“Sono l’Oriana”: sei telefonate della Fallaci su papa Benedetto

Ho scambiato una dozzina di telefonate con Oriana Fallaci, una manciata nel corso del 1985 quando voleva intervistare papa Wojtyla e altre sei nell’estate del 2005, quando incontrò papa Ratzinger. Le telefonate dell’anno scorso credo valga la pena di riferirle in testo e contesto, a meglio intendere il suo movimentato rapporto con i papi.
Lei mi conosceva solo dal Corriere della Sera. Non l’ho mai incontrata. Non sapeva che io avevo polemizzato con alcune sue affermazioni nel mio volumetto Islam. Storie italiane di buona convivenza. Aveva l’aria di considerarmi un laico vecchio tipo, quale lei senz’altro immaginava dovesse essere il vaticanista del Corsera.

“Non me ne importa nulla se stavolta la penso come la Chiesa cattolica”
La prima telefonata dell’ultima serie arriva il 26 giugno 2005, avendo lei letto sul Corriere una mia intervista al vescovo Fisichella che commentava un suo giudizio su papa Ratzinger: è esultante per quanto detto dal rettore della Lateranense, mi chiede che tipo sia: “Sarà mica siciliano?” Lo vorrebbe incontrare. Vorrebbe vedere anche il cardinale Ruini, che le ha telefonato dopo la pubblicazione, sul Corriere del 3 giugno, del testo Noi cannibali e i figli di Medea con il quale si era pronunciata per l’astensione nel referendum del 12-13 giugno sulla fecondazione assistita: “Non me ne importa nulla che stavolta la mia opinione coincida con quella della Chiesa cattolica”
Dice che è molto malata e non sa se riuscirà ad avere 15 giorni di permesso dai medici per venire da New York a Roma, ma se potrà verrà per incontrare il vescovo e il cardinale: “Come li debbo chiamare?” Mi chiede il calendario delle loro ferie per essere sicura – se viene – di poterli vedere.
Mi richiama una settimana dopo per dirmi che sta per essere ricoverata, contro le sue previsioni. Che ormai è “cieca completa” da un occhio e ha la vista ridotta al 40 per cento nell’altro, tanto che è costretta a dettare. Mi dice che si è documentata su Ruini e Fisichella e che li considera persone di valore: “Leggendo quello che scrivono senti che hanno dietro duemila anni”.
Terza telefonata il 13 luglio per chiedermi del papa che tre giorni prima – con riferimento agli attentati del 7 luglio nella metropolitana di Londra – aveva invitato a pregare per la conversione dei terroristi e aveva insistito sul dialogo: se non sia in contraddizione con quanto scriveva da cardinale sull’identità cristiana dell’Europa e su quella del cristianesimo nei confronti delle altre religioni. Io provo a dirle che il papa non può non credere nella possibilità del cambiamento sempre offerta a ogni uomo, dal momento che così insegna Gesù nei Vangeli. Ribatte che considera questa “fiducia” una “debolezza” del cristianesimo e che “con l’islam bisogna difendersi”. Dico anche che la via del dialogo è stata scelta in maniera programmatica dal Concilio e nessun papa oggi l’abbandonerebbe. Replica che non capisce neanche quella scelta: “del resto io sono un’atea cristiana”. Ma precisa che ha preso sul serio la “raccomandazione” che Ratzinger rivolge ai non credenti: “comportatevi come se Dio esistesse”. “Non dico quanto ci ho riflettuto” conclude.
Il 16 luglio appare sul Corriere della Sera il suo ultimo grande articolo: Il nemico che trattiamo da amico. In esso c’è qualche riflesso delle conversazioni che avevamo avuto: “Quando tre giorni dopo la nuova strage papa Ratzinger ha rilanciato il tema del dialogo, sono rimasta di sasso. Santità (…) crede davvero che i musulmani accettino un dialogo coi cristiani, anzi con le altre religioni o con gli atei come me”?

Era curiosa di conoscere l’apprezzamento di Ruini e Fisichella
Quarta telefonata il 18 luglio per chiedermi “come avranno preso” Fisichella, Ruini e il papa quel suo articolo e perché io preavvisi Fisichella di una sua chiamata telefonica. Lei – mi avverte – considera “un’intrusione ogni telefonata non attesa”. Da quel contatto con Fisichella verrà l’incontro con il papa e una frequentazione che il vescovo racconterà all’indomani della morte di Oriana in interviste al Corriere della Sera e ad Avvenire del 16 settembre.
Quinta telefonata il 27 luglio, di nuovo stupita per le affermazioni del papa in Valle d’Aosta: “Ma se ha capito così bene il pericolo che corriamo, poi dice codeste cose”? Il lettore si figuri il suono toscano delle sue battute, con le “c” aspirate e il tono risentito. E’ stata la più vibrante delle telefonate, fatta in un giorno in cui stava meglio e aperta dall’abituale e sempre vivace: “Sono l’Oriana!”
Il 20 luglio il papa aveva detto ai giornalisti, di ritorno da una passeggiata, che non considerava la minaccia del terrorismo islamista come rivelatrice di uno “scontro di civiltà”, perché “si tratta solo di piccoli gruppi fanatizzati”. “Macchè piccoli gruppi”, sbotta quasi furiosa: “Ce ne accorgeremo tra qualche anno e io non ci sarò, ma tu sì che lo vedrai”. Reagisce ancora di più a un’altra battuta del papa riportata dai giornali del 26 luglio, in risposta alla domanda se l’Islam sia una religione di pace: “Non vorrei – aveva detto Benedetto – etichettare con parole generali. Certamente ha anche elementi che possono favorire la pace, come ha anche altri elementi. Noi dobbiamo cercare di trovare sempre i migliori elementi che aiutano”. Apriti cielo: “Ha paura pure lui? Eppure io mi sento così in sintonia, forse anche perché abbiamo quasi la stessa età e tutti e due abbiamo conosciuto la guerra e la dittatura”.

L’avevano spaventata i fischi di Siena al cardinale
La sesta e ultima telefonata arriva il 25 settembre, due giorni dopo che il cardinale Ruini era stato fischiato a Siena da un gruppo giovanile sinistrorso mentre riceveva il premio Liberal. Vuole sapere in dettaglio che cosa sia successo, si meraviglia – con ammirazione – del comportamento sereno del cardinale: “Io non ne sarei capace, è stato bravissimo”. Polemizza con la poca eco che il Corriere ha dato al fatto. Osservo che enfatizzarlo vorrebbe dire proporlo all’emulazione dei balordi. Replica che se emulazione ci deve essere ci sia, ma “ben venga” la reazione di chi disapprova. Dice anche che Siena è una città che ha “sempre odiato”, con quel suo palio “che fa schifo”. Interpreta l’episodio come un’avvisaglia di tempi ancora più foschi. Conclude che sta malissimo, ma che è contenta di aver incontrato il papa. Arriva ad affermare: “Solo in lui ho fiducia”.
Delle telefonate del 1985 ricordo il tema: come prepararsi a intervistare papa Wojtyla. Intervista che poi non fece. Con l’arrivo alla direzione del Corsera di Piero Ostellino (giugno 1984) fu intavolata una trattativa con la Segreteria di Stato vaticana, per ottenere che Oriana – che allora tornava alla collaborazione con il quotidiano milanese – potesse aggiungere alla sua collezione di interviste ai grandi della terra anche quella a un papa. L’aiutai a scrivere la lettera al cardinale Agostino Casaroli e feci da intermediario nei contatti con l’arcivescovo Achille Silvestrini, ma dopo mesi di sondaggi e rilanci arrivò la risposta negativa di Casaroli, del tipo “il papa non concede interviste”.

Quando voleva leggere tutto per intervistare papa Wojtyla
Oriana era interessatissima a studiare il personaggio Wojtyla: “Che debbo leggere? Voglio sapere tutto”. E’ ben divulgata la leggenda di una Fallaci che per documentarsi non dorme, non mangia e non si cura: ha sostenuto nelle ultime uscite che il suo tumore – “l’alieno” come lo chiamava – ha avuto la meglio perché lei, dopo l’11 settembre, si è sottratta alle terapie con cui lo controllava, tutta presa dalla necessità di documentarsi. Posso confermare che quella leggenda ha buon fondamento. Dicendogli io che i testi e le attività del papa erano raccolti in alcuni volumi annuali e che per l’anno in corso era necessario scorrere la collezione dell’Osservatore romano, lei concluse: “Fai comprare tutto”. Volle anche i discorsi di Paolo VI e i documenti conciliari, per la necessità dei raffronti. Gli fu spedita una robusta cassa di volumi e non so che cosa ne abbia fatto.
Aveva il desiderio della fede: “Dio se credessi in Dio. Mi piacerebbe avere la fede, perchè chi non crede in Dio è molto solo. Ho invidiato molte volte chi ha fede”. Ma non aveva rispetto per le fedi storiche. Selezionava a suo talento quella cristiana dicendo “qui mi piace qui no”. Dell’Islam disprezzava soprattutto la preghiera, che è quanto ha di meglio: “Quei barbari che invece di lavorare stanno sempre con il sedere all’aria, cioè a pregare cinque volte al giorno”. Su Abramo ha scritto parole grossolane: “Secondo me un capostipite che a gloria di Dio vuole sgozzare il proprio bambino è meglio perderlo che trovarlo”.

“Mi identifico nel cristianesimo perché amo appassionatamente la vita”
Il suo forte non era nella ricerca di Dio ma nell’amore alla vita, che è uno dei suoi nomi biblici. Ho letto abbastanza di Oriana. Intervista con la storia (Rizzoli 1974) la riprendo in mano una volta all’anno, mediamente, quando tornano i grandi temi che ha trattato con le interviste. Di Insciallah (Rizzoli 1990) mi piace quello spiritaccio del Pistoia, il “toscano becero e arguto” che considero un suo autoritratto al maschile. Ma i capolavori di Oriana li indico in tre testi che sono ininterrotti gridi di attaccamento alla vita: Lettera a un bambino mai nato (Rizzoli 1975), Noi cannibali e i figli di Medea (citato sopra), l’intervista al Foglio su Terri Schiavo del 13 aprile 2005, raccolta da Christian Rocca e intitolata Camillo Barbablù e il Mondo nuovo. Nell’intervista c’è la frase: “Amando appassionatamente la vita, come faccio a non identificarmi nel cristianesimo”? Aborto, embrioni ed eutanasia, sono i sottotemi di quelle grandi pagine. Dovrebbero essere care a chi difende la vita. Io le ho usate contro quella parte di me che tende al compromesso e credo mi aiuteranno a non cedere.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 18/2006

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