Con Francesco si torna a Montini?

Convegno della Facoltà di Scienze Politiche – La Sapienza – Roma 

organizzato dal professore Stefano Ceccanti
su “Paolo VI, il Concilio Vaticano II e la terza ondata democratica”

Sala delle Lauree – Mercoledì 15 ottobre 2014 – ore 15.00

Tolgo il punto interrogativo al tema che mi è stato assegnato e modifico l’affermazione: Francesco non torna a Montini ma a lui si richiama per aspetti centrali della propria azione e predicazione.

Francesco è novità e va decisamente al nuovo senza ritorni programmatici a nessuno dei predecessori “conciliari” – e questo sia come figura papale, sia come predicazione, sia come governo. Ma è vero che tra i predecessori conciliari quello a cui si richiama di più è Paolo VI. Anche più che a Giovanni XXIII.

Francesco ricorda spesso Montini “con affetto e con ammirazione” e lo qualifica abitualmente come “il grande Paolo VI”. Ne ha favorito la beatificazione, ne richiama come “insuperato” l’insegnamento sull’evangelizzazione e sul “servizio all’uomo”, ne riprende il programma riformatore.

Bisogna dire che un Papa si richiama sempre ai predecessori e Francesco in questo non fa eccezione. Oggi poi vige una regola non scritta – che io invero non apprezzo – che vuole che ogni Papa si faccia proclamatore della santità dei predecessori. E vediamo che Francesco non resta indietro in questa corsa, tant’è che ha appena proclamato santi Roncalli e Wojtyla (lo scorso 27 aprile) e domenica 19 ottobre proclamerà beato Montini.

Un Papa, dicevo, si richiama sempre ai predecessori ciò è di rito. Conviene dunque individuare e distinguere le ragioni per cui si richiama all’uno o all’altro.

Francesco si richiama a Giovanni XXIII come a un uomo docile al soffio dello Spirito e che ha saputo essere “audace” nell’ascoltarlo.

La sua “grammatica della semplicità” si specchia in quella di Giovanni Paolo I.

Richiama con la sua azione quella di missionario del mondo e di predicatore della pace che fu propria di Giovanni Paolo II.

Il richiamo a Benedetto XVI è sul piano della teologia dell’amore: mettendo la sua parola tematica “misericordia” al posto di quella tematica di Papa Ratzinger che era “amore”, troviamo frequenti risonanze.

Ma direi che tra questi Papi ultimi, il richiamo di Bergoglio a Montini è più concreto e operativo rispetto a ogni altro e non è solo simbolico, linguistico o di immagine: riguarda i contenuti della predicazione e le modalità del governo.

In particolare segnalo due richiami tematici e uno fattuale. I due tematici riguardano l’evangelizzazione e il servizio all’uomo, quello fattuale e di governo riguarda le riforme, a partire da quella del Sinodo che si sta svolgendo in queste settimane sotto i nostri occhi.

Parlando a un pellegrinaggio bresciano nel 50° dell’elezione di Papa Montini Francesco afferma il 22 giugno 2013 che l’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” (pubblicata da Paolo VI nel 1975) “è il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi”; e ne segnala l’invito ad “annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, con misericordia, con pazienza, con coraggio, con gioia”. In quella stessa occasione parla di Montini come di un maestro insuperato dell’attenzione per l’uomo contemporaneo” e per la realizzazione di una Chiesa che “serve l’uomo, ama l’uomo, crede nell’uomo”.

La “Evangelii nuntiandi” Francesco la cita 13 volte nella “Evangelii gaudium” e l’aveva evocata nel famoso intervento in congregazione generale prima del Conclave che, si dice, gli avrebbe aperto la via all’elezione: “Pensando al prossimo Papa, c’è bisogno di un uomo che aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso la periferia esistenziale dell’umanità, in modo da essere madre feconda della ‘dolce e confortante gioia di evangelizzare’”. Quest’ultima espressione è presa dal paragrafo 75 della “Evangelii nuntiandi” e da essa Francesco ricaverà il titolo della sua esortazione “Evangelii gaudium”.

In Paolo VI abbiamo il primato dell’evangelizzazione su ogni altro momento della vita della Chiesa. In Francesco abbiamo la priorità “paradigmatica” dell’uscita missionaria rispetto a ogni altra urgenza apostolica.

Quanto alle riforme e al governo, il richiamo è più diretto: Francesco riprende il programma riformatore che fu di Papa Montini, che Montini fermò nel biennio 1967-1968 temendo una divisione della compagine ecclesiale, e che ora Bergoglio riprende là dove Montini l’aveva fermato. Lo vediamo nel Sinodo di questi giorni: dalla prima assemblea – convocata da Paolo VI all’indomani del Vaticano II, nel 1967, in accoglimento di un voto conciliare – a quella del 2012, questo strumento principe della collegialità non evolve e resta sostanzialmente celebrativo; dopo 25 assemblee fotocopia, se così possiamo dire, eccoci ora alla 26ma che per prima segna una vera novità formale e pratica. E’ come se Montini – che pure aveva previsto un perfezionamento nel tempo dell’istituzione Sinodo: “successu temporis, perfectiorem usque formam assequi poterit” – avesse tenuto la prima assemblea e ora Francesco tenesse la seconda, dopo 47 anni, mezzo secolo, di apnea riformatrice. Lo stesso – io credo – si potrebbe dire per la riforma della Curia, delle finanze, del rapporto tra il Papa e gli episcopati.

Forse in epoca moderna nessun Papa è stato di insegnamento ai successori quanto Paolo VI, sia per quello che riguarda le linee di governo della Chiesa, sia per la definizione dell’immagine papale. Papa Luciani appena eletto ne ricordò la “cultura”, Giovanni Paolo II lo chiamò “padre e maestro”, Benedetto ha definito “quasi sovrumano” il suo “merito” nei riguardi del Vaticano II.

In nulla o quasi i successori hanno osato imboccare vie che fossero realmente nuove rispetto a quelle prima esplorate e poi battute da Papa Montini. Solo Francesco se ne distacca, sia nel governo sia nella definizione dell’immagine papale (dalle vesti all’appartamento). Ma anche il Papa argentino si fa discepolo del Papa bresciano e in ciò che più conta: cioè ponendolo a ispiratore della propria chiamata al governo collegiale, all’uscita missionaria e al servizio all’uomo.

Luigi Accattoli

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