Una Caritas che non parla alla città è una carità dimezzata

Incontro con la Delegazione Regionale Caritas del Lazio

c/o Parrocchia Sant’Antonio Abate – Ferentino – Frosinone
martedì 12 maggio 2015 – ore 09.30-13.00

Scrivevo nel mio blog – in data 9 12 2014 – un articolino scherzoso e serio intitolato “Appello all’ottimo e inascoltato direttore della Caritas romana Enrico Feroci”: “Ah Feroci, vedi de fatte feroce! Devi disturbare, devi puntare il dito, devi gridare in nome delle migliaia di persone che fanno volontariato nel silenzio e nel dileggio. Una Caritas che non parla alla città è una carità dimezzata”.

Era esploso lo scandalo di Mafia Capitale e io mi chiedevo come fosse possibile che nessuno si fosse accorto di quel marcio. Mi rispondevo che i veggenti c’erano e avevano parlato ma la loro parola non era ascoltata. E tra loro vi era la Caritas romana che il 12 novembre aveva pubblicamente accusato le “cooperative senza scrupoli” che si occupano di Rom e di rifugiati e aveva segnalato come responsabile prima e ultima la politica della pura emergenza, compresa in essa quella della giunta Marino: tutto era detto ma nessuno aveva udito.

Comunicato della Caritas romana sui fatti di Tor Sapienza – 12 novembre 2014: “La situazione di Tor Sapienza – così come Corcolle, Torre Maura, Romanina, Ponte Mammolo e altre zone – rappresenta sì il risultato di anni di abbandono, ma allo stesso tempo l’effetto di attuali politiche sbagliate verso i rom e i rifugiati, senza sforzi per l’integrazione e improntate soprattutto sull’emergenza, frutto di istituzioni che non collaborano e non dialogano (Prefettura – Comune – Municipi), di cooperative senza scrupoli che poco hanno a cuore la sorte delle persone che gli sono affidate, di territori abbandonati dalle Istituzioni”.

Quel comunicato della Caritas – secondo me – costituiva insieme un titolo di vanto, per aver visto; e di demerito, per non aver ottenuto ascolto. 

Mi chiedevo: perché la Caritas romana non è ascoltata? Perché non ha voce pubblica da quando non c’è più Di Liegro (1928-1997) alla sua guida? Perché nel febbraio del 2014 il Vicariato non ha ricordato il quarantennale del Convegno sui mali di Roma del febbraio del 1974, che fu il capolavoro di don Luigi? Perché l’afasia pubblica della Caritas perdura anche sotto Papa Francesco?

Vi è stata poi – il 22 dicembre scorso – una “Preghiera per Roma” in Santa Maria Maggiore durante la quale il cardinale Vicario ebbe a dire: “Noi cristiani di Roma siamo troppo silenziosi”. E’ stato a seguito di quella “Preghiera per Roma” che ho scritto un articolo apparso sul “Corriere” romano il 24 dicembre 2014 con il titolo “La carità dimezzata” per il quale sono stato invitato a questo incontro.

Voi sapete meglio di me che la Caritas non è pura beneficenza. Tutti condividiamo l’idea che la carità è più ampia dell’elemosina: “Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non soltanto gli effetti ma anche le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventi sufficienti a se stessi” (Apostolicam actuositatem 8: L’azione caritativa).

Italo Calabrò, Giovanni Nervo, Giuseppe Pasini, Luigi Di Liegro sono i protagonisti dell’applicazione alla Caritas di quell’opzione conciliare.

Mi sono trovato ultimamente – ad Alessano – a ricordare don Tonino Bello e a paragonarlo a Papa Francesco e ho sostenuto che li unisce l’impegno a favorire una maturazione epocale del servizio della carità facendolo passare dalla dominante assistenziale a quella promozionale. Ho indicato nel Patto delle catacombe (16 novembre 1965) la matrice comune di quel loro impegno: “Cercheremo di trasformare le opere di beneficenza in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia”.

Papa Francesco nella Evangelii Gaudium insiste sulla “necessità di risolvere le cause strutturali della povertà” e di non fermarsi ai “piani assistenziali”, che sono “risposte provvisorie”: “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” (n. 202).

Ma uno dicendo così sembra assumere un ruolo di parte: Tonino Bello, Papa Bergoglio, la Caritas più fattiva, magari ora il cardinale Montenegro. E invece no: ascoltiamo Benedetto XVI per accorgerci che l’impegno a passare dall’elemosina alla promozione è di tutta la Chiesa.

Deus caritas est 28: “La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia non può affermarsi e prosperare”. Benedetto XVI, Intima Ecclesiae natura 9: “Il Vescovo favorisca la creazione in ogni parrocchia d’un servizio di Caritas che promuova anche un’azione pedagogica nell’ambito dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità”.

Ma forse qui è più appropriato un richiamo a come don Luigi Di Liegro ha esercitato questo ruolo di apostolo della carità nella piena dimensione ecclesiale e civile del termine. Dobbiamo dire che don Luigi è stato un apostolo dei poveri in perpetua tensione tra carità e politica. Continuamente i cardinali Poletti e Ruini lo dovevano invitare ad astenersi dalla politica (vedi una severa lettera di Poletti in data 7 aprile 1976, riportata alle pp. 75ss della biografia di Maurilio Guasco: Carità e giustizia. Don Luigi Di Liegro 1928-1997, Il Mulino 2012).

Di Liegro ha mostrato quanto si possa e si debba essere “imprudenti” facendo la carità. Nella Chiesa dei nostri giorni in verità c’è molto spazio per chi sappia prenderselo. E Di Liegro lo prendeva tutto. Ampliava anzi con il suo impeto i confini del consentito. Tutti dovevano fare i conti con lui. Impersonava la carità cristiana in Roma con un protagonismo che non si era mai visto. Trattava con i sindaci e conosceva i singoli barboni.

I media l’hanno capito e i cardinali vicari l’hanno sostenuto, pur tra i conflitti. Il cardinale Ruini non sempre ne ha condiviso le scelte, mai però l’ha sconfessato e nell’omelia di commiato ha lodato la «duplice dimensione» della sua carità: quella con cui «si prendeva cura diretta e immediata delle persone» e quella per cui tendeva a «rimuovere le cause della povertà e dell’ingiustizia».

Nelle memorie inedite del cardinale Poletti [Uno sguardo retrospettivo… dal vero. Ricordi e documenti in un tempo difficile di transizione 1914-1995] ci sono passaggi di grande apprezzamento per Di Liegro, attestanti che il cardinale aveva compreso e condivideva la proiezione sulla città della sua pedagogia ecclesiale. A pagina 123 Poletti segnala – come “frutto” del convegno del 1974 – la nascita di “quella meravigliosa opera che è la Caritas diocesana, che, provvedendo a tutti i bisogni, di tempo in tempo emergenti, ha trascinato l’attenzione di gran parte della città e ne ha ottenuto fiducia e costante collaborazione, anche da parte di cristiani alieni dalla vita parrocchiale organica”. A pagina 155 il cardinale afferma che la Caritas “sotto l’impulso generoso ed inventivo di mons. Luigi Di Liegro, è divenuta ben presto l’organizzazione diocesana più attiva, completa e stimata nella diocesi e nella città” e precisa che “il merito più grande di mons. Luigi Di Liegro è quello di essere costantemente voce chiara e precisa nella difesa dei diritti sociali dei poveri, svegliarino e richiamo a tutta la comunità civica, cristiana o no”.

La dimensione sociale del dogma”, diceva De Lubac: Di Liegro e ci mostra la dimensione politica della carità. Non usa queste parole ma ne usa di equivalenti: “La dimensione politica della solidarietà” (p. 252 della citata biografia di Maurilio Guasco). “Il vero compito del volontariato è politico”: è un suo motto riportato a pagina 228 dello stesso volume.

Che avrebbe detto e fatto don Di Liegro con le cooperative che si arricchiscono sulla pelle dei Rom e dei rifugiati? Si sarebbe accontentato di un comunicato che nessuno ha ripreso? Che avrebbe suggerito al cardinale vicario in vista della “Preghiera per Roma”?

Di Liegro ci ha insegnato che la Caritas ha un ruolo pubblico in cui non può essere surrogata da nessuno: un ruolo conoscitivo e di denuncia che fa parte integrante della sua missione educativa. Dal vivo dei contesti in cui opera deve poter trarre le conoscenze e lo sdegno necessari alla denuncia pubblica. E’ pronto soccorso ma anche monitoraggio delle zone a rischio. Deve soccorrere ma deve anche lanciare l’allarme e chiamare al soccorso. Deve parlare e deve trovare il modo di farsi ascoltare.

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