Donne e uomini nuovi in Cristo

Scuola formazione teologica valle del Serchia

Sassuolo 15 gennaio 2015 – ore 20,45 – Sala don Ercole – Oratorio cittadino

E’ ancora viva la capacità delle comunità cristiane di generare donne e uomini nuovi in Cristo? Si discute sull’attualità del cristianesimo nell’epoca post-moderna e sui segni di invecchiamento delle Chiese, in particolare in Europa. Ma stasera vorremmo andare più in profondità nell’indagine, mirando a verificare la capacità di incidenza della fede cristiana sul vissuto delle persone, indipendentemente dalla tenuta storica delle Chiese. Ebbene io credo si possa dire che quella capacità di incidenza risulta ampiamente attestata: questa è almeno la mia conclusione di operatore dell’informazione religiosa e di cercatore di storie di vita. Arduo sarà dire se essa sia oggi maggiore o minore rispetto a ieri e ancora più arduo interpretarne il riflesso sull’insieme della società. Ma la presenza tra noi delle vite convertite è abbondante oggi come sempre.

L’esperienza di giornalista – lo sono ormai da più quattro decenni – mi ha permesso di cogliere, attraverso i terminali della professione, così tanti segni cristiani tra la nostra gente che mi sono proposto di condurre alcune inchieste sboccate in sei volumi: “Cerco fatti di Vangelo” (Sei 1995), “Cento preghiere italiane di fine millennio” (La Locusta 1996), “Nuovi martiri” (San Paolo 2000), “Cerco fatti di Vangelo 2” e “Cerco fatti di Vangelo 3” (ambedue della EDB), “La strage di Farneta” (Rubbettino 2014: è la storia di dodici monaci certosini fucilati dai tedeschi nel 1944 perché ospitavano nella certosa un centinaio di rifugiati, ebrei e perseguitati politici). Oltre e prima delle pubblicazioni in volume conduco l’indagine con il mio blog – www.luigiaccattoli.it – che ha una pagina intitolata Cerco fatti di Vangelo.

Il motto che ho scelto vorrebbe comunicare in breve lo spirito dell’impresa che vado svolgendo: come uno dice “cerco pellicce usate”, o “cerco mobili d’epoca”, così io cerco “fatti di Vangelo”, cioè storie che attestino la possibilità di essere cristiani oggi nel nostro paese. Mi sono convinto negli anni che ci sono santi intorno a noi sconosciuti anche a se stessi, più numerosi di quanto immaginiamo e genuinamente evangelici, benché spesso non rispondenti alle “note” della santità canonica.

Ci sono insomma – oggi come sempre – anche gli irregolari e i clandestini della santità. Ma forse oggi più che in altre epoche possiamo prestare loro la giusta attenzione, sollecitati dalla crisi dei modelli canonici di santità e aiutati da un clima culturale che guarda con simpatia alle storie di vita. Si tratterà pur sempre di vite convertite, altrimenti non sarebbe lecito parlare di santità neanche in via di ipotesi; ma si tratterà per lo più di conversioni che non sempre comportano un completo adeguamento alle regole di vita e al linguaggio dell’ufficialità ecclesiastica.

Credo vi sia una particolare attualità del Vangelo nell’Italia di oggi – un’attualità riscontrabile nella cronaca d’ogni giorno, ma anche nella narrazione memorialistica, familiare e comunitaria di vite ordinarie. Ovvero di esperienze di vita ordinaria. Per fatti di Vangelo intendo le testimonianze cristiane più radicali e disinteressate, direttamente ispirate alle beatitudini e all’esempio di Gesù: la fede pagata con la vita, ogni forma di misericordia, la povertà scelta o accolta, la sofferenza redenta dalla grazia, l’amore senza motivo e quello per i nemici, l’accettazione della morte nella speranza della risurrezione.

E’ attraverso tali fatti che i cristiani d’Italia hanno saputo dare in questi anni risposte creative a incredibili esplosioni di violenza, alle solitudini metropolitane, alla crisi sociale della famiglia, all’arrivo tra noi di altre genti, alla droga e all’Aids, a ogni nuova paura della morte.

Sommando le storie delle pubblicazioni che ho richiamato all’inizio e quelle del blog credo di aver preso in esame oltre un migliaio di “fatti” riguardanti singole persone. Eccone una rassegna per categorie:

  • cristiani che negli ultimi decenni sono morti a centinaia nella missione alle genti, per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista, per la giustizia e la dignità dell’uomo;
  • donne che rinunciano a cure antitumorali e simili per non danneggiare il bambino che hanno in seno e rimandano le terapie a dopo il parto, affrontando a volte la morte con grande serenità e generosità;
  • persone che dichiarano di perdonare gli uccisori dei parenti;
  • uomini e donne che si “addormentano nella speranza della risurrezione”, che cioè accettano la malattia, la vecchiaia e la morte fidando nella promessa del Signore;
  • tra questi i malati di Aids che compiono un cammino di conversione e muoiono santamente (vi sono casi in ogni nostra città);
  • portatori di menomazioni che resistono a esse e le vincono e si mettono al servizio dei fratelli meno fortunati e lo fanno nel nome del Signore;
  • innumerevoli cristiani che si dedicano – nella quotidianità – al servizio del prossimo, a missioni di pace, al soccorso dei poveri in ogni parte del mondo;
  • coppie che adottano bimbi menomati per amarli due volte; o realizzano “case aperte” e “case famiglia” per dare un focolare a chi non ce l’ha;
  • sposi e genitori e cristiani comuni – sempre più numerosi – che partono per attività missionarie, a volte portando con loro i figli.

Alcuni di questi fatti costituiscono un dono dello Spirito alla nostra epoca: erano cioè parzialmente o anche totalmente sconosciuti alle generazioni che ci hanno preceduto. Essi ci invitano a leggere con gratitudine il tempo che ci è stato donato: che non presenta soltanto prove per la fede, ma gode anche di particolari doni.

Tra questi doni c’è sicuramente la testimonianza del perdono agli uccisori dei parenti. Le famiglie cristiane che affermano un tale perdono – di portata epocale fu il perdono dei Bachelet (1980) – rendono comprensibile il miracolo dell’amore dei nemici nella società secolare. Recentemente su questa frontiera abbiamo conosciuto Carlo Castagna: il “papà Castagna” di Erba, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime di quella strage (2006), che afferma l’intenzione di perdonare appena apprende il fatto e la conferma quando vengono arrestati e condannati i colpevoli. Ultimamente – agosto 2011– i giornali hanno narrato la vicenda di Carolina Porcaro (di Sovico, Monza) che ha dichiarato il proprio perdono all’uccisore del figlio diciottenne. E’ della scorsa estate la costituzione a Grosseto di un’associazione per il recupero di ragazzi violenti fondata dalla vedova di un poliziotto e dalla mamma del ragazzo che l’uccise nel 2011: le due donne si chiamano Claudia Francardi e Irene Sisi.

Indicherei poi – come un segno dell’epoca – il recupero di una liturgia del morire cristiano, con riferimento a tutti i cristiani che lasciano questo mondo parlando ai parenti e agli amici della speranza nella risurrezione. Io la chiamo “Celebrazione ecclesiale della propria morte” e il primo riferimento è al vescovo di Padova Filippo Franceschi (1924-1988) che volle l’unzione degli infermi in cattedrale, il giovedì santo, dai suoi preti. La narrazione di tali eventi si è straordinariamente infittita negli ultimi anni.

Segno dell’epoca sono anche i “martiri della giustizia”: i Bachelet (+1980) e i Tobagi (+1980), i Taliercio (+1981) e i Ruffilli (+1988), i Livatino (+1990) e i Borsellino (+1992), ma anche i coniugi Dalla Chiesa (+1982) e Moro (+1978). E padre Pino Puglisi che è stato proclamato beato nel 2013. Ultimamente abbiamo anche avuto, in rapida sequenza, la beatificazione di due martiri dell’aiuto agli ebrei: Odoardo Focherini (2013) e Giuseppe Girotti (2014); e di un martire dell’aggressività anticlericale del comunismo emiliano, il vostro seminarista Rolando Rivi (2013) ucciso in odio alla fede, simboleggiata dal suo attaccamento alla veste talare che usava anche in vacanza. Non è attraverso il sangue di questi martiri dalla vita ordinaria e attraverso le parole dei loro familiari che la testimonianza viva della fede ha incrociato l’epoca?

I martiri di mafia, i martiri dell’aiuto agli ebrei e quelli dell’occupazione tedesca e della reazione a essa sono naturalmente molto più numerosi di quelli riconosciuti ed è ovvio attendersi un ampliamento dei riconoscimenti canonici. Questo del martirio della carità e della giustizia è un settore dove la sfera dei santi canonizzati e quella dei santi ordinari e sconosciuti [la classe media della santità, come dice Papa Bergoglio] fortunatamente si toccano.

Tra i malati di Aids che vivono storie di conversione, citerò il modenese Paolo Caccone, che muore “monaco di Monteveglio” nel 1992 ed Enrico Baragli, milanese, non battezzato, che in ospedale legge il Vangelo e chiede il battesimo poco prima della morte avvenuta nel 1990. Caccone è attirato alla fede dall’esempio di un monaco incontrato in ospedale e Baragli dalla dedizione di una suora ospedaliera che si prende cura di lui.

L’adozione o l’affido di bimbi focomelici (senza braccia e gambe), cerebrolesi, sieropositivi sono fatti frequenti nelle nostre comunità. E sono di certo gesti di santità. “Avvenire”, “Famiglia cristiana”, il settimanale “Vita” e altri periodici pubblicano rubriche che segnalano i bimbi che attendono d’essere accolti e danno notizia di quelli che hanno trovato una famiglia. Luminoso, in questo, è l’esempio della Piccola famiglia dell’Assunta di Montetauro, Rimini. L’accettazione del figlio menomato, o la scelta del bambino menomato per l’adozione è un dono del cielo, nuovo rispetto al passato, quando c’era minore disponibilità ad accogliere questi infelici.

Anche la reazione all’handicap e la battaglia a favore di altri portatori di handicap è un dono di oggi. Per la prima volta nelle nostre comunità si sperimenta qualcosa che dà concretezza al comando evangelico di porre gli ultimi ai primi posti: le associazioni ecclesiali fanno spazio ai disabili, gli scouts li portano ai campeggi, ciechi e spastici finalmente sono ammessi alla professione solenne nelle comunità religiose.

Tra le donne che pospongono le cure per non danneggiare la gravidanza – nei miei volumi di “Fatti di Vangelo” ne ho narrate 18 – ce ne sono che convivono con il padre del bambino e magari lo sposano solo in prossimità della morte: dovremmo dire che un atto d’amore eroico riconcilia pienamente con il Signore, come una volta si diceva che il martirio liberava da peccati e irregolarità canoniche.

Dalle storie di vita che vado raccogliendo mi sono fatto qualche idea su che cosa converta l’uomo d’oggi: lo convertono il Vangelo e i fatti di Vangelo. Cioè la parola di Gesù attestata nei Vangeli e la vita dei cristiani ispirata a quella parola.

Tra le storie che ho narrato vi sono attestazioni di chi (brigatista o bandito: da Cavallina a Cavallero) si dice convertito dalle parole di Gesù sul perdono, o dal perdono ricevuto in carcere dai familiari delle vittime; e di chi narra di essere partito, nel suo cammino di scoperta della fede, dalle parole “beati i poveri” o dal soccorso avuto dai cristiani nel momento del più forte abbandono (morenti di Aids, per esempio).

Nessuno dice di essere stato convertito dalla lettura di un’enciclica di Giovanni Paolo II ma molti fanno riferimento alle parole evangeliche e ai gesti a esse ispirati che sono venuti da lui: ha perdonato l’attentatore, ha chiesto perdono per le colpe dei cristiani, ha abbracciato malati di Aids e prostitute, ha predicato fino ai confini della terra, ha rivolto moniti ai mafiosi, ha dato attestazione di perseveranza nella malattia, ha affrontato la morte a viso aperto.

Colpisce il gran numero di coloro che si dicono “toccati” dalla testimonianza offerta dal Papa sofferente nell’avvicinamento alla morte. Più ampiamente dirò che tra le storie di conversione da me raccolte è frequente il riconoscimento dell’influsso esercitato dai cristiani che affrontano serenamente la morte.

Citerò un esempio che mi sembra parlante: riguarda un’infermiera di Montebelluna, Treviso, che si chiama Alessandra Mattiazzi, che potremmo dire convertita dalla “serenità contagiante dei morenti”. “Ho scelto la fede – ha raccontato al quotidiano Avvenire del 14 aprile 2001, in occasione del battesimo chiesto a 24 anni, essendo stata “educata dai genitori in un clima di agnosticismo” – quando ho capito perché tanti malati che assistevo andavano incontro alla morte per nulla angosciati, anzi con una serenità contagiante. Ora il mio sogno è di poter realizzare una famiglia e di poter educare i figli alla gioia che deriva dalla fede”.

Molto forte è anche l’attrazione della carità. “Mi attirava al cristianesimo e a chiedere il battesimo l’amore per il prossimo. Nel mio cammino è stato importante Francesco Canova (1908-1998) con il suo collegio padovano per medici missionari (Cuamm): io ero indiano e induista e lui mi ha accolto alla pari dei cristiani e degli italiani”: parla così Surendra Narne – 75 anni, indiano, otorinolaringoiatra, ex direttore dell’Unità operativa di Chirurgia Endoscopica delle vie aeree all’ospedale di Padova – in un’intervista che gli ho fatto nel novembre del 2011 per il mio blog.

A volte può essere un simbolo, poniamo una nuda croce, ad attrarre. “Una sera, guardando dalle sbarre della cella, vidi in lontananza una croce illuminata, sopra la cupola di una chiesa. Mi rivolsi a quella croce e chiesi aiuto. Il giorno successivo chiesi al cappellano di poter avere una Bibbia”: così narra l’avvio della propria conversione Fulvia Miglietta, genovese, una volta brigatista rossa e oggi catechista.

Indico tre possibili input che potremmo cavare da una pedagogia ecclesiale più attenta alle storie di santità ordinaria che fioriscono oggi in Italia. La via testimoniale potrebbe indurci a una proposta più biblica e narrativa e meno dottrinale e controversistica; a una più vigile presa in considerazione del vissuto cristiano come luogo teologico; a un qualche superamento del perbenismo ecclesiastico e del perfettismo canonistico.

In un tempo di grandi mutazioni culturali e antropologiche dovremmo riscoprire la capacità di avvertire le novità divine, i nuovi segni dell’amore di Dio che vengono inviati alla nostra epoca. Accanto alla santità canonica c’è una santità donata dallo Spirito che segnala le vie da percorrere per proporre il Vangelo ai nostri contemporanei. Sono vie che spesso si allontanano dalle strade maestre praticate in passato. Occorre vincere il timore di percorrerle: “Esci per le strade e lungo le siepi”, dice al servo il Padrone della Parabola del Banchetto (Luca 14). Lo stesso ci dice oggi Papa Francesco: “Uscire uscire”, andare alle periferie geografiche ed esistenziali per incontrare in esse quanti il Signore ha già cercato prima che noi ci muovessimo.

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