Con Paolo VI in Terra Santa nel gennaio del 1964

Il viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI somiglia come una goccia d’acqua a quello di Giovanni Paolo dell’anno 2000 mentre è diversissimo dall’altro compiuto da Paolo VI nel gennaio del 1964, che fu la prima uscita di un papa dall’Italia in epoca contemporanea. Papa Montini durante la visita non nominò mai lo Stato di Israele, che allora il Vaticano non riconosceva. Difese la “venerabile memoria” di Pio XII, che era stato attaccato da Hochhutht con il dramma “Il Vicario”. Sul Monte degli Ulivi incontrò il Patriarca Athenagoras.
Fu una visita di tre giorni scarsi, con partenza da Roma il 4 gennaio e rientro il 6, mentre Benedetto resterà laggiù una settimana abbondante. Era la prima uscita di un papa in aereo e in Vaticano non sapevano come regolarsi. Incaricarono della logistica un giovane monsignore della Segreteria di Stato – Paul Marcinkus – che per essere americano aveva padronanza di viaggi in aereo e di pagamenti in dollari. Fece bene e restò organizzatore dei viaggi papali fino al 1982.
Anche la stampa non aveva parametri per un papa che prendeva l’aereo. Per non farsi sorprendere il direttore del “Corriere della Sera” Alfio Russo mandò una squadra di inviati di cui facevano parte Alberto Cavallari e Dino Buzzati, il poeta Eugenio Montale e il prete ambrosiano Ernesto Pisoni. Don Pisoni solennizzò la portata ecumenica del viaggio e “l’importanza per gli anni futuri” dell’incontro di Montini con Athenagoras.
Alla prosa sensitiva di Dino Buzzati toccò descrivere il clima in cui i cristiani di Terra Santa vissero l’evento: “Ore magiche in Galilea: si aspetta un qualcosa mai accaduto in duemila anni”. “Terra di Dio” fu intitolato un editoriale di Eugenio Montale che l’ultimo giorno della visita narrò con “brevi note affidate al telegrafo” la “impressione di eternità” che aveva ricavato dai luoghi e dai cibi conosciuti durante quella trasferta.
Alberto Cavallari descrisse i “momenti di paura” che si ebbero nel tragitto tra la Porta di Damasco e il Santo Sepolcro: “Uomini urlano da ogni tetto. A un certo punto la situazione diventa caotica: per sottrarlo alla pressione della folla il Pontefice viene fatto sostare in una cappellina dove si trattiene per 25 minuti”. Era la Cappella della sesta stazione della Via Crucis, quella dell’incontro di Gesù con la Veronica. In quel “ricetto” trovato dal papa nel luogo dove Cristo era stato “assistito” da una donna Vittorio Gorresio – altro cronista d’eccezione di quell’impresa papale – ravvisò “il senso arcano del sacro ricorrente”.
Un testimone oculare – Domenico Del Rio – descriverà così quella scena drammatica: “Musulmani e cristiani esplodono in un entusiasmo incontenibile e tutta una massa di persone ondeggia verso il papa. Paolo VI, serrato tra gli uomini della Legione araba, che a un certo punto lo alzano con le braccia, pressato tutto intorno dalla folla, sale a piedi la Via dolorosa. Le donne gli gettano fiori dalle finestre. Un petalo di rosa gli si appiccica sulla fronte. Montini è felice”.
Paolo VI aveva annunciato l’idea del “pellegrinaggio” ai padri conciliari, in San Pietro, il 4 dicembre 1963: “Vedremo quel suolo benedetto, donde Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore”. Il viaggio avviene con un DC8 dell’Alitalia, che la mattina del 4 gennaio porta il papa ad Amman. Re Hussein di Giordania – appassionato di aeronautica – presiede alle operazioni di atterraggio dalla torre di controllo e poi segue dall’alto, in elicottero, il corteo di macchine che conduce il papa a Gerusalemme. Lungo il percorso avviene una sosta al “luogo del battesimo di Gesù”, dove il papa – secondo un titolo del “Corriere” – “scende sulle rive del Giordano appoggiandosi a due musulmani”.
Gerusalemme era allora divisa tra una parte israeliana e una parte giordana. Il Santo Sepolcro e la residenza del “delegato apostolico”, dove il papa dormì due notti, erano in territorio giordano. Al momento del passaggio in territorio israeliano, il giorno 5, Montini fu salutato dal presidente Zalman Shazar al quale si presentò come “pellegrino della pace, venuto per venerare i luoghi santi e per pregare”.
Al rientro a Roma, il papa fu accolto a Ciampino dal presidente Antonio Segni e ci fu un trionfo di folla per le strade, mostrato in diretta dalla televisione. “Ho avuto la fortuna di abbracciare, dopo secoli e secoli, il Patriarca di Costantinopoli” confidò emozionato alla folla di piazza San Pietro.

Luigi Accattoli
dal Corriere della Sera – 8 maggio 2009

Voyage à Istamboul, Ephèse et Izmir – 25-26 luglio 1967
DISCOURS DU PAPE PAUL VI
AUX FIDÈLES D’EPHÈSE

Mercredi 26 juillet 1967

A Nos vénérables Frères les Patriarches, Primats, Archevêques, Evêques et autres Ordinaires en paix et communion avec le Siège Apostolique.
Du lieu sanctifié par la prédication de l’Apôtre des Nations (cf. Act. 19) et par le témoignage des Pères du Concile d’Ephèse, Nous vous saluons, Frères vénérables, avec des paroles de charité, de paix, de consolation.
Le Tout-Puissant, dans sa miséricorde, Nous a permis, au début de l’Année de la Foi, de rendre visite aux lieux où se sont rassemblés les Pères et Docteurs de l’Eglise pour rendre témoignage aux vérités fondamentales de la révélation faite par Dieu en son Fils Jésus-Christ.
A Nicée, à Constantinople, à Ephèse, à Chalcédonie, ils ont servi et proclamé la Parole de Dieu qui leur était confiée, fidèles à leur ministère de successeurs des Apôtres, luttant pour maintenir l’unité dans la vérité et dans la charité selon les paroles de l’épître de Saint Paul aux chrétiens d’Ephèse: «Unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus et Pater omnium, qui est super omnes et per omnia et in omnibus nobis» (Eph. 4, 5-6).
Le Seigneur, comme il a été avec eux, sera toujours avec son Eglise. Il est aussi avec nous, qui à l’époque du deuxième Concile du Vatican sommes au service de l’Evangile dans un esprit de fidélité et d’ouverture aux nécessités et aux souffrances du monde d’aujourd’hui.
Que l’intercession de la bienheureuse Vierge Marie, qui a éd acclamée à Ephèse par les Pères du troisième Concile Œcuménique et par tout le peuple fidèle comme la «Theotokos», la Mère de Dieu, obtienne pour vous et pour tout le peuple confié à votre sollicitude pastorale la bénédiction abondante du Dieu et Père de notre Seigneur Jésus Christ.

DISCOURS DU PAPE PAUL VI AUX REPRÉSENTANTS
DES EGLISES ORIENTALES ORTHODOXES

Ephèse – Mercredi 26 juillet 1967

A Nos vénérables Frères les Patriarches et Primats de toutes les Eglises orientales orthodoxes, paix et salut dans le Christ notre Seigneur.
Ce pèlerinage aux lieux bénis par la prédication des Apôtres et les travaux des Pères des grands Conciles Oecuméniques Nous permet de mieux connaître l’unité profonde dans la foi prêchée et proclamée par ces pasteurs et docteurs, qu’en dépit des divergences réelles qui nous séparent, nous possédons en commun.
Nous avons échangé avec Sa Sainteté le Patriarche œcuménique Athénagoras I un saint baiser de paix. A vous aussi, chers Frères dans le Christ, Nous désirons exprimer Notre estime, et Notre charité fraternelle. Avec un plein respect pour vos usages et traditions légitimes Nous voudrions, pour Notre part, vous déclarer Notre volonté de faire progresser le dialogue de la vérité dans la charité (cf. Eph. 4, 15).
Que les successeurs des Apôtres obtiennent par l’intercession des saints Pères de l’Eglise l’avènement du jour tant désiré, où nous serons tous unis dans la célébration de l’Eucharistie de notre unique Seigneur.
Avec charité chrétienne Nous saluons également Notre frère Sa Grâce l’Archevêque de Canterbury et les Pasteurs des autres Eglises et communautés ecclésiales.
La prédication inspirée de l’Apôtre Paul aux anciennes Eglises d’Asie est restée l’héritage commun de tous les chrétiens. Ses épîtres font partie des Saintes Ecritures qui, «dans le dialogue lui-même sont des instruments insignes entre les mains puissantes de Dieu pour obtenir cette unité que le Sauveur offre à tous les hommes» (Décret conciliaire De Oecumenismo, n. 21).
Méditant l’enseignement de l’Apôtre et des premiers Conciles Œcuméniques, Nous Nous sentons uni à vous dans la prière du Seigneur, que nous soyons parfaitement un (cf. Io. 17, 23) et que soit rétablie entre nous pleinement, «l’unité de l’Esprit par ce lien qu’est la paix» (Eph. 4, 3).

La chiesa di San Giovanni e la casa della Vergine – Wikipedia

Quando gli apostoli dovettero lasciare Gerusalemme, san Giovanni con Maria Vergine, che gli era stata affidata da Gesù, venne ad Efeso. Ucciso San Paolo, san Giovanni diventò capo della Chiesa di Efeso e fece opera di propaganda della fede in tutta la regione. Alla sua morte fu sepolto alle falde dell’altura della rocca di Selgiuq e sulla sua tomba fu eretta una basilica che, durante l’impero di Giustiniano, venne trasferita nel luogo dove ora si trovano i resti della chiesa di san Giovanni.
A partire dal VII secolo a causa delle frequenti aggressioni degli Arabi attorno alla chiesa vennero erette delle mura sicché la chiesa fece parte della rocca. Nel XIV secolo la basilica era adibita a moschea, nel 1375 fra la basilica e il tempio di Artemide fu costruita una nuova moschea, la chiesa perse le sue funzioni di culto musulmano e fu completamente trascurata andando in rovina. Gli scavi hanno messo in luce i resti che rivelano che la chiesa aveva la pianta a croce, era sormontata da volte a botte, era preceduto da un atrio costruito a terrazze a causa della pendenza del terreno, aveva due cupole sulla volta centrale, due sui bracci laterali e due al centro. Secondo i verbali del concilio di Efeso la Vergine rimase per un breve tempo in locali vicini a quella che fu la chiesa dove si svolse il concilio, poi si trasferì in una casa posta su un’altura oggi chiamata “monte dell’usignolo” e vi rimase secondo la tradizione fino all’anno 46 quando a 64 anni d’età fu assunta in cielo.
Non essendo ancora molto diffuso il Cristianesimo l’ubicazione della casa fu presto dimenticata. Anna Katharina Emmerick una donna tedesca vissuta dal 1774 al 1824, ammalata da lungo tempo e incapace di camminare ebbe una visione mistica e scrisse un libro sulla vita di Maria indicando fra l’altro il luogo dove la Vergine avrebbe trascorso gli ultimi anni. Un sacerdote francese di nome Gouyet decise di recarsi ad Efeso nel 1881 e, con l’aiuto del vescovo di Smirne Timoni, trovò la casa di Maria, ma nessuno gli credette. Soltanto dieci anni dopo le ricerche del frate lazzarista Jung coadiuvato dal direttore del Seminario di Smirne Pouline si accettò che la rivelazione della Emmerik era esatta. Nel 1967 il papa Paolo VI e nel 1979 il papa Giovanni Paolo II si recarono ad Efeso e pregarono nella casa di Maria facendo sì che ormai tutto il mondo fosse d’accordo nel ritenerla tale. Anche l’attuale papa Benedetto XVI nel suo viaggio in Turchia del novembre del 2006 ha visitato Efeso e pregato nella casa di Maria.
La casa è ora una piccola cappella con pianta a croce, a destra dell’altare c’era una camera distrutta in seguito, a sinistra dell’abside una piccola stanza si pensa sia stata la camera da letto, davanti all’altare il pavimento è di marmo nero e si presume che qui vi fosse il focolare della casa.

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