Luanda, ma i responsabili della grande comunicazione hanno scelto di tenerli bassi in coerenza con due convincimenti pigri e partigiani: che l’Africa sia notizia triste e che il Papa interessi quando confligge con la libertà sessuale dell’Occidente ma non quando ne condanna la “cupidigia” che affama i poveri del mondo.

Qui ricostruisco i fatti mediatici che hanno accompagnato la missione del Papa e ne tento un’interpretazione in riferimento alla sostanziale indisponibilità del mondo del benessere ad ascoltare il messaggio cristiano. La conclusione è esigente ma non è pessimistica: i media costituiscono una spina nella carne per i portatori del messaggio cristiano, ma di essi non bisogna avere paura e forse anche da questo incidente – come da altri precedenti, sempre riguardanti l’informazione sul Papa – può venire un qualche vantaggio di chiarificazione nel rapporto Chiesa-mondo. Quanto meno è apparsa evidente a tutti la condizione di profeta disarmato con cui Papa Benedetto si è fatto avvocato dell’Africa. I media e i governi europei un poco si sono resi conto di aver ecceduto contro quell’uomo generoso. Gli uomini di Chiesa hanno forse imparato che devono farsi astuti restando candidi, perché c’è un mondo in agguato che li interroga per poterli accusare, come capitava a Gesù.

Il quadro dei fatti e dei miraggi

Benedetto è andato nel Camerun e in Angola anche perché – come ha detto all’angelus del 22 marzo – “gli uomini e le donne di ogni parte del mondo volgano i loro occhi all’Africa” così “assetata di giustizia e di pace”. Ma questo risultato non l’ha ottenuto.

Si può dire che ogni giorno il Papa abbia parlato dei cristiani che laggiù si fanno alleati dei più derelitti. Ha ricordato “la scelta dei poveri” compiuta dal Sinodo africano del 1994 ed ha affermato con solennità a Luanda – davanti alle autorità dello Stato e al Corpo diplomatico – che “la Chiesa la troverete sempre accanto ai più poveri di questo continente”. Alla comunità internazionale ha posto come “urgente” questo insieme di interventi: “coordinamento degli sforzi per affrontare la questione dei cambiamenti climatici, piena e giusta realizzazione degli impegni per lo sviluppo indicati dal Doha round, realizzazione della promessa dei Paesi sviluppati di destinare lo 0,7 % del loro PIL agli aiuti per lo sviluppo”.

Oltre alle parole così esigenti del Papa, i media disponevano del documento preparatorio del Sinodo africano che si terrà in Vaticano il prossimo ottobre (pone a programma della Chiesa africana “la riconciliazione, la giustizia e la pace”), che Benedetto ha consegnato ai vescovi giovedì 19 a Yaoundè e nel quale si incontra questa denuncia delle multinazionali: “Continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani. Recano danno all’ambiente e deturpano il creato che ispira la nostra pace e il nostro benessere, e con cui le popolazioni vivono in armonia“.

Rilevante è stato anche l’appoggio dato dal Papa agli episcopati nella loro azione di denuncia della corruzione dei governanti: “Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio” ha detto il primo giorno arrivando in Camerun. In quella stessa occasione ha pronunciato parole che dovrebbero inquietarci, se avessimo il cuore per udirle: che oggi “l’Africa soffre sproporzionalmente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà e della malattia” e ciò avviene anche a motivo dello “scompiglio finanziario” che ha la sua origine e i suoi responsabili nei paesi del benessere.

Altrettanto forti sono stati i moniti che il Papa ha rivolto agli africani, in particolare nell’omelia di domenica 22 a Luanda, quando ha tracciato questa elencazione biblica dei mali che gli africani infliggono a se stessi: “Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta“.

Essendo stato 16 volte in Africa con Papa Wojtyla, credo di poter affermare che di più Benedetto XVI non poteva dire. Il Papa era salutato per strada e accolto a ogni appuntamento da grandi folle, povere ma festanti e già questo fatto ci sarebbe stato di aiuto, se avessimo saputo coglierlo. E avremmo avuto l’opportunità di apprendere dalle parole del Papa e dei suoi ospiti aspetti importanti dell’azione della Chiesa che in quel continente è in prodigiosa crescita: la sua convivenza con l’Islam, la sua lotta allo sfruttamento dell’infanzia che laggiù ha dimensioni spaventose, il suo contributo al riscatto della donna, il suo contrasto a fenomeni crudeli di stregoneria e alle lotte tribali.

Ma i media del Nord del mondo hanno oscurato tutto questo – si direbbe – preventivamente, incentrando l’attenzione sulla frase detta da Benedetto in aereo contro l’idea che si possa “superare” il flagello dell’Aids con la “distribuzione di preservativi”: per due giorni e mezzo i giornali e i telegiornali hanno titolato su queste parole, forzandone l’interpretazione fino a farne la bandiera di una Chiesa cattolica oscurantista da additare come il vero ostacolo al contenimento della terribile pandemia.

Le parole del Papa e quelle del portavoce

Ma non era quello il senso delle parole del Papa, che da intellettuale schietto qual è ha usato nella risposta la parola “preservativi” che il giornalista Philippe Visseyrias di France 2 non aveva pronunciato nella domanda.

Questa era stata la domanda: “Santità, la posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro l’Aids viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema durante il viaggio?” E questa la risposta: “Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno“.

A suo modo è una risposta sapiente. Forse era possibile una formulazione più abile, o più mediaticamente avvertita – e qualche idea in tale direzione la incontreremo strada facendo – ma certo non possiamo dire che quella risposta sia stata data senza consapevolezza del rischio. Scagli la prima pietra chi mai nel mondo d’oggi abbia saputo dire in campo aperto qualcosa di cristiano che soltanto sfiorasse la sfera della sessualità e non sia andato incontro all’irrisione.

Come osservò all’indomani il quotidiano francese La Coix il Papa non ha avuto “paura di affrontare il sarcasmo e le condanne”. Aldo Maria Valli sul quotidiano Europa del 19 marzo ha rilevato che “Benedetto XVI è stato coraggioso quando ha usato la parola preservativo. Coraggioso e forse anche un po’ troppo fiducioso, ma l’ha fatto, dimostrando di non averne paura”. Condivido e aggiungo che egli non teme il conflitto, quando lo reputa necessario, avendo fiducia in ciò che predica.

Di fronte allo scandalo menato dai media, il portavoce vaticano il 18 marzo ha dato questa interpretazione autentica delle parole del Papa: “Il Santo Padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’Aids: primo, con l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità e con il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia; due: con la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’Aids e nel metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative ed istituzioni sanitarie; tre: con l’assistenza umana e spirituale dei malati di Aids come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa. Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’Aids e tutelare la vita umana“.

La dichiarazione è importante per collocare nella giusta prospettiva la battuta del Papa, a correzione di chi ci aveva visto una condanna, un ostracismo, un anatema nei confronti della “protezione” che può venire dal preservativo.

Ma forse era tardi. Nel frattempo, inoltre, si erano verificati altri pasticci, non nuovi neanche questi, che avevano confermato i media nella giustezza del loro ingiusto accanimento: mi riferisco alle correzioni apportate dai “funzionari” della Segreteria di Stato alle parole del Papa nella prima versione ufficiale di esse, venuta anch’essa il giorno 18. Le parole “ma anzi aumenta il problema” erano diventate “il rischio è di aumentare il problema”. La parola “soldi” era diventata “slogan pubblicitari”. In un primo momento era stata corretta anche la parola “preservativi”, trasformata nel più asettico “profilattici”. I media – stavolta doverosamente – hanno denunciato questi ritocchi e lo staff vaticano ha fatto marcia indietro.

Spiegherà il padre Federico Lombardi – portavoce vaticano – in un’intervista che “un funzionario in buonafede ha cercato di rendere le parole del Papa in un italiano migliore, una cosa che si fa spesso nelle frasi improvvisate del Papa“. So bene che si fa spesso e lo facevano anche con gli altri papi, compresi quelli italiani, ma è sbagliato e non lo dico dal punto di vista “vaticano”, chè non ne ho competenza, ma da uomo dei media: essi giustamente non tollerano aggiustamenti.

Lo tsunami mediatico del 18 marzo

Ecco una carellata sui titoli dei quotidiani italiani del 18 marzo. Il Corriere della Sera: “Papa in Africa: Aids, i preservativi non servono”. “Condom inutili contro l’aids. Benedetto XVI: I preservativi fanno aumentare il problema. Cure gratis per tutti” è la titolazione della Stampa.

La Repubblica è più aggressiva: “Contro l’Aids no ai preservativi. Preghiera e astinenza ma le cure siano gratis”. “Il tabù del Pontefice” è intitolato un commento di Adriano Prosperi: “Non è forse vero che quella barriera meccanica tutela le donne e può impedire la trasmissione del virus? E dunque perché ostinarsi a proibirne l’uso?”

“La ricetta di Benedetto XVI contro l’Aids in Africa: no al preservativo” è il titolo del Manifesto: “Benedetto XVI ha pensato bene di cominciare il suo viaggio con un violento attacco contro l’uso del preservativo”.

Il Messaggero in prima pagina è pro Benedetto. “Il Papa: Cure gratis per i malati di Aids”. Ma all’interno è allineato al grido di protesta: “Papa in Africa: affondo sull’Aids. Cure gratis, inutili i preservativi. Castità e sesso responsabile per frenare l’epidemia”.

Anche Liberazione ha un titolo bilanciato: “Il Papa dice no al condom poi chiede cure gratis in Africa”. Ma ci pensa il commento di Vittorio Agnoletto – intitolato “L’Aids, il papa e il disprezzo per la vita” – a sbilanciare: “Le parole di Papa Ratzinger risultano offensive se pensiamo che le ha pronunciate mentre era in viaggio verso l’Africa”.

Togato come sempre Il Sole 24 ore: “Il Papa: non si combatte l’Aids con i preservativi”. E togata per una volta anche l’Unità: “Il Papa in Africa: non si batte l’Aids con il preservativo”. Ma un pezzo di accompagnamento subito ci disillude: “Il Pontefice parla di ideali ma la realtà è un’altra cosa”.

“L’ombra della Chiesa”, “La Chiesa immobile”, “Il Pontefice condanna a morte tanti africani” sono i titoli di articoli che appaiono il giorno dopo, 19 marzo, su La Repubblica, La Stampa, Il Manifesto. A parte le testate cattoliche, sono pochi i quotidiani che abbozzano una qualche difesa del Papa. Il Foglio, Libero, Il Giornale ed Europa hanno questi titoli, tra il 19 e il 20 marzo: “L’aggressione a Benedetto XVI”, “Chi critica così il Vaticano offende solo la ragione”, “La salvezza non verrà dai preservativi”, “Il preservativo non è tutto”.

La stampa estera ha usato toni anche più trancianti. Mi limito a segnalare Le Monde per l’Europa: “Nessuno ritiene che il preservativo sia la soluzione del problema, ma affermare che possa aggravare la pandemia è gravissimo e irresponsabile”; e il New York Times per gli Usa: “Il Papa si è messo tristemente dalla parte del torto”.

Governi, parlamenti e organismi internazionali

Lo tsunami mediatico ne ha provocato uno politico. Per il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner il Papa “rivela poca comprensione della reale situazione dell’Africa”. Eric Chevallier, portavoce del Quai d’Orsay: “Le sue parole rischiano di mettere in pericolo le politiche di sanità pubblica e gli imperativi di protezione della vita umana”.

Il ministro della Sanità belga, Laurette Onkelinx, ritiene che esse “potrebbero distruggere anni di prevenzione e informazione e mettere in pericolo molte vite umane”. In Germania i ministri della Sanità e della Cooperazione dichiarano congiuntamente che “i preservativi salvano la vita tanto in Europa quanto in altri continenti”. Il governo spagnolo annuncia che invierà in Africa “un milione di condom per combattere l’Aids”. Il più alto funzionario della Sanità in Spagna si dice convinto che il Papa è “mal consigliato” e lo invita a “rivedere la sua posizione”.

Il Primo ministro del Lussemburgo, il popolare Jean-Claude Juncker, si dichiara “allarmato”. Un portavoce dell’Unione Europea – Louis Michel – dichiara che la Commissione “sostiene da sempre l’uso dei preservativi: la loro funzione contro la diffusione dell’Hiv è nota”. “Profondamente indignato” è il professor Michel Kazatchkine, direttore esecutivo del Fondo mondiale per la lotta all’Aids che chiede al papa di “ritirare le sue affermazioni” perché sono “inaccettabili”.

La reazione istituzionale più avversa al Papa viene il 2 aprile dal Parlamento belga: con 95 voti a favore, 18 contrari e 7 astensioni,  approva una mozione che “sollecita l’esecutivo a condannare l’inaccettabile presa di posizione del Papa e a presentare una protesta formale alla Santa Sede”.  Il premier Herman Van Rompuy si era impegnato a dare esecuzione alla mozione a condizione che la qualifica di “pericolosa e irresponsabile” riferita alla posizione di Benedetto fosse cambiata in “inaccettabile”.  Così l’Osservatore Romano del 3 aprile ha commentato quel voto: L’ovvio e dovuto rispetto per un’istituzione di rappresentanza democratica non deve far dimenticare quello altrettanto doveroso nei confronti della libertà di espressione di un’autorità religiosa alla quale fanno riferimento oltre un miliardo di donne e di uomini in tutto il mondo, soprattutto quando le sue affermazioni non risultano comprese nella loro intenzione“.

Dicevo sopra che forse i governi e i media si sono resi conto, passata la tempesta, d’aver esagerato. Tra le diverse riprove la più significativa è venuta dalla Francia, che aveva prodotto il maggior chiasso antipapista. Le Monde del 10 aprile ospitava due testi intitolati “Le discours de Benoit XVI sur le préservatif est tout simplement réaliste” e “Qu’on cesse de déformer le propos du Pape”. Il 29 marzo il ministro dell’Istruzione, Xavier Darcos, era tornato a polemizzare con le parole del Papa ma aveva riconosciuto che “esse sono state un poco travisate”.

“Chi c’è dietro”: tutti e nessuno

Per il cardinale André Vingt-Trois, presidente della Conferenza episcopale francese, si è trattato di un “uragano mediatico” montato “dall’estero” – rispetto ai Paesi africani visitati dal Papa – e che ha “occultato il resto degli interventi di Benedetto XVI”, provocando la protesta degli africani: “vescovi, uomini di Stato e semplici cittadini” (dichiarazione del 31 marzo). Le proteste dei vescovi africani le possiamo segnalare con la nota approvata l’8 aprile dalla Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale francofona: “Si è trattato di una deformazione della verità che discredita professionalmente questi comunicatori [il riferimento è soprattutto ai media francesi], tra cui si ritrovano talvolta anche degli africani che senza vergogna pongono la loro firma al soldo della ricchezza sporca di chi ha spogliato i loro popoli”.

In Italia in campo cattolico la strumentalità del polverone mediatico è stata rilevata da tutti: dal missionario comboniano Giulio Albanese al cardinale Bagnasco. “Lo scandalo sulle parole circa i profilattici sono servite a oscurare alcuni messaggi forti che il Papa ha lanciato, con cui ha messo in discussione le azioni sia delle leadership africane che dei paesi europei” ha detto Albanese il 30 marzo alla rivista Tempi.  Lo stesso settimanale nello stesso numero riportava queste parole del cardinale Angelo Bagnasco: “Il Papa ha messo il dito su argomenti di estrema importanza che vanno a toccare interessi economici e politici rilevanti. Per questo, certi ambiti altolocati reagiscono con astio e irrisione”. Famiglia cristiana del 24 marzo si era chiesta: “Davvero non c’è dietro la sollecitazione delle multinazionali del condom?”

Con una dichiarazione del 3 aprile il cardinale Paul Josef Cordes, tedesco, ipotizza che a favorire lo scatenamento dei governi possa aver contribuito anche la nazionalità del Papa: “Giovanni Paolo II fu molto attaccato ma mai dai governi. Mi sembra che questa è la prima volta. Forse come polacco Giovanni Paolo II aveva maggiore protezione a livello dei governi a causa della sua provenienza”.

Per Giuliano Ferrara l’atteggiamento dei media e dei governi verso Papa Benedetto è “assai diverso” da quello tenuto verso il Papa polacco: “Quasi per contrappasso e ritorsione verso un quarto di secolo in cui il mondo ha subito il Papa, oggi si scatena la grande voglia di far subire al Papa la dittatura ideale del mondo postmoderno e del suo relativismo etico” (Panorama, 27 marzo).

Personalmente insisterei sulla continuità di trattamento da parte del “mondo” verso i Papi e non mi sento motivato a cercare ragioni particolari a spiegazione dell’accaduto. Mi ritrovo nelle parole dette al Foglio il 21 marzo dal critico televisivo Aldo Grasso: “Non c’è, credo, un complotto mediatico dietro al modo in cui viene trattato il Papa. Ma c’è una forza d’inerzia dei media che trovano un bersaglio comodo da colpire. E quando i media costruiscono uno schema di rappresentazione, poi è difficilissimo ribaltarlo”.

Trovo buono anche uno spunto di Francesco Paolo Casavola che ha puntato il dito sulla semplificazione regressiva della polemica pubblica nell’era della televisione: “Che si tratti di portavoce di governi o di privati con particolare autorevolezza professionale o scientifica, quando si debba esprimere dissenso dal Papa di Roma, si censurano in forma assiometrica e senza appello alcune frasi, che postulano ben più complessi e argomentati contesti” (Il Mattino, 26 marzo).

Specificità comunicativa ratyzingeriana

Un commentatore statunitense di fatti vaticani, John L. Allen, bilancia le responsabilità tra il Papa e i media: “Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a tutto preservativo, per tutto il tempo, invece in Africa la visita del Papa è stata un successo […] Questo diversa percezione non è esclusivamente né primariamente colpa dei media […] Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio che Benedetto stava portando all’Africa. Non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina […] Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: ‘La Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne’. Sarebbe probabilmente finita con: ‘Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi’, senza sollevare nessun putiferio”.

Dal punto di vista fattuale apprezzo l’analisi del collega Allen ma apprezzo anche la schiettezza di Papa Benedetto e non l’attribuisco a ingenuità ma a volontà di chiarezza e a un’attitudine che mette in conto il conflitto, già segnalata. In questa lettura mi incontro con quanto detto il 26 febbraio da Giampaolo Pansa a Il Sussidiario: “Tutto dipende dal fatto che il Papa è una persona franca, che parla con chiarezza e proprio per questo motivo non mi stupisco che poi susciti delle reazioni. E mi sembra anche giusto che succeda e i cattolici devono evitare di scandalizzarsi, dicendo che il Papa è stato offeso”.

E’ mia convinzione che convenga fare credito alla completa avvertenza delle questioni da parte di Papa Benedetto e che sia malposta la fatica di tanti che si ingegnano ad analizzare il malfunzionamento della macchina comunicativa vaticana. Per esempio si afferma che in passato non si ebbero “mai” tali “incidenti” di comunicazione: e non è affatto vero! Che diremmo della strategia informativa regnante Paolo VI, a proposito, poniamo, dell’Humanae Vitae, che fu pubblicata a fine luglio sperando nella disattenzione dei media, i quali invece non avendo altro da scrivere praticamente sbranarono il papa? O del modo in cui furono “gestiti” sotto Giovanni Paolo i tre anni del caso Ior-Ambrosiano? O i primi segni del Parkinson, lungo gli anni 1993-1996? Da tecnico della materia trovo una sola specificità comunicativa di questo pontificato rispetto al precedente, che però non è detto che vada sempre letta negativamente e proprio ai fini della comunicazione: abbiamo a che fare con un papa solista, che ha pur sempre una Curia – anzi: la stessa Curia di prima – ma non ha più quella specie di corte che avevano i papi precedenti e che intralciava e condizionava, ma anche aiutava a prevedere, predisporre e accompagnare gli atti papali. Direi che lo sbocco a delta della comunicazione mediatica che si attuava con papa Wojtyla aiutava a predisporre il terreno per una ricezione articolata e relativamente flessibile delle grandi iniziative da parte degli operatori dei media, mentre lo sbocco a estuario che è proprio di papa Ratzinger predispone a esiti senza rete: o va molto bene grazie agli effetti sorpresa e univocità, o va molto male perché la mancanza di concertazione impedisce di tener conto di eventuali controindicazioni.

Mi conforta in questa lettura una riflessione svolta dal padre Lombardi in un’intervista del 7 aprile all’agenzia Zenit, in risposta alla domanda se il Papa continuerà a conversare con i giornalisti durante i viaggi: “Vedremo, penso di sì. In ogni situazione ci sono fraintendimenti o problemi. Se si teme questo, bisognerebbe restare a Roma e non dire nulla“. “Penso anche – ha continuato – che si debba avere fiducia nel fatto che si sta facendo la cosa giusta, con un buon fine, perché al contrario si resta bloccati. Il Papa ha un messaggio molto chiaro di spiritualità, di pace e riconciliazione che cerca di trasmettere anche quando è complicato“. Lombardi aggiungeva che il Papa “non era particolarmente infastidito dal clamore, e ha alluso alle altre volte in cui molti media occidentali si sono aggrappati a qualche aspetto della dottrina della Chiesa per speculare su di esso”.

Luigi Accattoli
Da La Rivista del Clero italiano 4/2009, pp. 293-303

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