Le nomine sono buone ma le riforme sono lente

Risposte di Luigi Accattoli a un questionario di “Micromega”

inviate in data 4 giugno 2015

Il papa si è proposto di rinnovare profondamente gli assetti di potere finanziari e della curia. Su un fronte come sull’altro però, nonostante parecchi segnali di “buona volontà”, ancora non sembra vi siano stati cambiamenti davvero rilevanti. Come valuta l’azione di questo pontefice nell’intervenire concretamente, nelle nomine come nelle riforme, sulle contraddizioni che ancora caratterizzano la struttura ecclesiastica?

Le nomine sono buone, le riforme sono lente. Tra le nomine cambiamento vi sono le scelte del segretario di Stato Parolin, del segretario della Cei Galantino, dei tre cardinalati italiani fuori cordata assegnati agli arcivescovi di Perugia, Ancona, Agrigento. Altro si potrebbe segnalare nella curia e fuori, ma questo è il tenore. Come iniziativa a metà tra le nomine e le riforme vi è la costituzione del gruppo dei nove cardinali che assistono il papa nel governo: insieme ai due sinodi sulla famiglia, è la novità istituzionale più rilevante dei primi due anni di pontificato. Ma è vero che le riforme procedono lentamente. Credo per due motivi: perché si tratta di strutture con radicamento plurisecolare che non sopportano mutamenti affrettati, ma anche perché l’uomo Bergoglio non ha sensibilità giuridica e istituzionale. E’ un comunicatore del Vangelo, non un governatore di apparati. Le riforme arriveranno, l’uomo è attrezzato e tenace. Ma non sono la sua priorità, che è quella dell’uscita missionaria. Inoltre arrivando tardi rischieranno di deludere anche quando saranno buone.

Molti teologi, intellettuali, preti e religiosi della chiesa conciliare e progressista hanno recentemente firmato un appello per difendere il papa dagli attacchi mossi a loro avviso da autorevoli esponenti e poteri della conservazione che agiscono contro Francesco a livello ecclesiale come nella sfera mondana. Se è vero che lo stile di Francesco risulta indigesto al settore più tradizionalista delle gerarchie, non sarebbe tuttavia un atto di coerenza da parte di questo papa la riabilitazione di tutti coloro che hanno variamente subito la censura, l’emarginazione, addirittura la sanzione canonica da parte della chiesa, sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

La riabilitazione dei censurati dai predecessori – di “tutti” i censurati – non figura tra i metodi di governo dei papi. Il coordinamento unitario della vita di un organismo così complesso come la comunione cattolica non prevede rottamazioni e ribaltamenti, ma spostamenti lenti, modifiche graduali, sostituzioni singole da attuare alle scadenze naturali. Giustamente Francesco non mira a fare i conti con il passato. Semmai qualche conto lo aggiusta indirettamente, guardando avanti, come nel caso della beatificazione di Romero. Quanto agli appelli in difesa del papa, li vedo come un segno di nervosismo di chi è già deluso dalla lentezza bergogliana e li ritengo ininfluenti quanto quelli contro il papa, che pure vi sono. I papi hanno sempre avuto sostenitori e oppositori. Quanto sta avvenendo è nella fisiologia di un governo unico di una società complessa e delle reazioni che provoca quando azzarda un movimento innovatore.

Il sinodo non si è finora espresso su nessuna delle questioni cruciali che riguardano la famiglia, i divorziati risposati, le unioni gay. Ed è evidente che le resistenze al rinnovamento che si sono manifestate in modo talvolta maggioritario nella prima fase, giocheranno un ruolo di freno anche nella seconda. Non ritiene che il papa potrebbe (analogamente a quanto fece Paolo VI con l’Humanae vitae ma in evidente diversa direzione) esprimersi attraverso un’enciclica su tematiche che sono ormai divenute di prepotente urgenza?

Non prevedo che lo faccia e mi auguro che non lo faccia. Le resistenze al rinnovamento sono legittime e vanno superate – se sono superabili e da superare: nel caso del sinodo io ritengo che lo siano – secondo le modalità proprie della vita ecclesiale. La Chiesa di Roma ha bisogno di una conduzione più collegiale della propria vita interna e un papa che avochi a sé una qualunque questione primaria su cui vi sia dibattito aperto verrebbe a porre un atto contrario alla maturazione di quella sinodalità. Credo che il Sinodo ordinario del prossimo ottobre voterà orientamenti innovatori su tutto l’arco della tematica familiare e mi auguro che il papa promulghi ciò che il Sinodo avrà approvato. Mi aspetto decisioni sostanzialmente rispondenti alle sollecitazioni venute dal papa in questi due anni, anche se più prudenti nella formulazione.

La lotta alle posizioni di rendita e ai privilegi ecclesiastici, che Francesco ha con diverse dichiarazioni mostrato di voler fare propria, non dovrebbe accompagnarsi ad atti concreti, come la rinuncia ad alcuni degli innumerevoli privilegi concordatari di cui godono la chiesa ed il Vaticano nel nostro Paese? Ad esempio l’8 per mille, l’esenzione o la riduzione di alcune tassazioni, le rendite che derivano dalle speculazioni immobiliari (specie nell’emergenza abitativa e in quella dell’accoglienza di senzatetto e migranti che caratterizzano la nostra epoca)…

Personalmente sarei felice di tali “atti concreti” ma non li prevedo. La “riforma della Chiesa in uscita missionaria” perseguita da Francesco (e così formulata al paragrafo 17 dell’esortazione “La gioia del Vangelo”) comporta decisioni di quel tipo ma ritengo che Bergoglio le consideri e le attenda come una conseguenza sistemica della riforma, non come passi da compiere d’imperio.

Rispetto al ruolo dei laici e della donne nella chiesa, in cosa vede visibili e reali cambiamenti nell’azione di questo pontificato? E’ possibile che il sacerdozio femminile resti un tabù, un rifiuto catafratto proprio mentre la chiesa anglicana, la meno distante da quella cattolica tra le Chiese riformate, ha consacrato una donna addirittura vescovo?

Per ora abbiamo avuto novità minimali, che forse sarebbero maturate sotto qualsiasi papa: le donne nella “Commissione teologica internazionale” sono passate da due a cinque, per la prima volta una donna è stata nominata rettore di un’università pontificia, nelle commissioni curiali di nuova costituzione i laici e i chierici iniziano a operare su un piano di parità. Per avere qualche maggiore segno è necessario attendere le riforme. C’è un impegno del Papa a inserire le donne “dove si prendono le decisioni” (“La gioia del Vangelo” 104) e sono convinto che lo farà. Sul sacerdozio femminile invece non ci saranno novità: l’ha detto e così sarà.

Come valuta l’episodio avvenuto alcuni mesi fa sotto questo pontificato della scomunica di Martha Heizer, presidente di “Noi Siamo Chiesa” internazionale ed Ehemann Gert, suo marito, per aver celebrato l’eucarestia nella propria casa, assieme alla loro comunità ma senza la presenza di un prete? Non sarebbe stato opportuno che il papa che predica una chiesa aperta, tollerante, inclusiva, fermasse questo provvedimento, anche in considerazione del fatto che “Noi Siamo Chiesa” è in prima fila in molti paesi del mondo su temi “spinosi” ed attuali come il celibato presbiterale, il sacerdozio femminile, la collegialità, i divorziati risposati, i gay, la povertà, il contrasto alla pedofilia tra il clero?

Do la stessa risposta che davo sopra per il sacerdozio femminile: non è ragionevole immaginare che un papa – e dunque anche questo papa – contraddica dall’oggi al domani una decisione che i predecessori hanno posto come “definitiva”: lo fece Wojtyla appena due decenni addietro, con la lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis” che è del 1994.

A proposito del tema della pedofilia nella chiesa, oltre al giusto e sacrosanto contrasto ai preti pedofili ed al loro allontanamento e denuncia alle autorità civili (che però in Italia la Cei non ha reso obbligatorio per i vescovi), non sarebbe necessario un profondo ripensamento della formazione dei preti e dell’istituzione del seminario? Su questo fronte ritiene che il papa stia agendo o agirà nel prossimo futuro?

Condivido la necessità del ripensamento, immagino che anche il papa la condivida ma al momento non vedo segni premonitori di un intervento rinnovatore. In particolare reputo ragionevole che si arrivi in tempi rapidi all’ordinazione di uomini sposati, come c’erano nella Chiesa antica e come ci sono nelle comunità cattoliche di rito orientale. Il doppio binario del clero celibe e del clero sposato aiuterebbe a realizzare una revisione dei metodi formativi, liberando i vescovi dall’attuale spinta a ordinare chiunque si presenti stante la scarsità dei candidati. Mi aspetto – ma non nell’immediato – che Bergoglio avvii in tutta la Chiesa latina, forse partendo dal Brasile che è il paese con la massima penuria di preti, la sperimentazione dell’ammissione degli sposati al sacerdozio, già autorizzata da Papa Ratzinger per gli ordinariati ex anglicani.

Papa Francesco ha dichiarato ripetutamente di voler dialogare con il mondo ateo senza intenti di “proselitismo”, e di voler rispettare le regole della democrazia pluralista. Come si conciliano queste affermazioni con la reiterata pretesa che le leggi degli Stati sovrani, che riguardano tutti i cittadini, debbano continuare a essere modellate sulla morale della Chiesa cattolica in questioni cruciali come l’eutanasia, quando perfino in seno alla Chiesa voci autorevolissime (da ultimo Hans Küng) hanno sostenuto la liceità dell’eutanasia e in taluni casi addirittura il suo carattere peculiarmente cristiano?

Francesco non ha mai affermato la “pretesa” che le leggi degli Stati debbano essere modellate sulla morale cattolica. Non l’ha mai fatto neanche per la via indiretta del richiamo ai parlamentari cattolici che fu battuta dai predecessori: ed è qui da vedere la più importante tra le sue innovazioni nel rapporto Chiesa-mondo. Interpretare come una pretesa impositiva l’espressione del proprio convincimento mi pare abusivo: equivarrebbe a negare ogni possibilità di intervento in materia di orientamenti morali da parte di soggetti associati. A questa stregua anche “Micromega” – che esprime volentieri i propri convincimenti, proprio come fa il papa – potrebbe essere accusata di proiettare una sua “pretesa” sulle leggi. Che si tratti di una proiezione ideologica invece che teologica non costituirebbe, io credo, una diversità legittimante.

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