I luoghi privilegiati dell’educazione alla fede: la famiglia

Relazione al convegno della Chiesa di Velletri-Segni
“L’educazione è cosa di cuore” (Don Bosco)
Teatro Aurora – Velletri – Lunedì 21 settembre 2009 – ore 17,00

Nella Chiesa domestica che è la famiglia i genitori sono i primi “annunciatori ed educatori della fede per i loro figli”: così afferma il Vaticano II nel decreto sull’apostolato dei laici. Vogliamo chiederci come ciò possa avvenire oggi, in un mondo che sta tornando pagano. Diremo che potrà avvenire soltanto attraverso l’esempio accompagnato dalla parola e che dunque sono oggi quanto mai necessari degli sposi cristiani dotati di parola. Indicheremo nel momento della preghiera in famiglia il primo esempio e la prima parola da offrire ai figli.
Parto da un’immagine biblica, che prendo dal prologo della Seconda lettera di Paolo a Timoteo, il discepolo prediletto, al quale ha imposto le mani: “Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te”.
Più che offrire – qui – un elenco di situazioni familiari in cui immaginare possibili gesti e parole cristiane, è opportuno cercare un metodo utile a individuarle e a metterle a frutto ai fini dell’educazione alla fede.

Per prima – in questo metodo – viene la coppia solidale nella fede: senza questo fuoco, o fondamento, non è possibile nessuna comunicazione. Se invece questo fuoco è ardente, spontaneamente tenderà a comunicare, cioè a irradiare e contagiare: sarà diffusivo di se stesso.
Sui tempi brevi la coppia dovrebbe proporsi di ricavare un momento di preghiera pregata per ogni giornata. Su quelli lunghi, potremmo puntare a mandare a memoria – con reciproco stimolo – le parole di Gesù: tutte le parole che Gesù pronuncia nei Vangeli, come via privilegiata per la comunicazione della fede ai figli.
Intorno alle parole di Gesù dovrebbe poi intrecciarsi la conversazione di coppia: il dialogo dell’amore e la preghiera dialogata, il sostegno reciproco nella fede. “Dimmi una parola d’amore = dimmi una parola del Vangelo”. Realizzare un’alleanza tesa a semplificare l’anima e a rendere sobria la vita, ricavando tempo per il Signore, per l’amore, per i figli, per ogni prossimo. La casa e la vita sobria possono aiutarci a praticare l’ospitalità, che può essere veicolo di comunicazione della fede.

Per seconda, la coppia con i figli piccoli: la consuetudine a cercare e ascoltare il Signore, già arricchita dalla preghiera e dalla conversazione di coppia, diventa ora preghiera e scuola di fede con i figli. Il momento quotidiano di preghiera pregata deve trovare forme proprie, più impegnative, creative, possibilmente nuove nello svolgersi dei giorni.
Dovremmo tendere ad accumulare – con i figli – un patrimonio di emozioni cristiane condivise (Natale, Pasqua, ogni domenica, il presepe, la memoria dei morti…) che ci faccia compagnia quando i piccoli saranno cresciuti e che parli in loro anche quando non saremo più insieme sulla terra.
Si tratta di aprirsi poi il più possibile al giro amicale e ambientale creato dai piccoli. Ci si aiuta e si segnala – con tutta naturalezza – la propria vita cristiana.

Per terza, abbiamo la coppia con figli che crescono, o già grandi: qui occorre impegnare ogni energia perché duri – e cresca – il dialogo familiare, in modo che si possa cercare insieme la risposta ai dubbi di fede, alle tentazioni di abbandono della pratica religiosa, alle nuove responsabilità dei ragazzi di fronte all’amore e alla vita di coppia.
I genitori dovrebbero mirare a offrire una convincente attestazione di felicità sponsale, in modo da attrarre i figli al matrimonio. Parlare loro – e possibilmente ai loro amici – dell’opportunità umana e cristiana di sposarsi quando sono veramente innamorati. Dare conto in parole del vantaggio ottenuto con le scelte di sobrietà che abbiamo compiuto e che i figli hanno magari contestato, aiutandoli a inventare un analogo modo di affrontare la vita a due. Vita più semplice = vita aperta agli altri.

Per quarto metto il più vasto teatro della vita associata, dove la famiglia credente dovrebbe provarsi a esercitare un contagio cristiano a dimensione sociale: la fedeltà sponsale, l’accettazione dei figli, il rifiuto dell’etica dell’arricchimento, la pratica convinta di una scala di priorità (Dio, l’amore, i figli e solo quarto il lavoro, o il denaro) in contrasto con la cultura ambientale – tutto ciò oggi si segnala vistosamente e induce tanti a porre domande sul perché di quelle scelte.
Esercitarsi a ricondurre a Gesù e alle sue parole ogni nostra scelta e imparare a proporre le parole evangeliche in situazione: quando qualcuno si burla – o si meraviglia – di noi perché abbiamo più di un figlio, quando altri accusano la Chiesa di stare con i ricchi, o di fare il gioco dei comunisti. E infine trovare il coraggio di rispondere, nella lingua di ogni giorno, con le parole semplici del Vangelo, ai sofferenti che entrano nella nostra vita.

Luigi Accattoli

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