Tre parole per ogni Papa da Giovanni a Benedetto

Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 17 dicembre a pagina 45 con il titolo “Il lessico dei Papi orma di un’epoca e di una teologia”

Aggiornamento è il logo della stagione conciliare e Giovanni XXIII l’usa già nel primissimo annuncio del Concilio, il 25 gennaio 1959. Dirà in più occasioni “aggiornamento” e “rinnovamento” per non dire “riforma”, parola tabù per il Papato a motivo di Lutero. Il cardinale Biffi criticherà il termine “aggiornamento” in quanto esprimerebbe adeguamento alla “giornata” cioè alla storia e alle sue mode.

Pace è parola chiave in Papa Roncalli: è nel titolo dell’enciclica “Pacem in terris” (1963), che fu come il suo testamento; ed era nel motto del suo stemma: “Oboedientia et pax” (Obbedienza e pace). Nell’enciclica affermò che è folle (“alienum a ratione”: estraneo alla ragione) il ricorso alla guerra in età nucleare. Concetto ripreso da Francesco ricordando il settembre scorso a Redipuglia il centenario dello scoppio del primo conflitto mondiale: “La guerra è folle”.

Poveri. “Scelta dei poveri” è il motto della cattolicità latino-americana, formulato dalla Conferenza di Medellin (1968) e che ha portato dopo 45 anni all’elezione del cardinale Bergoglio. Un motto epocale che trova un preannuncio in un radiomessaggio di Papa Roncalli a un mese dall’apertura del Vaticano II: “In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.

Dialogo. La parola “dialogo” risuona 6O volte nell’enciclica di Paolo VI “Ecclesiam suam” (1964): un eccesso che è indice di passione, in un uomo così misurato. Questa la citazione d’obbligo: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio”.

Sviluppo. Lo “sviluppo dei popoli” è un’altra bandiera di Paolo VI, a eco dell’espressione “popoli in via di sviluppo” che fu tipica della stagione della decolonizzazione. E’ nel titolo dell’enciclica “Populorum progressio” (“Lo sviluppo dei popoli”: 1967). In essa è il motto: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. E fu per questa via che il progresso vituperato dai Papi dell’Ottocento entrò nella lingua della Chiesa di Roma.

Gioia. Il mesto Paolo VI parlò molto della gioia e alla “gioia cristiana” dedicò uno degli ultimi testi maestri del suo Pontificato: l’esortazione “Gaudente in Domino” (1975), nella quale la parola gioia ricorre 135 volte.

Colleghi cardinali. I cardinali erano detti “principi della Chiesa” ma Papa Luciani, appena eletto, li chiamò “colleghi” e anche quella pagina fu girata: “Appena è cominciato il pericolo per me [d’essere eletto] i due colleghi che mi erano vicini mi hanno sussurrato parole di coraggio”.

Povero Cristo si è autodefinito Papa Luciani, il 30 agosto 1978: “Spero che i miei confratelli cardinali aiuteranno questo povero Cristo, Vicario di Cristo, a portare la croce”. I Papi nei secoli si erano definiti in tanti modi, mai arrivando a questo ottimo titolo.

Dio è madre. Era il 10 settembre 1978 quando Papa Luciani, all’Angelus, invocando la pace per il Medio Oriente disse di Dio che “ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra notte: è papà, più ancora è madre”. Del suo Pontificato effimero è restata questa durevole parola.

Mea culpa. Giovanni Paolo II è il Papa del mea culpa: sono un centinaio i testi in cui riconosce responsabilità storiche dei “figli della Chiesa” e una trentina quelli nei quali usa l’espressione “io chiedo perdono” o un suo equivalente. Galileo, l’antigiudaismo, i roghi dell’Inquisizione sono i casi più famosi.

Nudità. La “nudità dei progenitori”, cioè di Adamo ed Eva, che “erano nudi e non ne provavano vergogna”, è un argomento di cui Papa Wojtyla parla nelle catechesi del mercoledì per quattro anni, illustrando una “teologia del corpo” che resta come il suo insegnamento più nuovo. Parlando dei nudi della Sistina una volta disse: “Solo dinanzi agli occhi di Dio il corpo umano può rimanere nudo e conservare intatta la sua bellezza”.

Fratelli. I Papi chiamavano “fratelli” i vescovi e “diletti figli e figlie” i cattolici, ma Giovanni Paolo II ha dilatato la fratellanza: ha chiamato “fratelli maggiori” gli ebrei e “fratelli” (una decina di volte) i musulmani. Fratelli non in Cristo ma in Abramo, in quanto anche l’Islam si richiama ad Abramo, come i cristiani e – per primi – gli ebrei.

Riforma. Benedetto XVI non ha avuto timore a usare la parola “riforma”, per evitare la quale Giovanni XXIII era ricorso al sinonimo soft “aggiornamento”. Ha definito l’opera del Vaticano II come “riforma nella continuità”.

Continuità. Il Papa tedesco non ha avuto paura della riforma ma la sua parola preferita, quanto al governo della Chiesa, è stata “continuità”: nel magistrale discorso alla Curia del 22 dicembre 2005 – con il quale propose la formula “riforma nella continuità” – usò 5 volte la parola “riforma” e 12 volte la parola “continuità”. Egli dunque pendeva verso questa.

Teologia dell’amore. “Dio è tutto e solo amore” ha detto Papa Ratzinger il 7 giugno 2009. Aveva dedicato a questo argomento l’enciclica “Dio è amore” (“Deus Caritas Est”, 2006). Da teologo aveva scritto che l’amore è l’unico “principio trascendentale” del cristianesimo. La teologia dell’amore è la sua migliore eredità, che Francesco prolunga nella teologia della misericordia.

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