“Dappertutto chiese con le porte aperte” dice Francesco. Ma chi l’ascolta?

 

Sono per le chiese sempre aperte, come vorrebbe papa Francesco. Il mio parroco don Francesco Pesce la sua la tiene aperta, nel Rione Monti, a due passi dal Colosseo, dalle 07.00 alle 22.00 lungo la settimana, nel fine settimana dalle 08.00 alle 24.00. Faceva questo prima dell’elezione di Francesco ed ora è felice della direttiva così chiara e così disattesa che è venuta dal vescovo di Roma. Trovo utile quest’uso e invito i lettori a segnalarmi – per un ampliamento dello sguardo – esperienze simili a quelle che ora racconterò, partendo da un testo nel quale Francesco fa la sua richiesta.

La Chiesa è chiamata a essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire un mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa”: La gioia del Vangelo 47.

 

Spalancare tutte le porte

della nostra vita

Nel papa il motto della chiesa aperta è metafora e specifico precetto: “La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo” (12 giugno 2013).

Questo era già l’atteggiamento dell’arcivescovo Bergoglio. Ho raccolto molti testi d’allora e ne richiamo due, uno del primo anno da arcivescovo e un altro dell’ultimo. “Vi esorto a spalancare le porte al Signore: la porta del cuore, della mente, delle nostre chiese, tutte quelle della nostra vita” (Lettera ai sacerdoti dell’arcidiocesi, ottobre 1999).

Lo spalancare le porte – tutte le porte – Bergoglio lo pone a denuncia e a rimedio delle mille porte chiuse che caratterizzano l’umanità globalizzata. Nella Lettera all’arcidiocesi di Buenos Aires per l’Anno della fede, che ha la data del 1° ottobre 2012, fa della porta chiusa “un simbolo del mondo d’oggi”: “Cari fratelli, tra le esperienze più forti degli ultimi decenni c’è quella di trovarsi davanti alle porte chiuse. Il crescente senso di insicurezza sta portando a poco a poco a bloccare le porte, a porre sistemi di vigilanza, telecamere di sicurezza, a diffidare dell’estraneo che bussa alla nostra porta […]. L’immagine di una porta aperta è sempre stata il simbolo della luce, dell’amicizia, della gioia, della libertà, della fiducia. Quanto abbiamo bisogno di ritrovarla! La porta chiusa ci fa male, ci paralizza, ci separa”.

Condivido con il mio parroco – dicevo – la scommessa delle chiese sempre aperte. Avendo lanciato il tema di questa inchiesta nel mio blog, don Francesco mi ha mandato le sue osservazioni sulla pratica delle porte aperte, che persegue dal 1999: “La mia prima messa l’ho voluta iniziare simbolicamente aprendo il portone della chiesa: forse lo psicologo avrebbe qualcosa da dire su questa mia tendenza. Non ho riscontrato negli anni nessuna controindicazione da questo tenere la porta aperta, ma anzi tante belle sorprese spirituali”.

 

C’è chi dice che in chiesa

deve entrare anche il rumore

Don Francesco sostiene che in chiesa deve entrare anche il rumore: “Chiesa aperta per me significa aperta, cioè si deve capire con chiarezza che è aperta; quindi via subito le retroporte di legno che la fanno sembrare chiusa, e mettere vetrate che servono per il freddo ma lasciano vedere l’interno; vedo però che appena possibile e passa il freddo è utile spalancare la vetrata, perché deve entrare anche il rumore della città e si deve percepire la massima comunione tra dentro e fuori”.

Molto importante – dice ancora – è alla sera l’illuminazione che deve fare due cose: a) illuminare molto bene l’ingresso, b) creare uno spazio privilegiato di luce nella zona del tabernacolo e della immagine mariana o del santo nella chiesa. Utile anche la musica sacra in sottofondo (con un registratore è facilissimo). Il ‘controllo’ lo fanno le persone stesse che vengono a pregare ed è anche utile avere un buon rapporto con i negozianti del quartiere che ogni tanto fanno una passeggiata in chiesa. Fate buona guardia alla vostra chiesa, diceva Mazzolari”.

Don Francesco afferma che è “il popolo” – dice proprio così – a farsi carico della custodia della sua chiesa: “Dopo poco tempo si crea un movimento di persone che rende assolutamente sicura la chiesa. A poco a poco qualificare l’apertura continuata; ad esempio celebrando la messa all’ora di pranzo (cosa che adesso incominceremo a fare) e garantendo la presenza di un sacerdote per le confessioni e i colloqui spirituali dopo la messa vespertina fino alla chiusura; la gente torna dal lavoro tardi, naturalmente”.

Come la mette il mio parroco con i parrocchiani che protestano? La mette drastica: “Fare finta di niente, dandogli fintamente ragione per quietarli, quando all’inizio si preoccupano dicendo che è pericoloso, la chiesa si sporca e i barboni non hanno rispetto per nulla. Non ho mai visto crollare una chiesa per la sporcizia dei barboni. Anzi è una cosa bellissima il povero che si mette a chiedere l’elemosina: è un ottimo vigilante e pulisce anche il sagrato più volte al giorno”.

 

Per intercettare

la movida della notte

Nel fine settimana l’apertura è prolungata verso la mezzanotte “per intercettare la movida che qui da noi si lascia intercettare volentieri”. Se qualche ragazzo o ragazza vestiti da movida, cioè minigonna, tatuaggi, anelli al naso, entrano per accendere una candela? “Ringrazio il Signore e li lascio in pace sull’abbigliamento perché non prevedevano certo di andare a messa quella sera”.

Il mio parroco minimizza ma il rischio dei furti è oggettivo. Ho sentito altri preti che avevano tentato l’apertura continuata e vi hanno poi rinunciato con l’approvazione e il rammarico dei parrocchiani.

Un visitatore del blog ha raccontato di un gruppo che si è incaricato di essere presente sabato e domenica, a turno, in un santuario: recitano il rosario e accolgono pellegrini e visitatori. “Un’iniziativa del genere – è il suo commento – potrebbe aiutare a tenere sempre aperte le chiese e le renderebbe più accoglienti e vissute”.

Un altro visitatore evoca la possibilità – sperimentata in vari luoghi – di impiegare giovani del servizio civile e volontari che potrebbero “non solo rafforzare il controllo ma anche fare da ciceroni per i visitatori, che potrebbero ricompensarli con una piccola mancia”.

Un’amica di Bologna, di nome Giancarla, mi dice che la sua chiesa parrocchiale ha “le porte sbarrate quasi tutto il giorno”, le apre solo verso sera, poco prima della messa, per il rosario e il vespro. Lei quando cerca una chiesa in altre ore va nella cappella dell’Ospedale Sant’Orsola che è aperta tutto il giorno. Anche un amico di Roma mi segnala come le più accessibili, come orario, le cappelle di stazioni e aeroporti, nonché quella della Città universitaria.

Ho girato quattro chiese

per trovare un confessore

Alle volte il problema non è tanto quello della chiesa aperta, ma della presenza in essa di un sacerdote. Una visitatrice racconta che qualche anno addietro volendo confessarsi si trovò a girare quattro chiese della sua città: “E dalla seconda il giro l’ho fatto insieme a un turista con lo stesso desiderio e non pratico del luogo. Finalmente giunti alla quarta chiesa abbiamo trovato un prete che aspettava nel confessionale”.

A Pistoia da due anni un cartello di enti e associazioni viene sperimentando un programma che si chiama “Visiting Pistoia”, promotore il Consorzio turistico, che affida a volontari e studenti del liceo artistico la sorveglianza e la guida a musei e chiese oltre gli orari di apertura garantiti dai loro gestori. Ho visto qualcosa di simile a Roma per il Museo delle Mura e a Padova per i Musei Civici agli Eremitani. Mi chiedo: ciò che fanno associazioni di varia umanità non potrebbe essere tentato, in altri luoghi, dalle associazioni di volontariato ecclesiale? Perché non si prova?

Esperienze simili a quella di Pistoia, ma a gestione ecclesiale, me le segnalano amici di Enna, di Reggio Calabria, di Ascoli Piceno. In tante chiese di tanti luoghi si fanno turni per garantire la presenza di un gruppo di persone nelle ore più scomode dell’ “adorazione perpetua”. Io credo che analoghi turni potrebbero aiutare i parroci a tenere aperte le chiese parrocchiali nelle ore della pausa pranzo e la sera oltre l’ora della messa.

Lo scorso novembre è stato pubblicato dalla CEI un opuscolo con “linee guida” per la tutela dei beni culturali ecclesiastici: che fare per evitare furti. Forse sono possibili delle linee guida per organizzare e gestire l’apertura continuata delle chiese, almeno di quelle parrocchiali.

Tenerle aperte

finché intorno c’è gente

Ma a che orario penso quando dico apertura continuata? Il criterio dovrebbe essere quello – che riportavo sopra – suggerito dal mio parroco: finché intorno c’è gente. Brutta mia impressione la scorsa estate in una città della riviera ligure di levante: la centralissima basilica, che dà sulla piazza storica e ha il mare sia a destra sia a sinistra, chiudeva alle 11,45 e riapriva alle 16,15, richiudendo definitivamente le sue nobili porte alle 19.00. Orario balzano e di pura comodità del parroco, se teniamo conto che la massima densità di passeggio e di visite, nella stagione balneare, lì si ha proprio nella tarda mattinata e in serata, fino verso la mezzanotte. Sarebbe come se Gesù, quella volta a Cafarnao, fosse salito sulla barca di Pietro per parlare alla folla quando questa non c’era e ne fosse sceso quando in tanti gli erano intorno.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 2/2015

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