La diplomazia pontificia sotto Giovanni Paolo II

A cura dell’Ambasciata d’Italia e dalla Nunziatura apostolica a Sofia
in occasione della pubblicazione del volume di Kiril Pl. Kartaloff
“Diplomazia pontificia. La Santa Sede nelle relazioni internazionali
durante il Pontificato di Giovanni Paolo II”

SOFIA – BULGARIA – Martedì 26 maggio – ore 18,00

Questo di Kiril Kartaloff è uno studio condotto con ampiezza di sguardo e con ottima documentazione. Per l’ampiezza dello sguardo basterà richiamare la prima parte, di inquadramento generale, sul Papa e sulla Chiesa cattolica. Per la puntualità della documentazione, fin nei dettagli minori, farò due esempi che mi hanno favorevolmente colpito.

Prendo il primo dalla nota 910 relativa al paragrafo dedicato all’Accordo fondamentale tra Santa Sede e Stato di Israele – nota n ella quale si ricorda che il sottosegretario ai Rapporti con gli Stati Claudio Maria Celli quando si reca presso il Ministero degli Affari Esteri israeliano, alla fine del 1993, per la firma dell’Accordo, “si presenta allo storico evento munito di una lettera di autorizzazione di Giovanni Paolo II: uno strappo alla consuetudine diplomatica che prevedeva solo l’autorizzazione della Segreteria di Stato”. Il dettaglio viene richiamato per segnalare la “solennità” che il Papa desidera conferire all’atto.

Il secondo esempio lo ricavo dalla nota 1012 relativa al paragrafo intitolato Dopo l’11 settembre 2001 – essa riporta il lungo elenco delle “personalità politiche” ricevute da GPII nel febbraio-marzo 2003 per fermare l’avvio della seconda guerra all’Iraq: e questo a segnalare lo straordinario impegno posto dal Papa, già indebolito dalla progressione del morbo di Parkinson, in quel tentativo di salvare l’umanità da un nuovo incendio bellico e dall’approfondimento del fossato di incomprensione già esistente tra mondo musulmano e Occidente “cristiano”.

Il paragrafo del capitolo quinto intitolato L’Ostpolitik della Santa Sede. Il caso della Bulgaria l’ho letto con grande interesse, stante la mia relativa ignoranza della materia. Ignoravo per esempio che il Patriarca Kiril nella seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso avesse proposto a Paolo VI “la convocazione di una conferenza ecumenica per la pace, da tenersi in Bulgaria, con la partecipazione del Papa, del Patriarca di Mosca e dei responsabili delle altre Chiese e religioni“.

Ho molto apprezzato la puntuale rilevazione – nel volume – degli aspetti nuovi dell’azione diplomatica della Santa Sede sotto il Pontificato di Papa Wojtyla, tutti rappresentati in dettaglio e con appropriata documentazione: la particolare enfasi posta sui “diritti umani”, la rilevanza “strategica” tra essi attribuita alla libertà religiosa, la dottrina dell’ingerenza umanitaria, la rilevanza del dialogo interreligioso nella promozione della pace, la decisione di agire contro ogni legittimazione religiosa dei conflitti armati e per il superamento dello strumento della guerra nella soluzione delle controversie internazionali, la tendenza personale di Giovanni Paolo a portare il suo messaggio di pace tra i popoli in guerra e nei luoghi della guerra.

Concordo con queste segnalazioni e oso aggiungere un’osservazione personale da biografo del Papa polacco e da cronista, oggi, del Papa tedesco. Questa osservazione: che probabilmente Paolo VI è da considerare l’ultimo Papa con una formazione diplomatica, come erano stati in prevalenza i Papi del secolo scorso; e portati dunque a considerare la via diplomatica come essenziale alla loro attività apostolica. Dopo di lui abbiamo già avuto tre elezioni papali che hanno chiamato a vescovi di Roma due “pastori” diocesani e un cardinale teologo tutti e tre privi di esperienza diplomatica. E’ ragionevole immaginare che così si continui in futuro.

Con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI abbiamo dei Papi che tendono a svolgere una propria presenza apostolica, ecumenica e missionaria a dimensione mondiale, fruendo certamente dell’aiuto che possono avere dalla diplomazia, ma riservandole un ruolo subordinato e secondario, totalmente strumentale. Questa riduzione del ruolo della diplomazia o – per meglio dire – questo mutamento della sua collocazione nell’immagine complessiva del Pontificato romano si lega paradossalmente all’ampliamento delle relazioni diplomatiche della Santa Sede che non solo – sotto Giovanni Paolo II – sono quasi raddoppiate (nei suoi 26 anni e mezzo le rappresentanze pontificie sono salite da 89 a 174), ma si sono estese a cancellerie che erano restate chiuse per secoli, o che sembravano ideologicamente inaccessibili: dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, da Israele alla Russia. Si può dunque prevedere che lo strumento diplomatico accompagnerà l’attività dei Papi anche in futuro, aiutandoli sempre meglio a raggiungere con il proprio messaggio ogni Paese, ma con un rilievo relativamente minore rispetto ad altri strumenti e ad altre vie – ecclesiali, ecumenici e interreligiosi – a loro disposizione.

Il lavoro che presentiamo ottimamente descrive questa situazione in mutamento, tra il già noto che espande fino a coprire la quasi totalità dei Paesi indipendenti che sono nel mondo, e il nuovo che si affaccia e si fa conoscere nella sovrana libertà con cui il Papa polacco si avvale dello strumento diplomatico nella sua azione apostolica.

A conclusione di queste mie considerazioni, segnalo con simpatia l’attenzione partecipe e cristianamente ispirata che questo studioso appartenente al mondo dell’Ortodossia ha saputo dedicare all’opera diplomatica di un Vescovo di Roma. Attenzione che si esprime in ogni parte del volume e che è affermata in pienezza nell’ultima pagina, a conclusione dell’intero percorso espositivo. Citato un testo di Giovanni Paolo rivolto al Corpo diplomatico il 13 gennaio 2001 ed esortante tutti i popoli a “formare una grande famiglia, felice di sapersi amata da un Dio che ci vuole fratelli”, Kartaloff chiude il suo lavoro con alcune righe che trovo di grande significato: “Queste parole del Papa sintetizzano il messaggio più profondo della diplomazia della sua Chiesa, l’invito all’umanità a essere solidale e a riconoscere in ogni uomo un fratello. Il richiamo evangelico appare centrale nella concezione diplomatica di Giovanni Paolo II“.

Quest’opera ci appare dunque ben qualificata e feconda anche in prospettiva ecumenica. Il popolo bulgaro e il Patriarcato di Bulgaria onorarono al meglio – nel maggio del 2002 – la prima visita in terra bulgara di un Papa di Roma: e io ne fui personalmente testimone come inviato del mio giornale, il “Corriere della Sera”. Mi piace guardare a quest’opera del giovane Kartaloff come a un frutto beneaugurante di quella viva presa di contatto.

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