La lectio di Regensburg e il conflitto con l’Islam

Il 12 settembre papa Benedetto tiene una “lezione” su fede e ragione all’Università di Regensburg, ottima nel contenuto e libera nel linguaggio. Contiene la citazione di un autore medievale avverso all’Islam. I media evidenziano la citazione e nei titoli attribuiscono al papa l’una o l’altra sentenza di quell’autore. Tutto il mondo musulmano protesta e chiede pretestuosamente che il papa si scusi. Il papa per tre volte si dice “dispiaciuto” e “rammaricato”, precisa di non condividere l’autore medievale che aveva citato solo come “occasione” per il suo ragionamento, ricorda che la sua lezione sollecitava il dialogo interreligioso. La protesta si placa.
E’ stata la più grave tempesta tra un papa e l’Islam in epoca contemporanea e ne sono state date tutte le possibili interpretazioni, riconducibili a quattro filoni.
C’è chi ritiene che il papa non abbia citato l’autore medievale – l’imperatore di Bisanzio Manuele II Paleologo – “solo” come spunto della lezione, ma perché nella sostanza lo condivideva e attraverso le sue parole voleva affermare la necessità di parlare chiaro nei rapporti interreligiosi. Aveva messo in conto una qualche reazione e confidava che il conflitto avrebbe aiutato a fare chiarezza. In questo filone la voce più forte la fanno i teocon e tutti coloro che vorrebbero il papa come capofila della “guerra culturale” tra il mondo occidentale e quello musulmano.
Altri invece interpretano che sì, quella del Paleologo era solo una citazione, ma comunque non scelta a caso e serviva al papa per portare avanti la sua “decisa” correzione di linea in materia di dialogo con l’Islam rispetto al predecessore: trattarlo più come una cultura che come una religione recuperando anche il diritto di segnalarne i limiti, marcando la distanza “teologica” tra le due concezioni di Dio, evidenziando che non è possibile mai alcuna preghiera in comune e non consigliabile neanche la preghiera ravvicinata, ovvero nello stesso luogo e con modalità similari.
A una terza fila appartengono quelli che attribuiscono la citazione alla libertà di mossa del docente universitario, che avrebbe avuto la meglio sul papa nel calcolo delle opportunità: tutto preso dall’impresa appassionata di mostrare quanto profonda e vasta, storicamente e idealmente, fosse la connessione tra la fede cristiana e la ragione greca, il papa teologo avrebbe sottovalutato il rischio d’essere ridotto dai media alla citazione del Paleologo e di essere preso a bersaglio dal mondo islamico.
Per ultimi metto quelli che danno un’interpretazione puramente mediatica dell’intera vicenda: i media hanno creato il caso, con referenze parziali e titolazioni arbitrarie. Una vera e propria manipolazione che in nessun modo poteva essere prevista e tenuta in conto dal papa e dai suoi collaboratori. Altrettanto mediatica sarebbe stata la sollevazione del mondo islamico, che è partita dai titoli dei giornali e dei telegiornali e si è placata quando il “rammarico” del papa e la conoscenza integrale del testo hanno chiarito l’equivoco.
Io mi ritrovo nel terzo dei quattro filoni, con una spruzzatina del secondo. Penso che l’atteggiamento di papa Ratzinger nei confronti dell’Islam e del dialogo interreligioso vada cercato nel discorso che fece il 20 agosto del 2005 ai musulmani di Colonia, nell’intervento al Concistoro straordinario del 22 marzo scorso e nel messaggio del 4 settembre al meeting Uomini e religioni della Comunità di Sant’Egidio. Un atteggiamento in sostanziale continuità con quello di papa Wojtyla, ma più attento alla chiarezza dottrinale.
Ritengo portatrice di novità positive la libertà rivendicata nei fatti da papa Benedetto di fare il teologo da papa ed esercitata con grande suggestione nella lezione di Regensburg. La paragono alla libertà rivendicata da papa Wojtyla di fare il polacco da papa. Considero positiva e portatrice di libertà per tutti i cattolici ogni libertà recuperata dai papi, che valga a liberare la figura del vescovo di Roma dall’irrigidimento istituzionale sedimentato nei secoli.
Ma l’esercizio di quella nuova libertà può andare incontro a incomprensioni. Il papa professore non ha avuto difficoltà a prevenirle nello svolgimento della sua argomentazione teologica, ma non ha avuto altrettanta avvertenza per la ricaduta mediatica e internazionale della citazione storica che ha posto a premessa dell’argomentazione. Un’imprudenza comunicativa in cui non è stato soccorso dallo staff.
Non c’è dubbio che i media, con la loro tendenza alla semplificazione e all’amplificazione, abbiano contribuito per una buona metà alla costruzione del caso, ma non l’hanno inventato. E credo non vi sia bisogno di dire che esso è stato reso esplosivo dalla logica coatta e strumentale della protesta che è tipica di gran parte dell’ufficialità musulmana, statuale e religiosa. Ma sia il comportamento dei media, sia la reazione musulmana potevano essere previsti e tenuti in conto.
Torno al paragone con papa Wojtyla. Avventurandosi nell’impresa inedita di fare il polacco sulla cattedra di Pietro egli ebbe più bisogno dell’aiuto dei collaboratori, al fine di non compiere passi falsi, di quanto – per questo aspetto – non ne servisse ai predecessori italiani che si spogliavano della loro appartenenza nazionale. Lo stesso vale per l’impresa altrettanto inedita del papa teologo: i suoi testi che escono in campo aperto dovranno essere testati non di meno ma di più e in tutte le direzioni da coloro che l’aiutano, perché gli segnalino ogni implicazione e l’aiutino ad acquisire una reale libertà.

Luigi Accattoli

Dal settimanale TYGODNIK POWSZECHNY di Cracovia, 24 settembre 2006

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